Responsabilità della curatela del fallimento del conduttore per i danni alla res locata che giustificano il rifiuto del locatore alla riconsegna

Alberto Celeste
31 Agosto 2021

La Cassazione con la pronuncia in commento - annullando l'impugnato decreto emesso in sede di opposizione allo stato passivo approvato dal giudice delegato e rinviando al giudice a quo per un nuovo esame della domanda ex art.1591 c.c. avanzata dal locatore - ha censurato l'affermazione del Tribunale secondo il quale, benché subentrata nella posizione del conduttore fallito, la Curatela non sarebbe tenuta all'adempimento di un'obbligazione di fare in forma specifica (nella specie, l'esecuzione di opere edili), mentre l'eventuale risarcimento dei danni, certamente imputabili al suddetto conduttore, e risalenti ad epoca precedente la dichiarazione di fallimento, rappresenterebbe un credito concorsuale da insinuare al passivo, previa quantificazione, che non poteva, però, condizionare la riconsegna dell'immobile locato.
Massima

In caso di fallimento del conduttore, il contratto di locazione immobili prosegue in capo alla Curatela fallimentare, la quale subentra nei diritti e negli obblighi contrattuali fino a quando, esercitato il recesso, rimane tenuta alla restituzione della cosa locata - con la corresponsione dell'eventuale indennizzo - nonché al versamento dei canoni maturati fino alla riconsegna, palesandosi, altresì, configurabile in astratto la responsabilità dell'organo concorsuale - deducibile con apposita domanda di ammissione al passivo da parte del locatore - per i danni alla cosa locata cagionati dal fallito che non siano, ex art. 1490 c.c., effetto del deterioramento o del consumo derivanti dall'uso di essa in conformità al contratto, rendendosi indispensabile in tal caso valutare in concreto, ad opera del giudice di merito, la legittimità, o non, del rifiuto del locatore istante alla riconsegna del bene in suo favore.

Il caso

La fattispecie sottoposta all'esame del Supremo Collegio aveva ad oggetto un contratto di locazione per uso commerciale, in cui si autorizzava la Società conduttrice ad eseguire, all'interno dell'immobile locato, lavori di miglioramento e adattamento alle proprie esigenze, tra cui la messa in comunicazione di alcuni locali.

Sopravvenuto il fallimento della suddetta Società, il locatore, con istanza ex art. 93 I. fall., aveva chiesto l'ammissione al passivo di quella procedura concorsuale, in prededuzione, dell'importo relativo ai canoni maturatisi dalla pronuncia di fallimento fino alla data della fissata udienza di verifica del passivo, e di quelli maturandi, successivamente a detta verifica, fino all'effettivo rilascio dell'immobile locato.

Il nominato Curatore, intanto, aveva comunicato al locatore di voler recedere dal contratto suddetto, ex art. 80 l.fall., contestualmente dichiarandosi disponibile “fin da sùbito” alla riconsegna dell'immobile locato, ma il locatore, dopo l'accesso congiunto ivi delle parti, aveva rappresentato alla Curatela la propria impossibilità a riprenderne il possesso, con conseguente inefficacia del recesso di cui sopra, per la pessima condizione in cui era stato concretamente rinvenuto il cespite.

Il Giudice Delegato aveva ammesso solo parzialmente il credito per canoni maturatisi dal fallimento all'udienza di verifica, respingendo l'ulteriore istanza.

