Leonardo Iannone
05 Settembre 2018

La Costituzione della Repubblica italiana del 1948, spiccatamente garantista per effetto degli eventi storici che la propiziarono, proclama, attraverso il secondo comma dell'art. 24, la inviolabilità del diritto di difesa in quanto diritto da assicurarsi con pienezza nella esplicazione processuale, in particolare in sede penale in ogni stato e grado, senza tuttavia esplicitarne il contenuto.La legislazione vigente, regolando il processo penale e il suo sviluppo in ogni stato e grado, si è poi data finalmente carico di assicurare il rispetto del principio della difesa e la esplicazione della stessa, assicurandola sin dalle prime battute del procedimento e rendendone contestualmente praticabile l'esercizio da parte dell'inquisito, anzitutto nella forma materiale realizzabile personalmente...
Inquadramento

La Costituzione della Repubblica italiana del 1948, spiccatamente garantista per effetto degli eventi storici che la propiziarono, proclama, attraverso il secondo comma dell'art. 24, la inviolabilità del diritto di difesa in quanto diritto da assicurarsi con pienezza nella esplicazione processuale, in particolare in sede penale in ogni stato e grado, senza tuttavia esplicitarne il contenuto.

La legislazione vigente, regolando il processo penale e il suo sviluppo in ogni stato e grado, si è poi data finalmente carico di assicurare il rispetto del principio della difesa e la esplicazione della stessa, assicurandola sin dalle prime battute del procedimento e rendendone contestualmente praticabile l'esercizio da parte dell'inquisito, anzitutto nella forma materiale realizzabile personalmente e, quindi, secondo le più complesse modalità tecniche affidate al difensore.

Diritto di difesa materiale dell'imputato

Di norma ne viene configurata l'articolazione valorizzandola secondo aspetti alquanto essenziali.

Ciò anche grazie agli effetti di quella fervida elaborazione dottrinale, che fece registrare gli sviluppi più importanti e fecondi nel corso della seconda metà del secolo scorso, inducendo la Corte costituzionale alla adozione di molteplici decisioni orientate ad attuare il principio della difesa e le conseguenti garanzie difensive sin dal momento dell'avvio delle indagini, volta a volta operando profonde incisioni nel tessuto del codice di rito del 1930, rimasto in vigore sino al 1989, procedendo ad una continua opera di riadattamento degli istituti, primo fra tutti quello concernente la difesa, che consentì di caratterizzarne la natura con il neologismo inquisitorio garantito.

Un primo profilo viene solitamente individuato nella materialità della esplicazione della difesa, da riconoscersi alla persona stessa dell'imputato che ha quindi diritto di conoscere da subito l'esistenza di indagini a proprio carico. È da tempo codificata la previsione della facoltà della persona che si ritiene sottoposta a indagine di conseguire tale conoscenza servendosi di ogni modalità lecita; ad esempio, avvalendosi del diritto ad ottenere la comunicazione scritta da parte del pubblico ministero di ogni iscrizione di notizia di reato esistente a proprio carico, diritto talvolta non realizzabile a causa di talune eccezioni ostative legalmente collegate al nomen juris della ipotesi di reato conseguente alla iscrizione della notizia stessa, ovvero, più semplicemente, condizionate ad un differimento temporale disposto con decreto dallo stesso ufficio inquirente motivabile con la ritenuta sussistenza di specifiche esigenze attinenti alla attività di indagine (art. 335, commi 3 e 3-bis, c.p.p.). Ciò non fa, tuttavia, venir meno la legittimità della alternativa di una autonoma attività di ricerca informativa pur sempre espletabile da colui che ha motivo di sospettare l'esistenza di indagini nei propri confronti, purché svolta con modalità lecite (ad esempio, attingendola in seno a notizie di stampa, percependone il contenuto da indiscrezioni o disattenzioni altrui, et similia ).

In secondo luogo, all'accusato deve essere assicurato il diritto di partecipare consapevolmente al processo, oltre che attraverso il proprio difensore, presenziando allo svolgimento di quegli atti per i quali il codice contempla la personale partecipazione come necessaria ovvero la consenta.

