La nuova dimensione della bancarotta preferenziale dopo l'introduzione dell'obbligo dell'amministratore di dotare l'azienda di adeguati assetti organizzativi
06 Settembre 2021
Massima
Per la sussistenza del delitto di bancarotta preferenziale è necessario che i pagamenti cui si imputa la qualifica di preferenziali siano avvenuti allo scopo di favorire coloro che li hanno percepiti escludendo che gli stessi fossero invece diretti a consentire la prosecuzione dell'attività imprenditoriale occorrente al reperimento della liquidità necessaria al pagamento degli altri creditori o comunque fossero stati eseguiti nella ragionevole convinzione di poter evitare il fallimento, sulla base delle condizioni in cui versava la società.
Il caso
In sede di merito un imprenditore era condannato – per quanto di interesse in questa sede – per il delitto di bancarotta preferenziale per avere, quale liquidatore di società dichiarata fallita, eseguito pagamenti preferenziali a favore di due dipendenti in data 11 agosto 2014 mediante bonifico per complessivi euro 2.936,72 con addebito sul conto intestato alla società fallita.
In sede di ricorso per cassazione, si lamentava che si era omesso di considerare che la sentenza di fallimento è stata depositata pochi giorni prima del pagamento, ed era verosimile che essa non fosse conosciuta dall'imputato. Non essendovi certezza in ordine alla conoscenza della sentenza di fallimento da parte dell'imputato, neppure poteva affermarsi che egli avesse quella consapevolezza del pregiudizio arrecato agli altri creditori che, secondo la motivazione della sentenza di appello, si fondava proprio su detta conoscenza; doveva, pertanto, escludersi il dolo della bancarotta preferenziale.
La Corte di appello aveva eluso la questione senza motivare su tali argomenti e senza neppure tenere conto che il pagamento era avvenuto in favore di due lavoratori dipendenti, i cui crediti non potevano essere assimilati a quelli degli altri creditori. Peraltro, era inverosimile che l'imputato, avuta cognizione dell'intervenuto fallimento, operasse pagamenti con bonifici bancari, che sarebbero sicuramente stati rilevati dagli organi fallimentari, esponendosi in modo manifesto a responsabilità penale La questione
Fra le diverse ipotesi di bancarotta disciplinate dall'art. 216 R.D. n. 267/1942 figura a sé è il delitto di bancarotta preferenziale, reato punito meno gravemente rispetto alle altre ipotesi di bancarotta fraudolenta e diretto a sanzionare o comunque a disciplinare una situazione che frequentemente si verifica nella fase di decozione dell'impresa che precede la dichiarazione di fallimento. In tali convulsi momenti, in cui l'orizzonte temporale delle scelte dell'amministratore è assai limitato, l'imprenditore procede al pagamento dei singoli creditori a seconda delle richieste di costoro, senza porsi il problema delle modalità con cui potrebbe avvenire il riparto fallimentare, e senza rispettare l'esistenza di eventuali cause di prelazione o di privilegio. In questo modo, tuttavia, entrano in conflitto due interessi ugualmente degni di tutela, quello dei creditori pagati dal fallito e quello dei creditori non ancora soddisfatti: indubbiamente, il contrasto fra queste due categorie di soggetti costituisce una conseguenza fisiologica dell'operare dell'imprese commerciali ma sempre che l'alterazione dei rapporti fra i creditori dell'impresa non discenda da una condotta intenzionale e volontaria del debitore e la tensione fra i componenti del ceto creditorio non sia il risultato di una sua consapevole scelta (si tenga presente, comunque, che non sussiste una preferenza del debitore, penalmente rilevante, laddove lo stesso si sia limitato a procedere al pagamento dei creditori che ne abbiano fatto richiesta, senza che sia conseguito un danno per gli altri soggetti. In sostanza, non c'è preferenza se il vantaggio di cui il creditore ha usufruito si è concretato in una mera anticipazione del pagamento rispetto ai creditori rimanenti; si ha preferenza, solo se il pagamento al singolo determini un mancato soddisfacimento, totale o parziale, delle altre posizioni creditorie: CHIARAVIGLIO, Il favoreggiamento del creditore nel diritto penale concorsuale, Milano 2020, 12).