Il Tribunale - adìto in sede di opposizione, ex artt. 98-99 I. fall., dal locatore - ne aveva disposto l'ammissione anche per la differenza quanto alla prima delle indicate voci creditorie, confermando, invece, il diniego in relazione alla seconda; in particolare, circa quest'ultima - a prescindere dal fatto che la somma da insinuarsi non era determinabile, non essendo ancora avvenuto il rilascio dell'immobile - aveva opinato che: a) la Curatela si era tempestivamente dichiarata disponibile alla riconsegna del bene, avendolo effettivamente messo a disposizione del locatore fin dal sopralluogo, sicché poteva considerarsi esonerata dall'obbligo di cui all'art. 1591 c.c.; b) il rifiuto del locatore alla restituzione del cespite doveva considerarsi ingiustificato, posto che “la modifica dello stato dei luoghi oggetto di locazione, in particolare la messa in comunicazione dei locali con quelli adiacenti, era stata prevista in contratto ed assentita dal locatore”, per cui, al termine del rapporto, il conduttore avrebbe dovuto rispristinare a regola d'arte soltanto le comunicazioni con i locali adiacenti; c) lo stesso rifiuto, poi, era “contrario anche al generale canone di buona fede nei rapporti contrattuali, dal momento che il creditore non può lucrare - a danno della massa - pretendendo l'adempimento di obblighi che gravavano sul fallito, determinando il maturare di oneri in prededuzione”.

La questione

Si trattava, in primo luogo, di verificare se fosse illegittimo il rifiuto del locatore ad ottenere la riconsegna del bene locato, malgrado il concreto stato di quest'ultimo, compiutamente descritto nel ricorso in sede di opposizione al decreto approvativo dello stato passivo.

In secondo luogo, occorreva vagliare la fondatezza dell'affermazione del Tribunale secondo cui, benché subentrata nella posizione della conduttrice fallita, la Curatela non sarebbe tenuta all'adempimento di un'obbligazione di fare in torma specifica (l'esecuzione di opere edili), mentre l'eventuale risarcimento dei danni, certamente imputabili alla suddetta conduttrice e risalenti ad epoca precedente la dichiarazione di fallimento, rappresenterebbe un credito concorsuale da insinuare al passivo, previa quantificazione, che non poteva, però, condizionare la riconsegna dell'immobile.

In terzo luogo, bisognava accertare se il Tribunale a quo avesse omesso di considerare che la mancata accettazione della res locata fosse giustificata dal conduttore anche sotto il profilo che il bene era stato privato dei muri di delimitazione rispetto alle circostanti porzioni di proprietà della fallita e di quelle condominiali, con ciò determinando la dispersione dei relativi limiti.

Le soluzioni giuridiche

Le censure mosse dal locatore al riguardo - scrutinate congiuntamente per ragioni di connessione - sono state considerate fondate dai giudici di Piazza Cavour.

In buona sostanza, si controverteva in ordine all'ammissione, o non, al passivo del fallimento della Società conduttrice (anche) del preteso credito del locatore, riguardante i canoni da quest'ultimo invocati a decorrere dalla data di verificazione dello stato passivo fino al rilascio, in suo favore, dell'immobile locato (rilascio espressamente “condizionato all'individuazione in contraddittorio dei dispersi limiti dei locali rispetto alle proprietà contigue nonché alla liquidazione dei danni per la ricostituzione della consistenza del bene e della relativa indisponibilità per il tempo occorrente alla realizzazione delle opere necessarie”).

Tale credito è stato negato dai giudici di merito sul duplice presupposto, per un verso, della ritenuta illegittimità e contrarietà a buona fede del rifiuto opposto dal locatore a ricevere la riconsegna del bene locato offertagli dalla Curatela fallimentare, con conseguente esonero di quest'ultima dall'obbligo di cui all'art. 1591 c.c., e, per altro verso, dell'asserita natura concorsuale degli invocati danni, certamente imputabili alla condotta della fallita e risalenti ad epoca precedente la dichiarazione di fallimento, la cui quantificazione, però, non poteva condizionare la riconsegna dell'immobile locato.

Al riguardo, si ricorda che, in caso di fallimento del conduttore, il contratto di locazione di immobili prosegue con il Curatore, che subentra nei diritti e negli obblighi contrattuali fino a quando non decida di recedere dal contratto (art. 80, comma 3, l. fall.); fino a tale momento, quindi, il curatore è certamente tenuto al pagamento dei canoni che scadono dopo l'apertura del fallimento (Cass. civ., sez. I, 26 agosto 2004, n. 17000; Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 1998, n. 10750; Cass. civ., sez. I, 27 novembre 1990, n. 11397), mentre, successivamente, una volta esercitato il recesso - atto unilaterale di natura recettizia, che produce i suoi effetti dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale è destinato, secondo le regole proprie degli atti unilaterali ex art.1334 c.c. - egli è tenuto, oltre che alla restituzione della cosa locata (art. 1590c.c., il cui eventuale ritardo nel relativo adempimento, con i conseguenti effetti, è regolato dall'art. 1591 c.c.), a corrispondere al locatore un “equo indennizzo” per l'anticipato recesso, che, nel dissenso fra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati (art. 80, comma 3, l. fall.).