In terzo luogo, all'imputato è legalmente assicurato il diritto ad una tempestiva, corretta e completa informazione circa la formulazione dell'addebito iniziale, quindi alla comunicazione della imputazione formulata in forma chiara e precisa nelle componenti sia fattuali, che giuridiche e di ogni eventuale modificazione o implementazione.

Infine vengono in rilievo le facoltà per l'accusato di presentare al giudice in qualsiasi stato e grado di merito istanze e acquisizioni probatorie a valenza difensiva, di rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni; di chiedere di essere interrogato durante le indagini o nel corso della udienza preliminare, ovvero di sottoporsi all'esame nel corso del dibattimento.

La difesa tecnica

Trattasi del secondo profilo del diritto di difesa garantito ad ogni accusato, quello c.d. formale; ancor più significativo, perché tecnico.

Per l'imputato, l'art. 96 c.p.p., sancisce il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. Al nominato difensore spettano le facoltà e i diritti legalmente riconosciuti all'imputato, salvo quelli riservati alla persona di quest'ultimo (per la formulazione della istanza di rimessione; per la rinuncia all'udienza preliminare; per l'applicazione della pena; per la richiesta del giudizio abbreviato; per la rinuncia alla impugnazione).

Se ritiene, l'imputato può in ogni momento rendere inefficaci gli atti e le scelte del difensore, anche un attimo prima dell'adozione del provvedimento del giudice, formulando espressa dichiarazione contraria (art. 99, comma 2,c.p.p..).

La difesa è un diritto che competendo ineludibilmente ad ogni accusato risulta costituzionalmente presidiato dalla garanzia della inviolabilità.

Non vi sono, né possono ragionevolmente ipotizzarsi opacità che presuppongano ipotesi di indifendibilità per accuse relative a taluni reati o per i soggetti che ne sono destinatari.

In un sistema come quello vigente a caratterizzazione essenzialmente democratica, la difesa piena ed incondizionata deve essere assicurata ad ogni persona accusata di un reato.

La obiezione di coscienza del difensore nominato che, avvertendo intima ripugnanza per il reato oggetto dell'accusa o per la persona dell'imputato lo rende riluttante o disdegnoso, può solo indurlo a non accettare l'incarico fiduciario, senza peraltro che gli sia imposto alcun dovere di dichiararne la ragione. Tuttavia non potrà seriamente dubitarsi che esercitare l'obiezione per una ragione estranea ad una profonda esigenza etica contraria a tal tipo di compito difensivo, finisca per minare l'essenza stessa del diritto di ogni accusato ad essere difeso quale garanzia-pilastro di un regime democratico, aprendo preoccupanti derive verso dispotiche soverchierie.

Al difensore nominato d'ufficio non viene invece legalmente assicurato alcuno spazio per rifiutare l'incarico se non quello, assai angusto e piuttosto circoscritto, che potrebbe porsi in considerazione per una palese incompatibilità. Ove questa sopravvenga in itinere, egli rinuncerà.

Accettato l'incarico o assunto l'ufficio, la difesa tecnica di colui che è pur sempre – secondo il chiaro dettato della Carta fondamentale – nella condizione di essere considerato non colpevole (art. 27 Cost.), va svolta con il massimo impegno, avversando e superando ogni possibile condizionamento diverso dall'ineludibile rispetto della legge e, al contempo, dalla altrettanto cogente osservanza dei canoni deontologici dettati nel vigente codice disciplinare.

Nomina, capacità, incompatibilità del difensore

L'imputato può effettuarne la nomina all'autorità che procede in primo luogo ottenendone l'inserimento all'interno della verbalizzazione dell'atto in corso cui presenzia o della relativa notificazione, ovvero mediante una dichiarazione scritta alla stessa consegnata o inviata (art. 96, comma 2, c.p.p.).

In epoca precedente, la nomina può già risultare aliunde potendo l'esistenza del rapporto fiduciario trarsi nei fatti che mostrino l'espletamento in concreto della attività difensiva, ovvero anche dedursi dal semplice contatto che risulti stabilito dalla persona iscritta nel registro delle notizie di reato con il professionista legale per fini consultivi.

