Spese di giudizio sostenute dal difensore della società estinta prima dell'accertamento tributario

30 Agosto 2021

Nel caso di azione o impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e conseguentemente è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio.
Massima

Nel caso di azione o impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e conseguentemente è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio.

Il caso

Il contribuente, in proprio e nella duplice veste di legale rappresentante nonché socio di una S.r.l., ha impugnato alcuni avvisi di accertamento IVA, IRPE e IRAP notificati dall'Agenzia delle Entrate alla società.

La CTP rigettava il ricorso e la CTR, successivamente investita dell'appello, confermava la decisione affermando la responsabilità del contribuente quale socio della società unipersonale.

Il contribuente ha presentato, pertanto, ricorso per Cassazione avverso la decisione della CTR eccependo che la società, destinataria degli avvisi di accertamento, era stata cancellata dal registro delle imprese in epoca antecedente alla notifica degli stessi e che pertanto quest'ultimi avrebbero dovuto ritenersi inesistenti.

La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione, con la decisione in commento, ha accolto in primo luogo il ricorso e annullato senza rinvio la sentenza impugnata rilevando che il processo di primo grado era viziato “ab origine” perché intrapreso da una società ormai già estinta.

I Giudici della Corte hanno stabilito, in particolare che, essendosi la società estinta prima della notifica degli avvisi di accertamento e prima dell'introduzione del giudizio di merito, si sarebbe presentato un vizio insanabile originario del processo nei confronti della società che avrebbe dovuto portare il Giudice in ogni grado ad adottare una pronuncia declinatoria, trattandosi di impugnazione improponibile che non lascia spazio a ulteriori valutazioni sull'atto impugnato in quanto emesso nei confronti di un soggetto già estinto.

Per i Giudici di legittimità il processo intrapreso da una società già estinta, non può proseguire nei confronti di alcuno, perché il rapporto processuale non è mai venuto ad esistenza e non poteva verificarsi alcun fenomeno successorio ex art. 110 c.p.c. neanche degli eventuali soci pur individuati come successori sul piano sostanziale.

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha condannato altresì l'Avvocato al pagamento di €20.000,00 a titolo di spese di giudizio per aver ricevuto un mandato da una società estinta.

A giudizio della Corte, riguardo tale aspetto:

  • la procura speciale a margine del ricorso presentato era da considerarsi “tamquam non esset” atteso che il legale non aveva alcuna capacità di rappresentare la società, essendo ques'ultima stata cancellata ben prima dell'introduzione del giudizio di primo grado;
  • l'avvocato può essere condannato al pagamento delle spese processuali se emergono anche solo indizi idonei a far ritenere una negligenza da parte del legale nella verifica dell'esistenza del soggetto che gli ha conferito la procura.
  • non possono trovare applicazione gli orientamenti giurisprudenziali sulla c.d. ultrattività del mandato conferito al difensore, riguardando gli stessi solo le ipotesi in cui la morte o l'estinzione del soggetto rappresentato siano avvenute nel corso del giudizio e il mandato sia stato conferito anche per gli ulteriori gradi successivi a quello in cui l'evento si è verificato.
L'estinzione della società

Con l'ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha fornito in primo luogo chiarimenti significativi sulle conseguenze giuridiche, sostanziali e processuali, della cancellazione di una società dal registro delle imprese richiamando l'art. 2495 c.c.

Tale norma ha introdotto la regola secondo cui la società si estingue con la cancellazione dal registro delle imprese, senza che la stessa possa considerarsi più, in alcun modo, ancora vivente, e nonostante la presenza di eventuali rapporti ancora pendenti e non liquidati.

Pertanto, poiché con la cancellazione la società si estingue, i creditori insoddisfatti possono rivolgersi esclusivamente contro i soci fino a concorrenza delle somme da questi riscosse, risultanti dal bilancio finale di liquidazione e dal piano di riparto, e contro i liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro dolo o colpa.

In forza di tale disposizione la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese:

  • è contestualmente atto e momento in cui si individua la decorrenza dell'estinzione della persona giuridica.
  • ha natura costitutiva, quindi determina l'estinzione della società anche se rimangono creditori da soddisfare.

Occorre tuttavia operare un distinguo:

Se la cancellazione interviene nel corso del processo, si verifica, la successione nel medesimo ai sensi dell'art. 110 c.p.c.

I rapporti giuridici (attivi e passivi) pendenti alla data di estinzione si trasmettono ai soci.