Nella specie, quindi, con la mera ricezione, ad opera del locatore, del recesso esercitato dalla Curatela del fallimento della Società conduttrice, il contratto di locazione precedentemente descritto risulta definitivamente cessato, contestualmente determinando il sorgere, a carico della medesima Curatela, dei differenti obblighi di restituzione del bene locato e di corresponsione dell'equo indennizzo.

Quest'ultimo, invero, non riguarda, in sé, il profilo della restituzione del bene e delle eventuali opere di ripristino ad esso prodromiche, trattandosi di “indennizzo non onnicomprensivo, bensì collegato all'anticipato recesso effettuato dal Curatore, inteso, come tale, a dare riscontro e riparo alla minore durata del rapporto rispetto alle previsioni stabilite nel contesto del programma contrattuale” (così Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1994, n. 9423).

Osservazioni

Sulla base dei suesposti principi, i magistrati del Palazzaccio hanno correttamente perimetrato l'oggetto del contendere, atteso che si discuteva - non già della corresponsione dell'equo indennizzo ex art. 80, comma 3, l.fall. - ma soltanto della configurabilità, o meno, di una responsabilità della Curatela per ritardata restituzione dell'immobile locato: questa, infatti, si rivelava essere la veste giuridica da attribuire alla pretesa del locatore volta ad ottenere l'ammissione al passivo del fallimento della Società conduttrice (anche) del preteso credito riguardante i canoni da lui invocati a decorrere dalla data di verificazione dello stato passivo - essendo oramai il locatore soddisfatto fino a tale data - alla restituzione, in suo favore, dell'immobile predetto, condizionata nei termini in precedenza esposti; il tutto, tenendo conto, peraltro, che la riconsegna del cespite, già offerta dalla Curatela sebbene senza la procedura di cui agli artt. 1216 e 1209 c.c., è stata rifiutata dal locatore.

In proposito, si condivide il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di riconsegna dell'immobile locato, secondo cui l'adozione della procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., rappresenta l'unico mezzo per la costituzione in mora del creditore e per provocarne i relativi effetti, mentre l'utilizzo, da parte del conduttore, di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), purché serie, concrete e tempestive, e sempre che non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, benché insufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idoneo ad evitare la mora del conduttore nell'obbligo di adempiere la prestazione, anche ai fini dell'art. 1591 c.c. (Cass. civ., sez. VI/III, 20 gennaio 2011, n. 1337; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007, n. 18496).

Posto, allora, che la valutazione circa l'idoneità di una tale offerta è rimessa al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità in presenza di una congrua ed adeguata motivazione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8672); nella specie, gli ermellini hanno rimarcato che la considerazione in termini di serietà e concretezza di quella consacrata nella raccomandata della Curatela al locatore (contestuale all'esercitato recesso della prima ex art. 80, comma 3, l. fall.) non è stata minimamente censurata da quest'ultimo, il quale, invece, ha contestato le già riportate affermazioni del Tribunale circa la mancanza di giustificazione e la contrarietà a buona fede del rifiuto da lui opposto alla riconsegna del bene.

Al riguardo, si ricorda che la magistratura di vertice (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5459; Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2002, n. 16685; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1998, n. 6856; Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1993, n. 6798) ha affermato il principio secondo il quale, nell'ipotesi in cui l'immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, o, in mancanza di descrizione, presenti comunque un cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia, o meno, giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, oppure per avere conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni: nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni per violazione del disposto di cui all'art. 1590 c.c.; nel secondo caso, invece, poiché l'esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un'attività straordinaria e gravosa, il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta.

