Ammessa la compensazione dei debiti fiscali con crediti spettanti agli avvocati ammessi al patrocinio a spese dello Stato

03 Settembre 2021

In materia tributaria la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Né tale principio può ritenersi superato per effetto dell'art. 8, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti...
Massima

In materia tributaria la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Né tale principio può ritenersi superato per effetto dell'art. 8, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti (demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno d'imposta 2002), ovvero per effetto dell'art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, il quale, nell'ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l'applicazione all'ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore.

Il caso

Un avvocato impugnava una cartella di pagamento con la quale gli veniva richiesto il pagamento dell'IRPEF e dell'IRAP riferite all'anno 2006.

Il legale ricorreva prima alla C.T.P, poi alla C.T.R, la quale rigettava il suo appello stante l'illegittimità della compensazione operata dallo stesso tra debiti IRPEF e IRAP richiesti dall'Agenzia e il credito vantato per il pagamento dei proprie spettanze professionali, dovute in quanto avvocato destinatario di compensi da gratuito patrocinio.

Per la C.T.R., infatti, la compensazione in materia tributaria era ammessa nei soli casi previsti dalla legge.

L'avvocato ricorreva, quindi, per la cassazione di detta sentenza, evidenziando che la C.T.R. non si era pronunciata su alcune osservazioni critiche sollevate dallo stesso, in relazione all'applicabilità dell'istituto della compensazione, non assorbite nella decisione finale.

Ciò in palese violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

La Suprema Corte, in parziale accoglimento del ricorso, osservava che in materia tributaria la compensazione era ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, in materia tributaria la compensazione sia ammessa soltanto nei casi espressamente previsti, potendosi derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina.

Quando sussistono reciproche pretese creditorie, le obbligazioni che ne sono espressione si estinguono fino alla concorrenza dello stesso valore per il dispiegarsi della compensazione, che è legale ove tali crediti-debiti siano omogenei, liquidi ed esigibili.

In ambito tributario, recependo i canoni del codice civile in tema di estinzione delle obbligazioni con la modalità compensativa l'art. 8 co. 1 L. 27 luglio 2000 n. 212 (G.U. 31.7.2000 n. 177 (Tutela dell'integrità patrimoniale), prevede che l'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione.

La compensazione, dunque, in campo tributario è una possibile modalità estintiva delle obbligazioni tributarie, solo nei casi espressamente contemplati dal legislatore.

Con l'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, è stata introdotta la compensazione cosiddetta fiscale, in cui vi è la possibilità per i contribuenti di compensare in sede di versamento unitario (mediante F24), crediti per tributi e contributi dovuti all'Inps (nonché di altre somme a favore dello Stato delle regione e degli enti previdenziali), ancorché geneticamente differenti, ma dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche, con i debiti di imposte e contributi risultanti dalle medesime dichiarazioni.

Tale fattispecie compensativa è quindi maggiormente limitata rispetto a quella esercitabile in forza del codice civile.

A decorrere dall'1.1.2011 è vietata la compensazione, nel Mod. F24, ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241, dei crediti relativi alle imposte erariali, in presenza di debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, di ammontare superiore a 1.500,00 euro, per i quali sia scaduto il termine di pagamento (v. art. 31 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78).

La disciplina in esame si applica a condizione che l'importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori sia di ammontare superiore a 1.500,00 euro.

Pertanto, il divieto di compensazione in esame non sussiste qualora gli importi iscritti a ruolo e non pagati siano pari o inferiori a 1.500,00 euro.

Come chiarito dall'Agenzia delle Entrate (v. Circ. 11.3.2011 n. 13, § 2) rientrano tra gli “accessori” del debito d'imposta iscritto a ruolo le sanzioni, gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo e gli interessi di mora, gli aggi spettanti all'Agente della Riscossione, nonché le altre spese collegate al ruolo, come quelle di notifica della cartella o relative alle procedure esecutive sostenute dall'Agente della Riscossione e, in generale, tutte le spese rimborsabili all'Agente della Riscossione.

Per superare la soglia “limite” è quindi sufficiente un'imposta erariale non pagata decisamente inferiore a 1.500,00 euro.

Di contro è possibile procedere ad un pagamento parziale delle somme iscritte a ruolo (e relativi accessori), al fine di ridurre il debito complessivo sotto la soglia di 1.500,00 euro e quindi far venir meno la condizione di “blocco” delle compensazioni.

Come chiarito dall'Agenzia delle Entrate (v. Circ. 11.3.2011 n. 13, § 6), il divieto si applica alle sole compensazioni c.d. “orizzontali” (o “esterne”), cioè quelle che riguardano crediti e debiti di diversa natura (es. credito IVA con ritenute IRPEF, credito IRES con contributi INPS, ecc.) e che avvengono necessariamente nel Mod. F24.