Gli artt. 110 e 111 c.p.c. disciplinano la successione nel processo, per prevenire e risolvere gli eventuali problemi di rito che potrebbero insorgere quando viene meno una delle parti del giudizio (art. 110 c.p.c.) o quando si trasferisce a titolo particolare il diritto controverso (art. 111 c.p.c.).

La norma di cui all'art. 110 c.p.c., prevede che se una delle parti del giudizio viene meno, il processo è proseguito dal suo successore universale o in suo confronto.

L'estinzione della società genera, quindi, un fenomeno successorio, equiparabile a quello delle persone fisiche.

Gli ex soci divengono contitolari, in regime di comunione indivisa, dei beni e diritti non liquidati e si realizza quindi un “effetto traslativo” società-soci, quale conseguenza legale della cancellazione/estinzione della società.

Il venir meno di una delle parti del processo non comporta, tuttavia, l'automatico subentro del successore universale nella posizione processuale del soggetto venuto meno.

Infatti, la morte e l'estinzione della parte portano all'interruzione del processo, che può essere riavviato solo per iniziativa di parte.

La causa prosegue, quindi, solo se viene presentata apposita istanza di riassunzione dal successore universale o da un'altra parte nei suoi confronti (cfr. artt. 299 e 300 c.p.c.).

Laddove la cancellazione della società interviene, invece, prima dell'instaurarsi del processo (come nella fattispecie in esame) è evidente che una società non più esistente, perché cancellata dal registro delle imprese, non può validamente intraprendere una causa, né tanto meno esservi convenuta.

Nessuna riassunzione (ribadiscono i Giudici nella sentenza in commento) potrebbe, quindi, essere effettuata atteso che il rapporto processuale non è mai venuta ad esistenza.

E questo, chiaramente, deve valere anche nel processo tributario.

In sostanza, un soggetto giuridicamente inesistente non può certamente impugnare un atto impositivo emanato nei suoi confronti dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese.

A tale conclusioni sono pervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con le sentenze n. 4060, 4061 e 4062 del 22 febbraio 2010 (richiamate puntualmente dalla decisione in commento) nelle quali viene evidenziato che “con la cancellazione dal Registro delle imprese, per le società, anche quelle di persone, si determina l'estinzione della stesse con effetto retroattivo e con conseguente nullità di eventuali atti di accertamento emessi nei confronti delle stesse”.

In definitiva, una volta avvenuta la cancellazione, non è più possibile ritenere esistente l'ente collettivo né farlo rivivere.

Tali conclusioni determinano degli importanti riverberi anche sul piano tributario, in considerazione che, inevitabilmente, gli atti impositivi riferiti ad una società estinta devono ritenersi giuridicamente inesistenti e, quindi, improduttivi di effetti.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito, infatti, con riferimento sia a diverse tipologie di enti collettivi (società di capitali, società di persone, associazioni non riconosciute) sia a diverse tipologie di atti (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento), che "in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell'avviso di accertamento e dell'instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell'ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell'azione, consegue l'annullamento ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito" trattandosi di impugnazione "improponibile, poiché l'inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d'ufficio (Cass. sez. V, 5736/16, 20252/15, 21188/14), non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell'atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto (Cass. sez. V, n. 4778/17, n. 2444/17; Cass. n. 19142/16; Cass. Sez. UU., n. 3452/17, Cass. nn. 4853/15, 21188/14, 22863/11, 14266/06, 2517/00).

Del resto, l'atto tributario ha natura recettizia, pertanto per venire ad esistenza deve essere notificato al soggetto in capo al quale si è verificato il presupposto impositivo.

Ne deriva che se il soggetto al quale deve essere notificato non esiste – in questo caso la società estinta – allora neanche l'atto può esistere.

Pertanto, se l'atto non può essere notificato questo non solo è nullo ma anche inesistente perché privo di ogni effetto giuridico.

È orientamento consolidato, infatti, quello per cui la cancellazione dal registro delle imprese e l'estinzione della società prima della notifica dell'avviso di accertamento e dell'instaurazione del giudizio di primo grado compromette la sua capacità processuale. (Css. Civ. 23 giugno 2020 n. 12307).

Ciò in quanto la società estinta è priva della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio. Dunque non può intraprendere o subire utilmente alcuna azione giudiziaria, né tantomeno può avanzare pretese o essere utilmente diffidata stragiudizialmente».

