Non è tenuto a versare le ritenute il cessionario d'azienda cui non passino i dipendenti del cedente
04 Agosto 2021
Massima
Nell'ambito di una cessione d'azienda il cessionario non paga le ritenute se acquista il ramo senza i dipendenti. Risponde invece dei debiti risultanti da un controllo automatizzato effettuato dopo la cessione ma relativi al triennio precedente, applicandosi il comma primo dell'art. 14 del d.lgs. n. 472/1997, che invece ha inteso estendere la responsabilità solidale cessionario a qualsiasi debito per imposte e sanzioni relativo a "violazioni commesse" dal soggetto cedente nel triennio precedente al trasferimento d'azienda, anche se al tempo della cessione d'azienda non ancora constatate, contestate od accertate. Per evitare tale responsabilità aveva l'onere di attivarsi presso l'amministrazione finanziaria chiedendo la certificazione della posizione debitoria del cedente. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con l'ordinanza 18117 del 24 giugno 2021, ha accolto solo in parte il ricorso di una società. Il caso
Con uno dei motivi di ricorso in Cassazione la società denunciava violazione di legge: infatti poiché il controllo automatizzato era avvenuto soltanto nel 2007 (mentre la cessione d'azienda era datata 2006), mancava il presupposto, fissato dal secondo comma dell'art. 14 del d.lgs. n. 472/1997, costituito dalla circostanza che il debito doveva risultare "dagli atti degli uffici dell'amministratore finanziaria", "alla data del trasferimento". La Cassazione rigetta tale doglianza alla luce di un'interpretazione sistematica dell'art. 14 del d.lgs. 472/1997, in particolare del primo e del secondo comma.
La questione
La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la responsabilità del cessionario d'azienda per i debiti fiscali del cedente ed il perimetro della stessa.
Le soluzioni giuridiche
Secondo il predetto articolo 14 il cessionario è responsabile in solido con il cedente per il pagamento di imposte e sanzioni riferibili alle violazioni commesse:
Oltre alle suddette limitazioni temporali sussistono ulteriori limiti di tipo quantitativo poiché:
Pertanto, il contribuente, per evitare di incorrere in responsabilità per debiti di imposta relativi al triennio anteriore alla data di stipula della cessione di azienda, deve chiedere agli uffici dell'Amministrazione finanziaria ed agli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza un "certificato" sull'esistenza di "contestazioni in corso" e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Infatti, ove venga rilasciato tale certificato di assenza di contestazioni in corso o di contestazioni "già definite" ne scaturisce un "pieno effetto liberatorio" del cessionari. Lo stesso accade in caso di silenzio-assenso dell'amministrazione.
Se, invece il cessionario non ottempera a tale diligente condotta ne deriva una sorta di "responsabilità oggettiva", "in bianco", dello stesso cessionario, con riferimento a tutti i debiti fiscali del cedente relativi al "triennio" anteriore alla cessione, anche se al momento della cessione ancora incerti nell'an, ancorandosi tale responsabilità proprio alla condotta omissiva del contribuente. Pertanto, secondo la Corte l'ipotesi del primo comma dell'art. 14 (imposta e sanzioni riferibili a violazioni "commesse" nel triennio) è del tutto autonoma e svincolata rispetto a quella del secondo comma, che, invece, limita la responsabilità solidale cessionario soltanto "al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza".
Nel caso di specie è pacifico che la contribuente non ha chiesto alla Amministrazione finanziaria la certificazione di cui al comma 3 dell'art. 14. Accolto invece il motivo relativo all'esclusione di responsabilità per le ritenute dei dipendenti: secondo la ricorrente in caso di cessione di ramo d'azienda la responsabilità del cessionario deve ricomprendere soltanto i debiti per imposte "inerenti" al ramo d'azienda ceduto. La Cassazione, sul punto ha precisato che possono trasmettersi al cessionario i debiti tributari per ritenute Irpef non versate, solo qualora, unitamente al ramo d'azienda ceduto, il cessionario abbia assunto anche dipendenti impiegati in quel complesso. Il cessionario non può, invece, diventare responsabile in solido anche di debiti tributari relativi ad elementi dell'azienda che non hanno formato oggetto di cessione, come appunto il caso delle ritenute Irpef di dipendenti che sono rimasti occupati presso l'azienda.
La responsabilità del cessionario deve fondarsi, dunque, sull'inerenza del debito al compendio acquistato, sicché essa non opera per quelle obbligazioni pecuniarie che siano riconducibili ad altro ramo aziendale rimasto di proprietà del cedente. Sarà onere del cessionario dimostrare la non inerenza del debito al ramo aziendale acquistato. Sarà ora un'altra sezione della Ctr Veneto, alla quale la controversia è stata rinviata, a valutare questo aspetto
Osservazioni
Sul punto si ricorda che secondo il predetto articolo 14 il cessionario è responsabile in solido con il cedente per il pagamento di imposte e sanzioni riferibili alle violazioni commesse:
Oltre alle suddette limitazioni temporali sussistono ulteriori limiti di tipo quantitativo poiché:
La responsabilità del cessionario è subordinata al beneficio di preventiva escussione nei confronti del cedente. Tuttavia la responsabilità del cessionario diviene illimitata se la cessione viene effettuata in frode dei crediti tributari anche se avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni (art. 14, comma 4). Al comma 5 è prevista una ipotesi di presunzione legale di cessione frodatoria che può aversi nel caso in cui il trasferimento viene effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante. Nei casi in cui è contestata la cessione in frode all'Erario, il cessionario risponde solidalmente e illimitatamente con il cedente e non opera il beneficio della preventiva escussione del cedente. In tali casi, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, non si può iniziare l'espropriazione forzata nei confronti del cessionario senza notificargli un atto in cui si accerti e liquidi il suo debito e si motivi in ordine ai presupposti della frode in modo da garantirgli il diritto di difesa.
In questo modo si rispetterebbero le tutele dello previste dallo Statuto del contribuente e soprattutto gli si darebbe la possibilità di pagare spontaneamente il debito. Sul punto la Cassazione ha chiarito che accanto alla responsabilità del cedente per i tributi gravanti sull'azienda ceduta, si pone la responsabilità solidale del cessionario d'azienda, della quale modula diversamente l'estensione, a seconda che si verta in ipotesi di cessione conforme alla legge o di cessione in frode dei crediti tributari (cfr. Cass. 5979/2014).
Tanto nella prima ipotesi (responsabilità solidale, sussidiaria e limitata, del cessionario) che nella seconda ipotesi (responsabilità solidale ed illimitata del cessionario) è escluso che al cessionario debba essere notificato l'avviso di accertamento diretto al cedente, in mancanza di un'espressa deroga al principio generale secondo cui l'avvio di accertamento è notificato al contribuente e non ad altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell'imposta accertata (cfr. Cass. n. 26480/2020). Tanto più che al cessionario è comunque garantito il diritto di difesa potendo far valere il difetto di motivazione dell'atto impugnato in ordine, ad esempio, ai presupposti della sua responsabilità illimitata. |