Quella che viene inibita è quindi la compensazione che coinvolge contemporaneamente più tributi e che avviene, necessariamente, mediante il Mod. F24 e non, invece, le ordinarie forme di detrazione dell'IVA o di scomputo delle ritenute, possibili all'interno di meccanismi dichiarativi.

Tale divieto non si applica, invece, alle compensazioni c.d. “verticali” (o “interne”), cioè quelle che riguardano la stessa imposta (es. credito IVA con IVA a debito da versare, saldo IRES a credito con acconti IRES, ecc.), anche se esposte nel Mod. F24.

Con il DM 25.6.2012 e il DM 19.10.2012, sono stati emanati i provvedimenti (attuativi dell'art. 28-quater del d.P.R. n. 602/1973), in materia di utilizzo in compensazione, con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, dei crediti maturati nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le Agenzie di cui al d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300, relativi a somministrazioni, forniture e appalti, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, che sono stati oggetto di apposita certificazione da parte dell'ente debitore.

Con la Legge di stabilità 2014 (art. 1, co. 574) era introdotto un ulteriore limite sulla compensazione dei crediti fiscali, prevedendo, in analogia con quanto già stabilito in ambito IVA, l'obbligo dell'apposizione del visto di conformità della dichiarazione se il contribuente procede alla compensazione di crediti (art. 17 del d.lgs. 241/1997) per importi superiori a 15.000,00 euro, relativi alle imposte sui redditi (IRES e IRPEF) e addizionali, alle ritenute alla fonte, alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi ed all'IRAP.

Il suindicato importo è stato successivamente ridotto a 5.000,00 euro (art. 3 d.l. 50/2017, convertito con L. 96/2017).

In caso di inosservanza del divieto di compensazione in esame si applica la sanzione del 50% “dell'importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori e per i quali è scaduto il termine di pagamento fino a concorrenza dell'ammontare indebitamente compensato”.

Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate (v. Circ. 11.3.2011 n. 13, § 7) ha chiarito che l'irrogazione della sanzione è effettuata con riferimento a ciascuna indebita compensazione operata in presenza di debiti iscritti a ruolo scaduti e non pagati, superiori al limite di 1.500,00 euro.

La sanzione irrogata è commisurata all'intero importo del debito, ma trova un limite nell'ammontare compensato e nel caso di importo compensato inferiore alla metà del debito, la sanzione corrisponderà all'ammontare compensato.

Ciò detto e tornando al caso in premessa, un avvocato ricorreva in Cassazione al fine di evidenziare la correttezza della compensazione effettuata tra debiti erariali e compensi percepiti al Gratuito Patrocinio.

La Corte di Cassazione condivideva tale impugnazione ed annullava con rinvio la sentenza nr. 156/2/2013 della CTR Lombardia, al fine di appurare se l'avvocato potesse compensare i crediti derivanti da prestazioni svolte in regime di gratuito patrocinio con debiti IRPEF e IRAP.

Secondo il Giudice di Legittimità in materia tributaria la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge (v. Cassazione civile, sez. V, ordinanza 22 giugno 2021, n. 17836).

A tal riguardo l'art. 8 della legge n. 212/2000, che prevede che sia possibile estinguere l'obbligazione tributaria per compensazione, va attuata tramite i poteri regolamentari dei Ministri competenti. In via transitoria restano vigenti le disposizioni in materia di compensazione, con regolamenti emanati ai sensi dell'art. 17 comma 2 della legge n. 400/1988, che prevede l'estinzione dei debiti tributari anche per compensazione, estendendo detto istituto, a partire dal 2002, anche ai tributi per i quali non è previsto.

Tenendo conto di queste disposizioni la stessa Cassazione, seguendo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. 17001/2013, Cass. 12262/2007 e Cass. 15123/2006), ha affermato che in materia tributaria la compensazione è ammissibile solo nei casi espressamente previsti. Questa regola non può dirsi superata neppure dal suddetto art. 8 dello Statuto del contribuente, che ha mantenuto fermo quanto previsto dall'art. 17 del d.lgs n. 241/1997, che ammette la compensazione “in sede di versamenti unitari delle imposte”, ma ne limita l'applicazione ai crediti dello stesso periodo, nei confronti degli stessi soggetti e purché risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate dopo la sua entrata in vigore.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione rilevava che il legale nella sua memoria richiamava la disciplina introdotta dall'art. 1 comma 778 della legge n. 208/2015, con la quale si è disponeva che “a decorrere dall'anno 2016, entro il limite massimo di spesa di 10 milioni di euro annui, i soggetti che vantano crediti per spese, diritti e onorari di avvocato, sorti ai sensi degli articoli 82 e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. 20 maggio 2002 n. 115, e successive modificazioni, in qualsiasi data maturati e non ancora saldati, sono ammessi alla compensazione con quanto da essi dovuto per ogni imposta o tassa (…)”.

