Giurisdizione e competenza
29 Aprile 2020
Inquadramento
In fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
Le regole processuali in materia di giurisdizione e competenza sono quelle che, in base a quanto previsto dall'art. 25 Cost., concorrono all'individuazione del “giudice naturale” di una vertenza. Il rilievo costituzionale del tema giustifica la centralità assunta in proposito dalla giurisprudenza della Consulta. In particolare, le regole sulla giurisdizione individuano:
Una volta individuata la giurisdizione, le regole in tema di competenza concorrono all'individuazione del singolo organo giudicante presso il quale, in concreto, dovrà essere incardinato il giudizio; nel processo tributario la materia del contendere e il suo valore non dispiegano effetti sulla competenza, che si determina sulla base del solo criterio territoriale. L'attuazione concreta di siffatto riparto è assicurata, poi, dalle regole processuali che stabiliscono le modalità in base alle quali può essere sollevato il difetto di giurisdizione o di competenza del Giudice adito e disciplinano l'eventuale trasferimento del giudizio di fronte ad un nuovo Giudice. Secondo l'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, la giurisdizione tributaria è quella devoluta alla cognizione delle Commissioni tributarie; la giurisdizione tributaria venne introdotta nel nostro ordinamento prima dell'approvazione della Costituzione, la quale ne ha consentito la permanenza nel nuovo ordine democratico, salvo il divieto di estenderne la portata in modo tale da devolvere alla giurisdizione speciale materie che non siano attinenti alla sua originaria natura (sul punto della natura giurisdizionale – e non, invece, amministrativa – delle Commissioni tributarie, v. Corte Cost., 16 febbraio 1989, n. 50; Corte Cost. 21 luglio 1995, n. 351; Corte Cost. 27 dicembre 1974, n. 287). Tale regola ha costituito, e costituisce ancora oggi, un importante parametro per la valutazione della legittimità costituzionale delle norme che, in modo più o meno diretto, intervengono a rimodellare i confini della giurisdizione in oggetto. “Oggetto della giurisdizione tributaria” è la rubrica che reca l'art. 2, D.Lgs. 546/1992, chiamato a fissare i c.d. “limiti esterni” della giurisdizione sui tributi, ossia le regole di ripartizione delle controversie tra questa giurisdizione e le altre.
La giurisdizione delle Commissioni tributarie provinciali e regionali comprende, in primis, “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie”, tra cui “quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale”. Alle Commissioni tributarie sono, altresì, devolute le controversie in materia catastale. La formazione del catasto è funzionale a molti aspetti dell'imposizione avente ad oggetto i beni immobili ed implica l'emanazione di una serie di atti generali e particolari: mentre gli atti generali potranno essere impugnati di fronte al Giudice amministrativo, spetta alle Commissioni tributarie la cognizione delle controversie concernenti gli atti di classamento e tutti gli atti “comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati”. La natura di tributo
L'attuale formulazione dell'art. 2, comma 1, cit. porta in primo piano la questione della attribuzione della natura tributaria o d'altro genere (sanzionatoria, ripristinatoria, corrispettiva, ecc.) alla pubblica entrata oggetto di controversia; solo nel caso in cui ci si trovi davanti a un prelievo tributario la lite potrà essere conosciuta dalle Commissioni. A questa regola non fanno eccezione, del resto, nemmeno (le controversie inerenti) quei prelievi che sarebbero devoluti alla giurisdizione tributaria per espressa previsione di legge; la legge che attribuisse alla giurisdizione tributaria una materia estranea alla sua natura, infatti, finirebbe per violare l'art. 102 Cost., che vieta l'introduzione di nuovi giudici speciali (determinando, in sostanza l'estensione arbitraria da parte del legislatore delle giurisdizioni speciali che con l'avvento dell'ordinamento costituzionale sono state mantenute) e si esporrebbe alla declaratoria di incostituzionalità. Accertare la natura tributaria di un prelievo – quale che sia la sua fonte normativa, legge statale o regionale o regolamento o direttiva europea – può rappresentare un'operazione complessa; secondo la Corte Costituzionale, gli indici maggiormente sintomatici della natura tributaria di una prestazione pubblicistica vengono riconnessi:
Qualora il prelievo dal quale scaturisce la controversia difetti di uno dei predetti elementi, quest'ultima non potrà essere conosciuta dal Giudice tributario.