Il nuovo regime introdotto dal decreto “semplificazioni”

Nell'ambito di tale tematica, tuttavia, dubbi e perplessità sono sorti a seguito dell'introduzione dell'art. 28 del d.lgs. n. 175/2014 (c.d. “decreto semplificazioni”).

Un'importante novità è stata introdotta in materia tributaria con il d.lgs. n. 175/2014, che all'art. 28, comma 4, ha disposto la sopravvivenza della società estinta, ai soli fini fiscali, per la durata di un quinquennio dall'avvenuta cancellazione.

Ciò ha determinato profondi cambiamenti nell'ambito della responsabilità fiscale di una società estinta.

La ratio di tale disciplina, individuata dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 175/2014, è quella di assicurare il soddisfacimento del credito erariale attraverso “una temporanea inefficacia dell'estinzione” al fine di “evitare che le azioni di recupero poste in essere dagli enti creditori possano essere vanificate”.

In altri termini, si tratta di un “artificio” volto ad agevolare l'Amministrazione finanziaria.

La norma presenta tuttavia una serie di aspetti controversi che rendono ancora più ambigua una disciplina già di per sé assai complessa.

In primo luogo, sembra collidere con il granitico orientamento giurisprudenziale che attribuisce alla cancellazione dal Registro delle imprese un effetto costitutivo di estinzione della società che mal si concilia con il differimento legale degli effetti della estinzione.

Inoltre, la nuova disciplina tutela esclusivamente i rapporti obbligatori di natura tributaria creando una disparità di trattamento tra il Fisco e tutti gli altri creditori che subiscono, invece, le conseguenze dell'estinzione della società.

Da una più approfondita analisi, tuttavia, si evince che il creditore civilistico non potrebbe in alcun modo giovarsi della riviviscenza della società estinta, atteso che la sopravvivenza del soggetto giuridico estinto non porta con sé quella delle sue consistenze patrimoniali ormai insussistenti.

La società cancellata è infatti priva di beni e diritti sui quali potersi soddisfare. Sembra, allora, che la cancellazione differita della società risponda ad una specifica esigenza che connota esclusivamente i rapporti tributari: la necessità di notificare l'atto impositivo fiscale al soggetto che ha realizzato il presupposto del tributo.

In ordine a tale ultimo profilo – che interessa particolarmente in questa sede – ad escludere l'efficacia retroattiva della previsione normativa è stata la giurisprudenza di legittimità (Cass. 2 aprile 2015, n. 6743.) la quale ha ritenuto che la norma «recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva»

La norma potrà legittimamente applicarsi solo nei confronti di quelle società che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal registro delle imprese a partire dalla data del 13 dicembre 2014.

La procura ad litem inesistente

I Giudici di legittimità nella sentenza in commento hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale della società condannandolo al pagamento delle spese processuali ritenendo che abbia agito senza procura speciale poiché la società che rappresentava si era estinta prima del giudizio dell'introduzione del giudizio primo grado.

Per la Corte l'impugnazione promossa da una società cancellata dal Registro delle Imprese è inammissibile e di conseguenza il legale che ha agito in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della suddetta società deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio intrapreso.

Al riguardo occorre precisare che l'art. 83 c.p.c. sancisce che la procura può essere generale o speciale: la prima conferisce al difensore la rappresentanza della parte in tutti i giudizi che la vedono coinvolta, la seconda solo relativamente ad una o più liti specifiche.

Dunque, attraverso un negozio giuridico unilaterale, la parte conferisce in capo al difensore il potere di farsi rappresentare in giudizio.

A norma dell'art. 83, terzo comma c.p.c. la procura speciale può essere anche apposta direttamente in calce o a margine del primo atto difensivo, tuttavia in tal caso il difensore deve certificare l'autografia della sottoscrizione della parte.

La norma prosegue poi prevedendo che la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati dal Ministero della Giustizia.

In alcuni casi l'ordinamento richiede che il potere di rappresentare la parte sia conferito unicamente con procura speciale.

È appunto il caso del ricorso per cassazione, per il quale l'art. 365 c.p.c. prevede, a pena di inammissibilità, la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto all'apposito albo e munito di procura speciale.

Orbene, molteplici sono gli effetti e le conseguenze di eventuali vizi della procura; segnatamente, occorre distinguere l'ipotesi in cui la procura alle liti sia inesistente, rispetto a quella in cui la stessa sia da considerarsi invalida o inefficace.