La norma, in vigore dal primo gennaio 2016, era attuata con il DM del 15 luglio 2016, il quale chiariva che erano ammessi alla suddetta compensazione prevista in favore degli avvocati i crediti liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento ex art. 82 del d.P.R. n. 115/2002, che non erano ancora stati pagati neppure in parte e che non erano opposti e per i quali era già stata emessa fattura elettronica o “cartacea registrata nella piattaforma elettronica di certificazione”.

La Corte, alla luce di tale normativa cassava la sentenza impugnata e rinviava alla CTR competente, ma in diversa composizione per procedere ai necessari accertamenti di fatto preclusi in sede di legittimità. Accertamenti che si rendono necessari alla luce della normativa in vigore dal 2016 che prevede il ricorso all'istituto della compensazione per gli avvocati ei debiti fiscali con i crediti per compensi da patrocinio a spese dello Stato.

Osservazioni

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte prende nuovamente posizione sull'istituto della compensazione tributaria, ammessa nei soli casi previsti dalla legge.

Per ciò che attiene alla categoria forense, l'art. 1 co. 778 della L. 208/2015 prevede la possibilità per gli avvocati che vantano crediti per spese di giustizia (art. 82 e ss. del d.P.R. n. 115/2002) nei confronti dello Stato di compensarli con i propri debiti fiscali e contributivi.

A tal proposito, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito (v. risposta interpello Agenzia delle Entrate 21.12.2018 n. 122) che l'ammontare dei predetti crediti non include l'IVA derivante da operazioni effettuate con applicazione del meccanismo dello split payment (art. 17-ter del d.P.R. n. 633/72), che qualora sia stato compensato anche l'importo dell'IVA, il credito si considera utilizzato per un ammontare superiore a quanto spettante e che se il maggiore credito è stato utilizzato per versare l'imposta relativa alle predette operazioni, tuttavia, non sussiste alcun danno erariale ed è possibile modificare il codice tributo del versamento effettuato.

Ne consegue che dal 2016 gli avvocati possono compensare i crediti del gratuito patrocinio con alcuni tributi, in presenza di determinate condizioni.

A tal fine si rammenta quanto segue:

  1. i crediti possono essere compensati a condizione che l'autorità giudiziaria abbia emesso il decreto di pagamento ex art. 82 del d.P.R. n. 115/2002, non oggetto di opposizione, e non devono risultare pagati neanche parzialmente;
  2. l'avvocato dovrà autocertificare quanto al punto precedente esclusivamente attraverso la sottoscrizione mediante un certificato di firma digitale in corso di validità (comunicato all'interno della piattaforma mediante la funzione utilità “tipo di firma”);
  3. deve essere stata emessa fattura elettronica, che deve essere trasmessa attraverso il sistema di interscambio (SDI) e associata al codice fiscale del creditore registrato nella piattaforma, ovvero cartacea che deve però essere immessa dal creditore e registrata a sua cura nella piattaforma elettronica di certificazione reperibile;
  4. l'avvocato deve essere registrato nella piattaforma quale libero professionista, accedere alla stessa con le proprie credenziali e seguire il percorso inserendo in tale pagina i dati della sezione dichiarazione iscrizione all'Albo degli Avvocati;
  5. l'avvocato, al momento dell'inserimento della richiesta di compensazione, dovrà indicare il numero del provvedimento di liquidazione attribuito dal SIAMM;
  6. l'opzione di compensazione non potrà essere esercitata per le fatture intestate a studi associati, in quanto il credito maturato dall'avvocato a seguito dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato del soggetto richiedente ha natura esclusivamente individuale (v. Circ. Ministero della Giustizia, 3 ottobre 2016 - D.m. 15 luglio 2016 - Compensazione dei debiti fiscali con i crediti per spese, diritti e onorari spettanti agli avvocati del patrocinio a spese dello Stato).

In ultimo si segnala che l'Ente di Previdenza della categoria forense, ossia Cassa Forense, ha evidenziato l'impossibilità di applicare la compensazione prevista di recente dall'art. 1 co. 778 della L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) dei crediti degli avvocati per onorari da gratuito patrocinio, con i contributi dovuti alla Cassa stessa, introducendo una palese disparità tra debiti fiscali e debiti contributivi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.