Pur se la nomina è di norma considerata alla stregua di atto personalissimo, tuttavia è previsto che l'incarico a un difensore fiduciario non ancora conferito dalla persona in vinculis, ovvero dall'irreperibile o da colui che appaia impedito a partecipare coscientemente al procedimento, possa essere affidato, in forma esplicita, da un prossimo congiunto (art. 96, comma 3, c.p.p.). É questa una nomina da qualificarsi giuridicamente come atto posto in essere in esplicazione di una forma di rappresentanza legale temporanea, potendo in seguito l'interessato confermarlo o revocarlo.

Trattandosi di un negozio bilaterale di prestazione d'opera professionale, occorre che vi sia l'accettazione da parte del nominato. Se non accetta l'incarico conferitogli o vi rinuncia, deve informare senza ritardo l'autorità procedente e chi lo ha nominato (art. 107, comma 1, c.p.p.).

Secondo quanto dispongono i successivi due commi della norma citata, gli effetti di ciascuna evenienza si verificano in tempi diversi; la non accettazione, è efficace dal momento in cui la comunicazione perviene all'autorità procedente, diversamente la rinuncia ha effetto solo nel momento in cui sopraggiungerà la nomina con relativa accettazione da parte di un nuovo difensore di fiducia ovvero, in mancanza, la designazione di un difensore di ufficio.

Analoga è la situazione viene a determinarsi allorquando l'imputato revoca la nomina al difensore di fiducia.

Se, in relazione a quest'ultima ipotesi, non paiono emergere vuoti temporali nella difesa tecnica, non così può dirsi per il caso di rinuncia, ben potendo verificarsi che, pur informata di tanto l'autorità procedente dal rinunciante, il già difeso non ne abbia tempestiva conoscenza, ma risultino espletate, nelle more, attività procedimentali al cui compimento la difesa aveva diritto di parteciparvi, mentre il rinunciante, ormai disimpegnatosi, se ne sia disinteressato, così determinando un pregiudizio per la posizione dell'ex assistito.

Con la legge 31 dicembre 2012 n. 247 è stata introdotta la Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense.

L'art. 2, comma 3, alla lettera a), l. 247/2012 detta le condizioni di capacità per l'esercizio della professione di avvocato dinanzi ad ogni magistratura penale ordinaria di merito; con la successiva lettera b) si prevede che dinanzi alle giurisdizioni superiori siano abilitati a patrocinare unicamente gli avvocati iscritti all'Albo Speciale secondo la disciplina di accesso di cui al successivo art. 22 l. 247/2012.

Ove colui che si propone come difensore risulti privo dei requisiti legali per poter esercitare, viene a determinarsi un radicale difetto della condizione per una valida assistenza e rappresentanza dell'imputato. È un vizio fondamentale sanzionato dalla nullità di ordine generale a carattere assoluto (artt. 179, comma 1, e 180, c.p.p.) di tutti gli atti processuali compiuti dovendosi necessariamente ritenere che l'imputato sia rimasto privo di una legittima difesa tecnica.

Analoga situazione viene a determinarsi allorché il difensore appaia versare in una condizione di sostanziale incompatibilità perché occupato nella difesa di più imputati le cui posizioni risultino tra loro incompatibili. Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di segnalare che ciò accade allorquando il medesimo dato argomentativo sviluppato od anche solo accennato risulti favorevole per uno e nocivo per altro dei difesi in comune.

Scontata è poi l'incompatibilità per infedeltà del difensore dell'imputato il quale risulti prestare, anche per interposta persona, patrocinio o rendere consulenza a taluna delle possibili parti contrarie, qual è l'offeso dal reato o, addirittura, la parte civile, anche se ciò possa riferirsi a processi o condizioni di fatto formalmente distinte o diversificabili.

Qui si sconfina nell'illecito penale configurato nell'art. 381 c.p.