L'art. 2 cit. stabilisce anche che una serie di questioni, per il fatto di accedere in modo diretto ed univoco ad una lite tributaria, rientrano nella giurisdizione del Giudice speciale (c.d. “principio della concentrazione” della tutela giurisdizionale). Si tratta, in particolare:
L'individuazione delle materie che, in base all'art. 2 cit., vengono attratte alla cognizione del Giudice tributario non esaurisce l'opera di delimitazione della giurisdizione tributaria; occorre altresì considerare l'art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, che, individuando in modo tassativo una serie di provvedimenti contro i quali è ammessa la proposizione del ricorso: i) seleziona – affidandole al Giudice tributario – le sole controversie tra il contribuente e l'Ente impositore, che è l'unico soggetto legittimato all'emanazione dei provvedimenti impositivi (restano, pertanto, devolute al Giudice ordinario le vertenze, insorte tra privati, che abbiano ad oggetto questioni tributarie). Tra le controversie inerenti la materia tributaria (e, pur tuttavia, devolute al Giudice ordinario) sono comprese le controversie tra il sostituto e il sostituito d'imposta; in tal senso si sono, da ultimo, espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Unite, 26 giugno 2009, nn. 15031-15032 e 8 aprile 2010, n. 8312; in senso analogo e di recente v. Cass. Civ., Sez. VI, 26 gennaio 2013, n. 2133), prendendo posizione su una querelle giurisprudenziale che continua a trovare, peraltro, eco nella dottrina processualistica; ii) esclude la possibilità di chiedere al Giudice di pronunciarsi su provvedimenti che non esprimano una definitiva determinazione dell'an e del quantum della pretesa impositiva. Dal combinato disposto degli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546/1992, si trae che l'ambito della giurisdizione tributaria è limitato alle controversie che, suscettibili di insorgere in materia di tributi, si instaurino tra Ente impositore e contribuente e concernano le sole fasi dell'attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta rappresentate dall'accertamento, dalla liquidazione, dalla riscossione, dall'area della tutela cautelare e dal rimborso.
L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha mano a mano superato l'elencazione tassativa degli atti impugnabili ex art. 19 cit., enucleando progressivamente nuove ipotesi nelle quali una controversia inerente la materia tributaria può essere conosciuta dalle Commissioni, senza trovare ostacolo nell'art. 19, comma 3, a mente del quale “gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente”; sono stati così individuati atti la cui impugnabilità deriva da una interpretazione estensiva dell'elencazione di cui all'art 19 cit.. Si pensi, ad esempio, agli avvisi di liquidazione dell'IVA che seguano la dichiarazione del contribuente (ex art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972); in questo caso si è al cospetto di atti contenenti una pretesa sufficientemente individuata, sicché il provvedimento è impugnabile e la mancata proposizione di ricorso avverso il medesimo preclude al contribuente la contestazione dei suoi contenuti nelle successive fasi dell'azione impositiva (Cass. civ., Sez. V, 23 luglio 2009, n. 17202; in senso analogo, e più di recente, v. Cass. Civ., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 24916). Inoltre, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, è impugnabile ogni atto “che si riveli comunque idoneo, in ragione del suo contenuto, a far sorgere l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c." (Cass. civ., Sez. Unite, 18 febbraio 2014, n. 3773). In particolare, secondo tale convincimento (c.d. “impugnabilità facoltativa”), il contribuente può adire il Giudice impugnando l'atto che, ancorché non menzionato all'art. 19 cit. né riconducibile in via di interpretazione estensiva all'elenco degli atti ivi indicato, lo ponga a conoscenza di una pretesa tributaria ormai definitiva, seppure non ancora formalizzata in uno dei provvedimenti contemplati (o ricavabili in via interpretativa) dal medesimo art. 19. In alternativa, il privato può attendere l'emissione dell'atto in forma autoritativa (questo sì, “tipico” ai sensi dell'art. 19 cit.), senza che ciò determini a suo carico alcuna decadenza dal potere di contestare l'azione del Fisco.
