Riparto dell'onere della prova tra paziente e struttura sanitaria in materia di infezioni nosocomiali

Ilaria Oberto Tarena
03 Agosto 2021

In applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario. Alla struttura sanitaria, invece, compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione.
Massima

In applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria elaborati dalla Suprema Corte, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare di:

1) aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive;

2) dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.

Il caso

Due coniugi agivano in giudizio per far accertare la responsabilità del medico e della struttura sanitaria presso cui la donna aveva eseguito due interventi chirurgici.

A detta degli attori, il secondo intervento si era necessario a causa dei postumi residuati in seguito al primo intervento, che non era stato effettuato correttamente.

A seguito della seconda operazione si verificava inoltre una “infezione chirurgica della ferita operatoria” causata dal batterio Serratia Marcenscens, che rendeva necessario un terzo intervento chirurgico presso altra struttura.

Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello rigettavano le domande degli attori. In particolare, sulla scorta della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di primo grado, la Corte d'Appello riteneva non raggiunta la prova del danno con riferimento ai postumi lamentati, a seguito del primo intervento, e la prova della riferibilità causale della infezione alla struttura sanitaria.

Con specifico riferimento alla infezione nocosomiale, la Corte d'Appello riteneva non provato il nesso causale tra l'infezione e l'operato dei sanitari, poiché dalla consulenza tecnica emergeva che le cause della infezione potessero essere altre, anche prevalenti.

Secondo la Corte d'Appello, i consulenti tecnici avvrebbero infatti ipotizzato come "probabile" l'acquisizione nosocomiale dell'infezione, ma avrebbero poi escluso la responsabilità della Casa di Cura con il criterio del "più probabile che non", rilevando che l'attrice si era curata personalmente presso il proprio domicilio per venti giorni.

I coniugi proponevano quindi ricorso per cassazione lamentando che la sentenza violava o falsamente applicava i principi che governano la ripartizione dell'onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, segnatamente in tema di responsabilità medica, per la violazione dei precetti degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto non assolto dagli appellanti l'onere della prova del danno subito e per aver illegittimamente posto l'onere della prova del nesso causale a carico della parte che non ne era onerata, nonché per aver omesso di esaminare la decisività della documentazione sanitaria prodotta dagli appellanti.

La questione

La Corte di Cassazione si trova quindi ad affrontare il tema del riparto dell'onere probatorio del nesso di causalità nella materia della responsabilità sanitaria e, in particolare, si interroga sull'onere probatorio in capo al paziente e alla struttura sanitaria con riferimento alle infezioni nosocomiali.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte, il Giudice d'Appello non ha applicato correttamente il principio di ripartizione degli oneri probatori in materia di responsabilità sanitaria qualora il danno riguardi un'infezione di origine nosocomiale.

La Cassazione richiama innanzitutto il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario.

Spetta invece alla struttura sanitaria - parte debitrice - dimostrare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, l'esatta esecuzione della prestazione o la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione (così Cass., Sez. III, n. 28991/2019; Cass., n. 24073/2017; Cass., n. 15993/2011; Sez. Un, Sentenza n. 577/2008).

In particolare, la Suprema Corte chiarisce che, in materia di responsabilità medica, il ciclo causale è doppio:

  1. il primo ciclo è quello relativo all'evento dannoso e deve essere provato dal danneggiato;
  2. il secondo ciclo è quello relativo alla possibilità di adempiere, che deve essere provato dal danneggiante.

Secondo la Cassazione, la Corte d'Appello aveva erroneamente scomposto l'evento dannoso allegato dagli attori in danno da paralisi ed incontinenza da un lato (ovvero i postumi derivanti dall'intervento), e danno da infezione dall'altro, anziché considerare entrambi i danni come effetto della sequenza fattuale complessivamente causativa del danno.

La Corte d'Appello non aveva quindi considerato, in primo luogo, che gli attori avevano assolto il loro onere probatorio del nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica e l'insorgenza della infezione con la condotta del sanitario.