L'art. 106 c.p.p., prevede che la incapacità conseguente sia rilevata di ufficio dal giudice o dal pubblico ministero che procede (comma 2); chi rileva la incompatibilità è tenuto ad indicarla esponendone i motivi e fissando a ciascuno degli interessati (difeso e difensore contaminato) un termine per rimuoverla.

In difetto, dovrà alfine essere comunque il giudice a dichiararla, con ordinanza, provvedendo a rimuovere l'impasse mediante la designazione di un difensore di ufficio con contestuale declaratoria di nullità assoluta, per quanto rilevato infra (art. 179, comma 1, c.p.p.), degli atti compiuti dall'incompatibile e di quelli al cui compimento questi avrebbe potuto, avendone diritto partecipare (pur se aveva scelto di non farlo).

Obblighi e diritti del difensore

Gli atti processuali c.d. a partecipazione necessaria, non possono espletarsi senza la presenza del difensore che, avvertito e informato per tempo, è tenuto a parteciparvi. Ciò può verificarsi quando la polizia giudiziaria intende assumere sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini in quanto utili per le investigazioni (art. 350, comma 3, c.p.p.); ma la partecipazione è indefettibile per il regolare svolgimento della udienza di convalida del fermo o dell'arresto (art. 391, comma 1, c.p.p. ), della udienza di espletamento dell'incidente probatorio (art. 401, comma 1, c.p.p.), della udienza preliminare (art. 420, comma 1, c.p.p.).

Ulteriori obblighi per interventi attivi del difensore sono ravvisabili in relazione allo sviluppo della vicenda processuale, ed alle possibili multiformi sanzioni conseguenti alla inosservanza degli stessi.

La legge processuale tuttavia prevede, al fine di ampliare la sfera di operatività del titolare dell'ufficio di difesa, che egli possa esercitare la facoltà di nominare un sostituto (art. 102 c.p.p.) .

Al sostituto, una volta designato, sono riconosciuti, in quanto alter ego, gli stessi diritti e al contempo egli assume gli stessi doveri del titolare fin tanto che ritenga di assentarsi.

La necessità che la nomina del sostituto sia operata mediante atto scritto secondo le forme dettate dall'art. 96, comma 2,c.p.p. e richiamate dall'art. 34 norme att. c.p.p., è stata recentemente riaffermata in sede di legittimità (Cass. pen., Sez. V, 26 aprile 2018, n. 26606 ), essendosi ritenuto che non possa essere riconosciuta alla previsione della modalità di conferimento in forma verbale dell'incarico sostitutivo, introdotta dall'art. 14, comma 2 della l. 247/2012, efficacia abrogante delle richiamate disposizioni processuali. Trattandosi di normativa finalizzata alla disciplina della professione forense destinata ad operare in ambito extra-processuale ( laddove rilevano esclusivamente i rapporti tra parti private ),la stessa non può ritenersi idonea ad incidere la menzionata disciplina codicistica, sino a considerarne la tacita abrogazione, essendo quest'ultima destinata ad operare in uno specifico ambito settoriale.

Può intervenire la designazione di un sostituto da parte dell'ufficio giudiziario procedente secondo le modalità indicate dall'art. 97, comma 4, c.p.p., per l'espletamento di atto che richieda la presenza del difensore e questo risulti non reperito, ingiustificatamente assente o disinteressato. Tuttavia tale designazione non fa venir meno in capo all'assente la titolarità dell'ufficio difensivo sino a sua esplicita rinuncia o revoca.

Garanzie per la libertà di esercizio della funzione difensiva

Secondo l'indirizzo interpretativo prevalente circa l'operatività dell'impianto normativo ravvisabile nell'art. 103, c.p.p., in quanto più attento ad una completa e penetrante salvaguardia del diritto di difesa espresso attraverso la funzione tecnica, la efficacia delle garanzie con esso espresse può intendersi estesa ore il piano “interno” del procedimento in cui si è esplicata o si sta svolgendo la funzione stessa. Le stesse possono quindi riconoscersi al difensore anche ove l'attività risulti collegata ad un diverso procedimento penale (da ultimo, Cass. pen., Sez. IV, 3 aprile 2014, n. 23002sulla scia di Cass. pen., Sez. unite, 14 gennaio 1994, Grollino); sino poi a ravvisare l'esistenza in atto della funzione desumendola dalla natura stessa dell'incarico senza esigere il riscontro del conferimento attraverso la preventiva formalizzazione del mandato difensivo (Cass. pen., Sez. V, 17 aprile 2001, Marchetto).

