Comunicazioni tra avvocato e assistito: vale anche la messaggistica cellulare

Lucia Randazzo
03 Agosto 2021

Il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che nessuna violazione deontologica viene commessa dall'avvocato che informa la propria assistita attraverso messaggi inviati tramite cellulare...

L'avvocato che comunica mediante messaggi con il proprio assistito commette una violazione deontologica?

Il Consiglio Nazionale Forense (con sentenza n. 28/2021) ha chiarito che nessuna violazione deontologica - in particolare degli artt. 9 e 35 comma 11 (comma 9 codice vigente), del codice deontologico forense - viene commessa dall'avvocato che informa la propria assistita attraverso messaggi inviati tramite cellulare.

Nel caso oggetto della predetta sentenza l'avvocato, mediante più messaggi sms alla propria assistita, aveva chiesto di essere contattato con urgenza avvisandola di essere stato nominato difensore d'ufficio. Il Consiglio territoriale a causa di tale comportamento decideva di sanzionare il difensore con la censura.

L'appello del ricorrente veniva ritenuto fondato dal Consiglio Nazionale Forense che annullava, pertanto, la sanzione disciplinare inflitta:

«Rileva questo Giudice come l'uso della messaggistica, che consente una comunicazione più immediata e veloce, non possa ritenersi in sé in violazione dell'art. 9 del NCDF poiché, per molti aspetti, ormai rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione avente anche valore legale e, che per di più, fornisce anche una valida prova nel processo.
Anche gli attuali orientamenti giurisprudenziali, hanno ritenuto il messaggio quale valida prova nei rapporti contrattuali tra le parti essendo parificabile ad un documento informatico che consente la conoscenza della volontà delle parti stesse». Il Consiglio richiamava, inoltre, la sentenza n. 49016/2017 (Cass.pen., Sez.V, 25 ottobre 2017, n.49016) nella quale viene precisato che i contenuti dei messaggi rappresentano la memorizzazione di fatti storici e quindi sono considerati alla stregua di prova documentale. Il Consiglio Nazionale Forense ha considerato, dunque, il sistema di comunicazione utilizzato dal difensore un normale sistema di interlocuzione dal contenuto squisitamente professionale e in numero limitato. Nessuna violazione del dovere di dignità, probità e decoro poteva essere addebitata alla condotta del difensore che aveva comunicato mediante messaggi con il cellulare: «Dall'analisi dei fatti non emergono pertanto rilievi deontologici a carico dell'avv. [RICORRENTE] con riferimento alle contestazioni di cui alla lettera a) del capo di incolpazione (art. 35 in relazione all'art. 9 NCDF): appare infatti rispettato il dettato deontologico avendo il ricorrente usato modalità e forme che non pare vadano a violare i principi di dignità e decoro della professione forense».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.