Gli attori avevano infatti provato che il secondo intervento chirurgico era stato necessario, in quanto eseguito per recidivante dell'ernia originariamente operata. Inoltre, gli attori avevano anche provato che il terzo intervento era stato imposto a fronte della infezione della ferita operatoria infetta.

Oltre a ciò, la Corte d'Appello aveva travisato i fatti accaduti, giacché la paziente non si era curata presso il proprio domicilio per venti giorni, e non aveva interpretato correttamente le risultanze della consulenza tecnica poiché i periti avevano in realtà affermato che, con alta probabilità, l'infezione avesse genesi nosocomiale.

La Corte d'Appello non aveva poi nemmeno indagato se la struttura sanitaria avesse eseguito una corretta terapia profilattica pre e post-intervento e, soprattutto, se di ciò la casa di cura e il medico avessero fornito prova.

Per l'effetto, in accoglimento del ricorso, la Suprema Corte ha rinviato la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione, affinché “oramai esaurito il giudizio in punto di an debeatur in assenza di prova liberatoria fornita dai convenuti - determini il quantum da liquidare a titolo di risarcimento dei danni cagionati in favore della parte”.

Osservazioni

Una volta chiarito il corretto riparto dell'onere probatorio con specifico riferimento al nesso causale in tema di responsabilità medica, la Cassazione applica i menzionati principi al caso della infezione di origine ospedaliera.

Dalla sentenza in commento, emerge, in particolare, quanto sia complessa la prova liberatoria a carico della struttura sanitaria in caso di infezione nosocomiale.

In base al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di nesso causale, il paziente deve provare che il nesso di causale tra la prestazione sanitaria a cui si è sottoposto e il processo infettivo, oltre alla prova dell'esistenza del contratto e dell'aggravamento della patologia ovvero dell'insorgenza di nuove patologie.

Per la struttura sanitaria, l'onere probatorio è invece doppio.

Innanzitutto, la struttura sanitaria deve provare di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive a carattere batterico. In sostanza, la struttura sanitaria dovrà provare di adottato e attutato i protocolli a prevenzione delle infezioni nosocomiali, che, pertanto, dovranno essere prodotti in giudizio dalla struttura sanitaria.

Secondariamente, la struttura sanitaria deve dimostrare di aver applicato tali protocolli nel caso specifico.
Ad esempio, si dovrà dimostrare di aver sottoposto il paziente ad una adeguata terapia profilattica pre e post-intervento.

D'altra parte, in base al principio di vicinanza della prova, non potrebbe gravare sul paziente l'onere di provare che la struttura sanitaria e il medico abbiano adottato e rispettato i necessari standard di igiene e prevenzione per l'esecuzione di interventi sanitari, per cui tale onere probatorio grava necessariamente sulla struttura.

Occorre poi evidenziare che, anche in materia di infezioni nosocomiali, la responsabilità della struttura sanitaria non è mai oggettiva e non può essere desunta automaticamente dalla sola circostanza che l'infezione abbia origine nosocomiale.

La struttura sanitaria deve infatti potersi avvalere della prova liberatoria al fine di dimostrare di aver posto in essere tutte le misure di prevenzione – anche nel caso di specifico – per scongiurare le infezioni nosocomiali.

Anche perché le infezioni ospedaliere rappresentano di fatto un evento inevitabile e ciò sebbene siano adottati e attuati i protocolli per la loro prevenzione.

In un articolo della presente rivista, si segnalava infatti che “molte infezioni sono per loro natura “inevitabili” (circa il 70% del totale), nel senso che, pur adottando tutte le precauzioni previste dalla letteratura medica, esse rappresentano una complicanza non “prevenibile” di determinati interventi.” (La prova liberatoria nella responsabilità da infezioni nosocomiali, di Mariachiara Vanini).

Conseguentemente, nulla dovrebbe essere imputato alla struttura sanitaria se la stessa dimostra di aver posto in essere, nel caso concreto, tutte le cautele per prevenire l'insorgenza delle infezioni nosocomiali.

Riferimenti

VANINI M., La prova liberatoria nella responsabilità da infezioni nosocomiali, in Ridare.it

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