Il difetto di giurisdizione
Il vizio del difetto di giurisdizione si concretizza quando il giudizio viene incardinato presso un Giudice sprovvisto di giurisdizione oppure qualora il ricorrente/attore abbia erroneamente individuato il Giudice munito di giurisdizione (difetto relativo di giurisdizione) ovvero abbia fatto valere una posizione giuridica soggettiva non giustiziabile (difetto assoluto di giurisdizione).
In base all'art. 3 del D.Lgs. n. 546/1992, il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche d'ufficio dal Giudice, in ogni stato e grado del giudizio. Con riguardo a tale regola (integrata ad opera dell'art. 59 della L. n. 69/2009), si deve segnalare che: i) il difetto di giurisdizione non può essere rilevato né qualora sia già intervenuta sul punto una pronuncia affermativa della giurisdizione ad opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, né quando si sia formato il giudicato interno sull'affermazione della giurisdizione che il Giudice, implicitamente o esplicitamente, abbia operato pronunciandosi sul merito della vertenza; ii) quando il Giudice (ordinario o speciale) rileva il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il Giudice nazionale che ritiene munito della giurisdizione; iii) se il ricorrente/attore, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al punto precedente, ripropone il ricorso/domanda davanti al Giudice indicato come munito di giurisdizione, le parti restano vincolate a quella indicazione e sono fatti salvi tutti gli effetti sostanziali e processuali propri dell'originario ricorso/domanda. Il Giudice davanti al quale viene riassunto il giudizio, tuttavia, ha la possibilità, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, di richiedere d'ufficio il regolamento preventivo di giurisdizione. In ogni caso, la decisione del Giudice affermativa della giurisdizione può essere oggetto delle impugnazioni ordinarie, tanto che le questioni attinenti alla giurisdizione possono formare oggetto di motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 1), c.p.c. Il regolamento preventivo di giurisdizione
Il regolamento di giurisdizione è un rimedio processuale che consente di ottenere la fissazione definitiva della giurisdizione in ordine a una determinata controversia, prima che intervenga una pronuncia di merito del Giudice adito. Scopo dell'istituto è quello di risolvere sollecitamente la questione di giurisdizione, evitando il rischio che il processo debba nuovamente svolgersi di fronte a un diverso Giudice. L'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 richiama l'art. 41 c.p.c., a mente del quale la parte può rivolgersi alla Corte di Cassazione per stabilire, una volta per tutte, se esista e quale sia il Giudice dotato della giurisdizione per una determinata lite; tale rimedio può essere esperito solo prima che sia intervenuta una qualsivoglia pronuncia di merito da parte del Giudice adito (ciò rende, appunto, il regolamento “preventivo”). Secondo l'art. 41 cit., la proposizione del ricorso preventivo di giurisdizione non comporta la necessità, per il Giudice adito, di sospendere il giudizio; la sospensione è rimessa ad una sommaria valutazione in ordine alla fondatezza e all'ammissibilità dell'istanza, onde evitare utilizzi meramente dilatori dell'istituto. Sull'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione si pronunciano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione; se viene riconosciuto che la giurisdizione è propria di un Giudice diverso da quello adito, le parti hanno a disposizione un termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza per riassumere il giudizio di fronte al Giudice designato. La decisione resa in sede di regolamento preventivo è vincolante per tutti i Giudici dell'ordinamento, oltre che per le parti in lite. La competenza del Giudice tributario
La distribuzione della competenza tra le Commissioni tributarie provinciali, quali giudici di primo grado, è basata solo sulla base del criterio territoriale; non vi sono distinzioni basate sulla materia del contendere o sul valore della controversia. La competenza territoriale delle Commissioni tributarie provinciali è determinata, ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 546/1992, in base alla sede dell'Ente impositore che ha emesso l'atto impugnato e avverso il quale è stato proposto il ricorso.