Mentre se il mandato c'è la qualità va riconosciuta comunque per l'operatività delle garanzie, non essendo a tal fine necessario che l'incarico risulti comunicato all'autorità procedente (Cass. pen., Sez. VI 16 febbraio 2002, n. 10664).

Negli uffici del difensore ed in quelli degli investigatori privati autorizzati che risultino incaricati per il procedimento in corso, non sono consentite ispezioni o perquisizioni, salvo che lo stesso difensore o taluno dei suoi stabili collaboratori siano imputati e limitatamente alla ricerca di elementi di prova del fatto-reato loro attribuito, ovvero per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone di cui sia comunque resa una preventiva specifica indicazione.

Alla esecuzione degli atti di ricerca e degli eventuali conseguenti sequestri ad essi conseguenti deve procedere personalmente il giudice, ovvero il pubblico ministero durante la fase delle indagini preliminari. Chi procede è tenuto, in limine a pena di nullità, ad avvisare il locale consiglio dell'ordine forense che attraverso il presidente, o un consigliere all'uopo delegato, può assistere alle operazioni, al contempo avendo diritto di ottenere, dietro richiesta ma sempre prima che abbiano inizio l'attività perquirente, copia del provvedimento. Siffatto obbligo tuttavia è stato ritenuto non sussistente nel caso in cui, nell'ufficio operino altri avvocati aventi veste e funzioni di meri collaboratori dell'unico titolare, pur trattandosi di attività pervasiva posta in essere nei confronti di esercente la professione legale che sia egli stesso la persona sottoposta ad indagine; non così allorché gli altri avvocati presenti ed operanti nel medesimo contesto ambientale appaiano collegati al professionista inquisito nella forma della contitolarità o dell'associazione professionale, prevalendo in tal caso ragioni di cautela che scongiurino interferenze alla libertà di esplicazione della attività difensiva svolta da questi ultimi (Cass. pen. Sez. V, 24 maggio 2018 n. 28721) .

Altra immunità concerne le intercettazioni delle comunicazioni e delle conversazioni dei difensori e degli investigatori autorizzati coinvolti dai primi per le opportune investigazioni difensive, dei consulenti tecnici e dei loro collaboratori, nonché quelle di ciascuno di loro con la persona assistita.

In realtà la previsione in esame può considerarsi alla stregua di una regola di esclusione probatoria dei risultati, potendosi soltanto accertare a posteriori in sede di riascolto, la effettiva natura dei contenuti fonici captati al fine di sancirne la inutilizzabilità (comma 7).

Il testo originario del comma risulta di recente così implementato: Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta” (periodo aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett, a), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, applicabile, ai sensi del successivo art. 9, alle operazioni di captazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 26 gennaio 2018, centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto medesimo).

Del pari, la corrispondenza difensiva resa riconoscibile da apposite indicazioni esterne (secondo la lettera dell'art. 35 norme att. c.p.p.) con e dell'imputato è da ritenersi parimenti immune da interferenze di sorta, stante il divieto espresso nel comma 6, di ogni forma di controllo oltre che il divieto di sequestro; la immunità è condizionata alla preventiva valutazione della insussistenza da parte dell'autorità giudiziaria del fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

È altresì garantito dall'art. 104, comma 1, c.p.p. il diritto dell'imputato in vinculis ad avere colloqui con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misura, diritto che può subire una temporanea interdizione della durata non superiore a cinque giorni per decreto motivato del giudice, allorché il pubblico ministero, procedendo ad indagini preliminari per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, gliene abbia fatta richiesta allegando eccezionali ragioni di cautela. Si tratta di una previsione generica ed alquanto fumosa, di dubbia legittimità costituzionale, perché impedendo, pur se temporaneamente, il contatto difensivo al custodito, verosimilmente collocato in isolamento, si determina una ingiustificata compressione del suo diritto ad elaborare da subito, soprattutto in vista di un più che probabile interrogatorio investigativo, la propria linea difensiva sottoponendola ad immediata verifica e contestuale elaborazione giuridica da parte del proprio difensore e, per altro verso, finendo per insinuare a carico di quest'ultimo condotte poco commendevoli o caratterizzate da malintese e surrettizie ipotesi di ostacolo al corso della giustizia.