All'uopo, è opportuno evidenziare che si verte in tema di procura inesistente, ogniqualvolta tale atto non sia mai stato conferito, risulti essere falso, oppure venga rilasciato da un soggetto diverso da quello che deve essere rappresentato in giudizio.

In tali ipotesi, se pure è pacifico che il processo sia stato validamente instaurato e, dunque, lo stesso sia perfettamente esistente, è innegabile che il conferimento di valida procura sia elemento imprescindibile per riconoscere ed attribuire l'attività svolta dal difensore, direttamente alla parte rappresentata; l'inesistenza del conferimento della procura, infatti, comporta l'impossibilità che gli effetti processuali si producano in capo alla parte, con la conseguenza che essi avranno come destinatario il solo professionista..

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la conseguenza della inesistenza della procura, è che l'atto introduttivo si considera notificato personalmente dal difensore, non potendosi in alcun modo ricorrere al meccanismo sanante previsto dal novellato art. 182 co. 2 c.p.c., applicabile unicamente alle ipotesi di invalidità e/o inefficacia della procura.

Dunque, non essendo contemplata né consentita alcuna sanatoria in caso di difetto originario di procura (ex multis Cass. SS.UU. n. 10414/2017), l'inesistenza del mandato difensivo comporterà che l'attività processuale risulterà esclusivamente a carico del difensore, il quale si assumerà la responsabilità dell'attività espletata e sarà tenuto al pagamento delle spese del giudizio. professionista.

Considerazioni queste effettuate anche dai Giudici della Corte di Cassazione nella sentenza in commento considerando inesistente la procura speciale del legale posta a margine del ricorso per il fatto che la società da lui “rappresentata” fosse stata cancellata prima ancora che fossero stati notificati gli avvisi di accertamento impugnati.

Per la Corte inoltre:

a) atteso che il ricorso per cassazione richiede necessariamente il conferimento di procura speciale. non poteva nel caso operare l'ultrattività del mandato.

Principio secondo il quale in caso di morte o di incapacità sopravvenuta della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione di tale evento ad opera di quest'ultimo, implica che l'avvocato continui a rappresentare la parte come se questa fosse ancora in vita o capace.

Quanto alla posizione del difensore, in ossequio al principio dell'ultrattività del mandato di difesa e dell'opportunità di lasciarlo arbitro del potere di gestire nel migliore dei modi gli interessi della parte già rappresentata e di coloro che siano destinati a subentrarvi, ove sia in origine munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, sarà legittimato a proseguire nelle successive fasi impugnatorie.

In questo modo, la posizione giuridica della parte risulta stabilizzata nell'ambito del processo, nonché in caso di proposizione dell'impugnazione o di sua successiva quiescenza.

b) il legale aveva il dovere di verificare se vi fossero o meno le condizioni per la rappresentanza processuale e aveva ignorato che la società che assisteva era stata cancellata.

Pertanto, i giudici della Corte, sulla scorta di tali considerazioni, hanno ritenuto vi fossero tutti presupposti per la condanna del legale al pagamento delle spese di lite.

Sul punto si ricorda che la sentenza in commento aderisce all' orientamento giurisprudenziale consolidato per cui in caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte.

La stessa, infatti, resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità.

Una volta accertato che manca la procura speciale, quindi, l'unico soccombente deve considerarsi lo stesso difensore che ha sottoscritto e fatto notificare l'atto introduttivo del giudizio e che, nei confronti del giudice e delle controparti, afferma di essere munito di procura, e non invece il soggetto da lui nominato, il quale, se non ha conferito la procura, nulla può avere affermato in proposito (Cfr. Cass. Civ. 28 maggio 2019, n. 14474; Cass. Civ., 16 maggio 2018 n. 11930).

Risulterà dunque ammissibile la condanna del difensore a pagare le spese del giudizio che, invece, non potrà avvenire in caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura "ad litem" essendo l'attività processuale provvisoriamente efficace e la procura, benché nulla o invalida, tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo (cfr. Cass., SS. UU., n. 10706/2006).

Osservazioni

La sentenza in commento appare dunque di significativo rilievo in quanto fornisce chiare indicazioni sulla sorte degli atti di accertamento notificati a un soggetto giuridico inesistente nonché sulla responsabilità dell'avvocato in caso di omissione di attività di controllo sull'esistenza della persona giuridica da cui acquisisce mandato per agire giudizialmente.

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