Presupposti di individuazione della residenza fiscale

23 Agosto 2021

Ai fini della individuazione della residenza fiscale ciò che rileva è l'esistenza di un criterio di collegamento fisico tra il contribuente e il territorio dello Stato, che non si esaurisce nella localizzazione in Italia della sola residenza anagrafica, ma investe anche la prova del domicilio, laddove i criteri di collegamento tra persona fisica e territorio dello Stato della residenza e del domicilio sono tra di loro alternativi. Assume inoltre rilevanza anche il concetto di riconoscibilità del domicilio da parte dei terzi, riconoscibilità che va individuata in relazione alla gestione degli interessi e degli affari economico-patrimoniali. E tra gli elementi di fatto utili ad individuare la residenza fiscale vi sono anche le cariche ricoperte in enti e società o l'apertura di conti correnti.
Massima

Ai fini della individuazione della residenza fiscale ciò che rileva è l'esistenza di un criterio di collegamento fisico tra il contribuente e il territorio dello Stato, che non si esaurisce nella localizzazione in Italia della sola residenza anagrafica, ma investe anche la prova del domicilio, laddove i criteri di collegamento tra persona fisica e territorio dello Stato della residenza e del domicilio sono tra di loro alternativi. Assume inoltre rilevanza anche il concetto di riconoscibilità del domicilio da parte dei terzi, riconoscibilità che va individuata in relazione alla gestione degli interessi e degli affari economico-patrimoniali.

E tra gli elementi di fatto utili ad individuare la residenza fiscale vi sono anche le cariche ricoperte in enti e società o l'apertura di conti correnti.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 11620 del 4 maggio 2021, ha chiarito quali sono i presupposti in presenza dei quali può essere individuata in Italia la residenza fiscale del contribuente.

Nel caso di specie la contribuente aveva proposto ricorso avverso un atto di contestazione di sanzioni, emesso per violazione dell'art. 4, comma 1 e 5, e comma 4, d.l. 28 giugno 1990, n. 167, per l'anno di imposta 2003, sul presupposto che la stessa, in quanto residente fiscalmente in Italia, ancorché iscritta all'A.I.R.E., detenesse - in assenza di dichiarazione - investimenti all'estero di natura finanziaria, ovvero attività estere di natura finanziaria.

La contribuente aveva quindi allegato di avere trasferito da tempo la propria residenza in Spagna e di avervi trasferito anche il proprio centro degli affari e degli interessi.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso e la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la pronuncia, rigettando l'appello dell'Ufficio, e ritenendo che la contribuente avesse effettivamente provato di essere residente in Spagna (Isole Canarie).

Il giudice di appello aveva in particolare ritenuto che la famiglia della contribuente avesse stabilito in Spagna il centro degli affari e degli interessi sin dall'inizio degli anni novanta, avendo questa vissuto in loco in una abitazione di proprietà, dapprima insieme al marito sino al 2003 e, dopo la separazione dei coniugi, continuando a risiedervi insieme ad una delle figlie.

L'Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, che l'affermazione secondo cui in Spagna vi sarebbe stato il centro degli interessi e degli affari era affermazione del tutto apodittica.

L'Agenzia delle Entrate deduceva poi la violazione dell'art. 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell'art. 43 c.c. e degli artt. 4 e 5 d.l. n. 167/1990, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva fondato la decisione sull'accertamento della (sola) dimora stabile della contribuente in Spagna, laddove la dimora abituale all'estero non escludeva comunque che il contribuente potesse ritenersi fiscalmente residente in Italia.

La questione

Nella specie il giudice di appello aveva fondato il proprio convincimento sull'avvenuta prova, da parte della contribuente, della propria residenza in Spagna, deducendola da una circostanza in fatto, ossia il fatto che la contribuente avesse fissato la propria dimora per lungo tempo presso un immobile nelle Isole Canarie.

Quanto, poi, alla circostanza che la contribuente avesse fissato in Spagna il proprio centro degli affari e degli interessi, la Commissione Tributaria Regionale lo aveva appunto dedotto valorizzando la circostanza in fatto della fissazione in Spagna di una stabile dimora.