Revoca, rinunzia, rifiuto, abbandono della difesa

In qualsiasi momento la persona assistita può far venir meno l'incarico difensivo revocandolo. L'atto va posto in essere mediante esplicita dichiarazione resa nelle medesime forme della nomina (art. 96, comma 2, c.p.p.).

Tuttavia è previsto che la revoca non spieghi i propri effetti, al pari della rinuncia ad opera del nominato, fin tanto che l'assistenza della parte non venga assunta dal nuovo difensore o, in mancanza di esercizio della scelta, dalla designazione di un difensore di ufficio (art. 107, comma 3,c.p.p.) e, comunque, non risulti decorso il termine richiesto e ottenuto dal subentrante per prendere cognizione degli atti, per informarsi sui fatti per cui si procede e per preparare la difesa (art. 108, comma 1, c.p.p.), termine che, di norma, non può risultare inferiore a sette giorni.

Uno scenario analogo si apre allorquando vi è la constatazione dell'avvenuto abbandono della difesa da parte del difensore, sempre che non risulti – evidentemente nella eventuale successiva sede disciplinare - trattarsi di assenza o di condotta silente che lo stesso difensore abbia previamente concordato con l'assistito in attuazione di una particolare strategia processuale.

Altrettanto accade, per come s'è già visto infra, allorché viene disposta la rimozione giudiziale del difensore stesso per constatata incompatibilità.

Ad ogni modo, per i casi di ritenuto abbandono della difesa ovvero di supposta violazione da parte del difensore dei doveri di lealtà e probità o del divieto legalmente impostogli (art. 106, comma 4-bis, c.p.p.) di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni sfavorevoli ad altro imputato nel medesimo procedimento o in quello connesso (in una delle ipotesi previste dall'art. 12c.p.p. ) o collegato (ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p.), la competenza per il relativo procedimento sanzionatorio appartiene al consiglio distrettuale di disciplina (secondo gli artt. 50 segg., l. 31 dicembre 2012, n. 247) investito dal consiglio dell'ordine forense, in quanto destinatario per legge della segnalazione formale dell'autorità giudiziaria procedente circa ipotizzate violazioni collegate a taluno dei casi appena menzionati (art. 105, comma 4, c.p.p.).

Tuttavia, se il patrono dell'imputato ha motivato l'abbandono o il rifiuto allegando una o più ipotesi di violazione dei diritti della difesa, non si farà luogo alla comminatoria di sanzioni da parte dell'organismo disciplinare forense allorché, in esito al conseguente procedimento, avrà ritenuto giustificato l'atto abdicativo o reiettivo del legale, anche se la violazione che ne ha dato causa risulti alfine esclusa dal giudice in sentenza (art. 105, comma 3, c.p.p.).

La difesa delle parti private diverse dall'imputato

La persona fisica o giuridica, allorchè decide di costituirsi parte civile perché offesa o danneggiata dal reato, ovvero venga evocata nel processo come responsabile civile o quale civilmente obbligata per la pena pecuniaria, entra e rimane col ministero di un difensore, a tal fine conferendogli procura speciale nelle forme indicate dall'art. 100, commi 1 e 2, c.p.p..

Per tali evenienze è previsto un solo difensore che tuttavia può avvalersi di un sostituto nominandolo con le stesse modalità legalmente prescritte al difensore dell'imputato. Il nominato può così compiere e ricevere per la parte rappresentata tutti gli atti del procedimento tranne quelli che la legge riserva alla parte stessa, divenendone al contempo domiciliatario legale.

Sommario