Questo principio è stato, poi, richiamato anche da una più recente pronuncia (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12977), che è giunta alla conclusione che, “se il conduttore abbia arrecato all'immobile gravi danni o effettuato non consentite innovazioni di tale rilievo che, nell'economia del contratto, sia necessario l'esborso di notevoli somme per eseguire le opere di ripristino, il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione è, in via di principio, legittimo fino a quando quelle somme non siano state corrisposte dal conduttore; la legittimità del rifiuto del locatore comporta, in applicazione dell'art. 1220 c.c., che, fino ad allora, persisterà la mora del conduttore, dunque tenuto anche al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di usare l'immobile secondo la destinazione convenuta”.

Va soggiunto che l'applicazione del suddetto principio non può ritenersi incondizionata ed automatica: ad esempio, non potrà comportare la paradossale conseguenza che, in caso di oggettiva difficoltà economica del conduttore a provvedere alle necessarie opere, egli possa essere tenuto a pagare il canone indefinitamente, solo che il locatore continui a rifiutare la restituzione, potendosi, altresì, tenere conto della situazione economica del locatore, in ipotesi, in grado di affrontare senza particolari difficoltà le spese di ripristino, e pertanto, escludersi che il rifiuto di ricevere la restituzione sia legittimo, con conseguente esclusione della mora debendi del conduttore.

Orbene, nella specie, il Tribunale aveva ritenuto ingiustificato il rifiuto del locatore a ricevere la restituzione dell'immobile per l'avvenuta modifica dello stato dei luoghi oggetto di locazione, oggetto di specifica pattuizione inter partes; tuttavia, tale assunto non teneva in alcuna considerazione la complessiva e più compiuta descrizione dello stato dei luoghi in larga parte riportata dallo stesso Tribunale nel decreto impugnato.

Le circostanze fattuali agevolmente desumibili da questa descrizione rivestono - ad avviso del collegio decidente - carattere di indubbia decisività, se non altro perché, aldilà delle mere opere ripristinatorie ipotizzate, nella specie andava anche (e soprattutto) valutato se lo stato di generale più ampio degrado e deterioramento dell'immobile prospettato dal locatore - che aveva anche articolato, sul punto, prove orali -fosse, o meno, da ricondursi all'assenza di ordinaria manutenzione, piuttosto che a più grave incuria del conduttore.

Invero, soltanto nel caso in cui, trattandosi di rimuovere carenze non alteranti la consistenza e la struttura della cosa, né implicanti l'esplicazione di straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti per il relativo ripristino rientrava nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore sarebbe tenuto, con conseguente illegittimità del suo rifiuto di ricevere la cosa, salvo eventuale diritto al risarcimento dei danni per violazione del disposto di cui art. 1590 c.c., mentre, nel secondo, invece, poiché l'esecuzione delle opere di ripristino implicava il compimento di un'attività straordinaria, il locatore legittimamente potrebbe rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa veniva offerta.

Infine, nemmeno ha persuaso il Supremo Collegio l'ulteriore affermazione del Tribunale secondo cui la Curatela, pur subentrata nella posizione del fallito, non può essere tenuta all'adempimento di un'obbligazione di fare in forma specifica (“oltretutto, il risarcimento dei danni, certamente imputabili al fallito, e risalenti ad epoca precedente la dichiarazione di fallimento, rappresenta un credito concorsuale da insinuare al passivo, previa la liquidazione, che non può, però, condizionare la riconsegna”):

Tale assunto oblitera totalmente che le obbligazioni: a) di ripristino del bene locato - mediante l'esecuzione sia delle opere contrattualmente già a carico della conduttrice, che di quelle comunque eventualmente dovute dalla medesima ove si riscontrasse che il pessimo stato generale di manutenzione del cespite debba ricondursi a sua incuria e non a normale uso dello stesso - e b) di restituzione al locatore sono sorte, entrambe, soltanto con il perfezionarsi del recesso legittimamente esercitato dalla Curatela fallimentare della Società conduttrice, sulla quale, dunque, gravano.