Si trattava quindi di definire l'esatto perimetro normativo della individuazione della residenza in Italia ai fini fiscali e quello degli elementi in fatto idonei alla corretta rilevazione del suddetto perimetro.

La decisione della CTR, peraltro, non ancorava gli elementi in fatto allo specifico periodo di imposta dell'anno di imposta 2003, ma prendeva in esame l'elemento della fissazione della dimora nelle Isole Canarie lungo un ampio periodo di tempo (dagli anni precedenti al 2003 sino al 2003 e per il periodo successivo a tale anno), mancando, pertanto, un circostanziato e specifico accertamento in relazione al suddetto periodo di imposta.

Tanto premesso, quanto alle norme applicabili nella specie,l'art. 2, comma 2, TUIR, dispone che «ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile».

Ai fini dunque dell'imposizione reddituale ciò che rileva è l'esistenza di un criterio di collegamento fisico tra il contribuente e il territorio dello Stato, che non si esaurisce nella localizzazione in Italia della sola residenza anagrafica, ma investe anche la prova del domicilio, che, stante il rinvio contenuto nell'a 2, comma 2, TUIR, va qualificato, secondo la disciplina di diritto comune, come sede principale di affari e interessi della persona fisica, ex art. 43 c.c. (cfr., Cass., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 961).

Secondo costante giurisprudenza della Cassazione, i criteri di collegamento tra persona fisica e territorio dello Stato (residenza e domicilio) sono peraltro tra di loro alternativi, a ciò conducendo l'utilizzo nella suddetta norma della congiunzione «o».

Pertanto, ai fini della individuazione della residenza fiscale, coesistono più criteri di collegamento, «il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali» (Cass., Sez. V, 1° marzo 2019, n. 6117; conf. Cass., sez. trib., 16 gennaio 2015, n. 678; Cass., sez. trib., 18 novembre 2011, n. 24246; Cass., 15 giugno 2010, n.14434; Cass., Sez. V., 26 febbraio 2007, n. 4304).

Benché quindi un contribuente non sia più formalmente residente in Italia, può comunque ritenersi sussistente la residenza ai fini fiscali laddove venga provato che il contribuente stesso abbia mantenuto in Italia (o ivi stabilito) il proprio domicilio civilistico.

Altro requisito previsto dalla norma è poi che l'accertamento della fissazione in Italia del domicilio debba coprire «la maggior parte del periodo di imposta», essendo evidente l'intento del legislatore di non legare l'accertamento a eventi occasionali, ancorandolo all'ulteriore accertamento di una sufficiente permanenza temporale del criterio di collegamento.

A fronte, pertanto, della formale emigrazione e della cancellazione dal registro dell'anagrafe residente e della fissazione della residenza anagrafica all'estero, un contribuente rimane comunque fiscalmente residente in Italia se risulti accertato che egli abbia mantenuto in Italia il proprio domicilio civilistico (art. 43 c.c.), inteso come luogo dove una persona ha stabilito la sede principale dei propri affari e interessi, prescindendosi dalla effettiva residenza in quel luogo, a condizione, però, come detto, che ciò venga accertato in relazione alla maggior parte del periodo di imposta in questione (da ultimo, Cass., Sez. trib., 8 ottobre 2020, n. 21694).

Sotto il medesimo profilo, ai fini dell'individuazione del domicilio, assume inoltre rilevanza il concetto di riconoscibilità dello stesso da parte dei terzi, riconoscibilità che va individuata in relazione alla gestione degli interessi e degli affari economico-patrimoniali, prioritariamente rispetto al luogo delle relazioni affettive e familiari (cfr., Cass., Sez. trib., 20 dicembre 2018, n. 32992; Cass., Sez. trib., 31 marzo 2015, n. 6501).

Le soluzioni giuridiche

Tanto chiarito quanto alla disciplina astrattamente applicabile, nella specie, secondo la Suprema Corte, il ricorso era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che, nel caso in giudizio, doveva essere accertato in fatto se la contribuente, indipendentemente dalla fissazione della residenza in Spagna, avesse mantenuto in Italia il proprio domicilio, riconoscibile ai terzi, inteso come luogo di stabile gestione, per la maggior parte del periodo di imposta, dei propri interessi ed affari.