La competenza delle Commissioni tributarie regionali, quali Giudici di appello, si determina, ancora, sulla scorta di un criterio territoriale: è competente a conoscere del gravame la Commissione regionale nella cui circoscrizione ha sede la Commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata. A tale proposito, si rilevi che l'erronea proposizione dell'appello avanti la Sezione Staccata della Commissione tributaria regionale (nonché l'opposto) non determina una questione di competenza, e la Segreteria della Commissione erroneamente adita ha l'onere di trasmettere il gravame al Giudice correttamente individuato; ciò, in quanto l'istituzione delle Sezioni staccata ha un mero rilievo organizzativo interno alla singola Commissione tributaria regionale. Per quanto riguarda l'individuazione del Giudice competente a conoscere del ricorso in ottemperanza, occorre fare riferimento all'art. 70, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, stando al quale, se la sentenza passata in giudicato è stata resa dalla Commissione tributaria provinciale, quest'ultima è competente a pronunciarsi sull'ottemperanza, mentre è competente la Commissione tributaria regionale in tutti gli altri casi. Al contrario di quanto può accadere nel processo civile, nel giudizio tributario la competenza è sempre inderogabile; l'incompetenza può essere rilevata anche d'ufficio dal Giudice, ma solo nell'ambito del grado al quale il vizio si riferisce (in tal senso, v. art. 5, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 546/1992). L'art. 5 cit. stabilisce, altresì, che nel giudizio tributario non è ammissibile il regolamento di competenza nelle forme e modalità nelle quali è previsto nel processo civile (regolamento di competenza necessario, facoltativo e d'ufficio, la cui disciplina è dettata, rispettivamente, dagli artt. 42, 43 e 45 c.p.c.). Qualora la Commissione tributaria provinciale dichiari la propria competenza (anche in modo implicito), non è ammessa, pertanto, che la proposizione dell'appello per censurare detta statuizione.
Viceversa, se la Commissione tributaria riconosce di essere incompetente, lo fa con una pronuncia che individua il Giudice munito della competenza, il quale, a sua volta non può né declinare la competenza né, ripetesi, promuovere un regolamento dinanzi alla Corte di Cassazione. Correlativamente, la sentenza con la quale la Commissione adita declina la propria giurisdizione fa sorgere in capo al ricorrente l'onere di riassumere il giudizio, entro il termine perentorio di sei mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza medesima; ove ciò non accada, il giudizio si estingue e l'atto impugnato acquista definitività. Riferimenti
Normativa Artt. 1, 2, 3, 4, 5, 19 e 70, D.Lgs. n. 546/1992; Art. 59, L. n. 69/2009; Art. 41 c.p.c. Art. 360 c.p.c.
Giurisprudenza Cass. Civ., Sez. V, 28 maggio 2014, n. 11929 Cass. Civ., Sez. Unite, 18 febbraio 2014, n. 3773 Cass. Civ., Sez. V, 5 ottobre 2012, n. 17010 Cass. Civ., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 7344 Cass. Civ., Sez. V, 15 aprile 2011, n. 8663 Cass. Civ., Sez. Unite, 26 gennaio 2011 n. 1782; Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 238; Corte Cost., 10 ottobre 2008, n. 335; Corte Cost., 10 marzo 2008, n. 64; Corte Cost., 14 marzo 2008 n. 64; Corte Cost., 14 maggio 2008, n. 130; Cass. Civ., Sez. Unite, 10 agosto 2005, n. 16776; Cass. Civ. Sez. V, 13 agosto 2004, n. 15864
Prassi Circolare dell'Agenzia delle Entrate 3 marzo 2009, n. 7/E.
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