Da ciò, consegue che, ove non assolta da quest'ultima, correttamente ed integralmente, la prima di tali obbligazioni, anche l'adempimento della seconda, non potrebbe non esserne condizionato, quanto meno nella misura in cui il locatore - alla stregua dei principi giurisprudenziali in precedenza richiamati - potrebbe rifiutare, affatto legittimamente, la restituzione del bene laddove i necessari lavori per il suo ripristino implicassero il compimento, da parte sua, di un'attività straordinaria e gravosa.

In quest'ottica più ampia - secondo l'autorevole parere della sentenza in commento - doveva allora svolgersi l'accertamento del Tribunale ai fini della decisione in ordine all'ammissione al passivo invocata dal locatore, sostanzialmente ex art. 1591 c.c., dei canoni fino all'avvenuta restituzione del bene.

In altri termini, si trattava di verificare, innanzitutto, la configurabilità, o meno, di una responsabilità della fallita conduttrice ex art. 1590 c.c., circoscrivendone, nell'ipotesi positiva, il relativo àmbito; se accertata una tale responsabilità, poi, si sarebbe dovuta, valutare la legittimità, o non, del rifiuto della locatrice alla restituzione.

Nel compiere la prima delle indagini suddette, però, il giudice a quo aveva esclusivamente considerato l'obbligo contrattualmente gravante sulla conduttrice di rimuovere le aperture originariamente acconsentite dal conduttore, per consentire alla prima di mettere in comunicazione il cespite ad altri immobili di sua proprietà, ma aveva, invece, totalmente omesso di valutare lo stato di generale più ampio degrado e deterioramento pure prospettato dall'opponente, al fine di stabilirne l'ascrivibilità, o meno, ad incuria della conduttrice: circostanza, questa, assolutamente decisiva, potendo, in caso di risposta positiva al relativo interrogativo, certamente legittimare il rifiuto del locatore alla restituzione del bene, contestualmente facendo sorgere la responsabilità ex art. 1591 c.c., e ciò quanto meno fino a quando non sarà quantificata la somma corrispondente alle opere di ripristino complessivamente gravanti - specificamente per contratto o, più in generale, per la non corrispondenza del concreto stato di manutenzione del bene con quello dovuto ad un suo normale uso - sulla conduttrice, momento, quello, a decorrere dal quale il persistente rifiuto mantenuto dal locatore alla riconsegna del bene sarà, questa volta sì, ingiustificato e contrario a buona fede.

Resta soltanto da precisare che la fattispecie analizzata nella sentenza in epigrafe concerneva una locazione commerciale, facendo attenzione a che il subentro del Curatore non opera riguardo al contratto di locazione che abbia ad oggetto l'immobile adibito ad abitazione del fallito, giacché, in tal caso, la locazione non integra un “diritto patrimoniale” compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell'art. 43 l. fall., bensì un “rapporto di natura strettamente personale” ai sensi dell'art. 46 della stessa legge fallimentare, in quanto rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita, inidoneo ad incidere sugli interessi della massa e perciò indifferente per il medesimo Curatore (Cass. civ., sez. I, 19 giugno 2008, n. 16668).

Riferimenti

Puce, Fallimento del conduttore di immobile adibito ad uso di abitazione e natura personale del rapporto contrattuale, in Corr. giur., 2009, 517;

Toschi Vespasiani, Il fallimento del conduttore e l'azione revocatoria sui canoni locatizi, in La responsabilità civile, 2006, 59;

Spagnuolo, Al conduttore fallito non spetta l'indennità per l'avviamento commerciale, in Rass. loc. e cond., 2003, 77;

Di Gravio, Le locazioni proseguite dopo il fallimento del conduttore, in Foro pad., 1997, I, 320;

Izzo, L'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale in caso di fallimento o di acquisto dell'immobile locato da parte del conduttore, in Giust. civ., 1990, I, 2441;

Schermi, Convalida di sfratto per morosità intimato al conduttore fallito e ammissibilità dell'opposizione tardiva del conduttore tornato in bonis, in Giust. civ., 1989, I, 464.