L'Amministrazione ricorrente aveva a tal proposito evidenziato, quali fatti storici idonei a dimostrare la suddetta circostanza, una serie di elementi, specificamente indicati nel ricorso, desunti da un elemento documentale (agendina della contribuente), attinenti al periodo di imposta oggetto di accertamento, di cui non era stato fatto alcun esame nella sentenza impugnata, e da cui si desumeva la presenza della contribuente in diversi Comuni in Italia, tra cui diversi centri commerciali, viaggi effettuati dalle Canarie in Italia, spostamenti giornalieri in Italia del di lei coniuge nel 2003, etc., i quali avrebbero dovuto far dedurre la continua presenza in Italia del centro degli affari e degli interessi.

A tali elementi si aggiungevano poi ulteriori fatti storici, attinenti alla sfera patrimoniale ed economica della contribuente, quali le cariche ricoperte dalla stessa in enti collettivi o morali, nonché le dichiarazioni rese dalla contribuente in un atto di compravendita dello stesso anno circa la propria residenza in Italia, l'apertura di conti correnti in Italia con recapito presso le di lei figlie, etc.

Tutti fatti storici probatoriamente decisivi, laddove, stante la loro pregnanza indiziaria, la loro valutazione congiunta era idonea a ritenere stabilito in Italia il domicilio della contribuente, indipendentemente dalla iscrizione anagrafica in Spagna.

La Corte di Cassazione, ritenendo tali elementi determinanti, accoglieva il ricorso ed enunciavail seguente principio di diritto: «ai fini dell'accertamento della residenza fiscale in Italia di persona fisica iscritta all'A.I.R.E. deve accertarsi se la persona fisica abbia fissato o mantenuto in Italia il proprio domicilio, come disciplinato dal codice civile, riconoscibile ai terzi, inteso come stabile fissazione nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo di imposta, del luogo della gestione dei propri interessi ed affari».

Osservazioni

Come evidenzia anche la Corte nella sentenza in commento, ai sensi dell'art. 2, c. 2, d.P.R. n. 917/1986, si considerano residenti i cittadini che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritti nella anagrafe della popolazione residente, o hanno nel territorio dello Stato il domicilio e la residenza ai sensi del codice civile.

Tali due ultimi criteri non hanno applicazione congiunta ed era pertanto nel caso di specie sufficiente esaminare se la contribuente avesse o meno nel territorio italiano il proprio domicilio, o la propria residenza.

L'errore del giudice di merito era stato dunque nella specie quello di concentrarsi sul solo elemento della residenza.

Per quanto riguarda il requisito della residenza, questa, secondo la definizione che ne dà il codice civile, corrisponde infatti al luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale.

La residenza, quindi, non viene meno per una più o meno prolungata assenza, specie se occasionata da motivi contingenti (viaggi di studio o di lavoro, ecc.), semprechè comunque la persona vi conservi l'abitazione e vi ritorni quando possibile.

Ai fini della dimostrazione della residenza fiscale, tuttavia, come detto, è sufficiente anche la dimostrazione della presenza del domicilio in Italia.

Il domicilio, del resto, ancor più della residenza, è caratterizzato dall'elemento soggettivo, cioè dalla intenzione di costituire e mantenere in un determinato luogo il centro principale delle proprie relazioni familiari, sociali, economiche, laddove se parte della famiglia mantiene la propria residenza in Italia, sarà quindi senz'altro più agevolmente presumibile che le relazioni familiari e sociali continuino a svolgersi nel nostro Paese.

E questo ancor più se poi, come anche era nella specie, tale elemento sia confermato dalla dimostrazione di altrettanti interessi economici.

L'iscrizione all'AIRE non assicura dunque di essere considerato fiscalmente residente all'estero, laddove il centro concreto di interessi economico-sociali prevale sulla formale iscrizione nell'Anagrafe.

Vero è, in ogni caso, che la localizzazione fiscale di un soggetto in Italia deve avvenire sulla base di elementi concreti, come avvenuto anche nel caso oggetto del giudizio in commento.

La valutazione da effettuare in questi casi è dunque spiccatamente di fatto.

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