La norma - art. 216, comma 3, R.D. n. 267/1942 - prevede due modalità di condotta per la lesione della par condicio creditorum. La prima ipotesi è l'effettuazione di pagamenti, espressione interpretata, per assicurare un maggior ambito di prensione della previsione punitiva, in senso molto ampio, escludendosi ogni rilevanza ai caratteri del credito soddisfatto (che può essere o meno liquido, esigibile e scaduto, così come è ritenuto irrilevante il momento in cui lo stesso è venuto in essere, potendo risalire anche a prima che si sia manifestato lo stato d'insolvenza, né avendo importanza la normalità o anormalità dei mezzi utilizzati).
Dubbia è la rilevanza dei pagamenti contestuali all'esecuzione, che è quanto frequentemente si verifica quando un'impresa attraversa uno stato di crisi noto alle controparti, le quali per ovvie ragioni acconsentono a proseguire il rapporto contrattuale con la prima fornendogli quanto necessario per la prosecuzione dell'attività nella prospettiva di un suo risanamento ma il tutto subordinatamente al pagamento contestuale all'acquisto e consegna dei beni richiesti. Posto che la sussistenza del reato presuppone uno stato di insolvenza imminente, situazione che nell'ipotesi che si sta considerando è palese e anche ammessa dall'imprenditore, e stante la circostanza che i crediti in questione sicuramente non godono di alcun regime di privilegio o di prelazione, nulla parrebbe opporsi ad un'applicazione della disposizione incriminatrice in tali circostanze; ciò nonostante, la dottrina prevalente esclude la rilevanza dei comportamenti in esame e ciò in quanto la stessa normativa fallimentare esclude la revocabilità dei pagamenti eseguiti contestualmente alla nascita del rapporto obbligatorio (CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino 1991, 188; PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, in Commentario Scialoja – Branca. Legge fallimentare, a cura di Galgano, Bologna – Roma 1995, 122; PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova 2001, 268).
La seconda condotta presa in considerazione dalla disposizione è rappresentata dalla simulazione di titoli di prelazione, purché ovviamente tali titoli cadano su beni che rientrano nella massa fallimentare, con esclusione quindi delle cause di prelazione costituite su cespiti di terzi. Le cause di prelazione cui fa riferimento la disposizione non sono solo quelle indicate dall'art. 2741 cod. civ., avendo rilievo ai fini dell'incriminazione anche quelle derivanti da altri istituti: si pensi, ad esempio, ad una vendita con patto di riscatto o alla cambializzazione del credito, ritenuta quale causa di prelazione perché consente al creditore soddisfatto di non dover subire gli effetti della revocatoria. Il perfezionamento del reato di bancarotta preferenziale richiede un atteggiamento psicologico di dolo specifico, che deve dirigersi verso due obiettivi esterni alla condotta: da un lato il favoreggiamento di uno o più creditori, dall'altro, la lesione degli interessi degli altri (NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano 1955, 242. Contra, parlando di dolo intenzionale, in quanto il danno dei creditori ed il favoreggiamento di alcuni fra costoro sono componenti del fatto e non eventi ulteriori ad esso, COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli 1987, 231; PROSDOCIMI, Dolo eventualis, Milano 1993, 175. La distinzione è rilevante in quanto a seguire la seconda posizione sicuramente il reato in parola non sussisterebbe nel caso dei cd. pagamenti di salvataggio, di cui si dirà più avanti). La dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti interpretano tale disposizione nel senso che solo il favoreggiamento deve rientrare nel fuoco della volontà dell'agente, mentre il danno degli altri creditori può essere oggetto di un dolo eventuale, non essendo necessario che tale pregiudizio sia voluto direttamente dall'agente, purché tale conseguenza sia stata prevista e consentita, ovvero ne sia stata accettata l'eventualità ( Cass., sez. V, 26 agosto 2015, n. 35707 ;Cass., sez. V, 08 novembre 2016, n. 46689 ). Il tema non presenta spunti problematici qualora la condotta utilizzata sia consistita nella simulazione di cause di prelazione: la simulazione è condotta intrinsecamente fraudolenta, e la stessa struttura del fatto, essendo le cause di prelazione destinate ad operare in sede di riparto coattivo a tutto ed esclusivo vantaggio del titolare, esclude si possa dubitare della sussistenza in capo all'agente, oltre che della volontà di favoreggiamento, anche di un diretto intento di danno degli altri creditori.
Maggiormente problematico è invece l'esame dell'elemento soggettivo nel caso in cui il delitto sia stato posto in essere a mezzo di pagamenti preferenziali, posto che in questo caso ci si trova di fronte ad un'attività intrinsecamente lecita, che costituisce violazione di una norma penale solo se accompagnata da un determinato atteggiamento della volontà da parte del debitore; diventa, quindi, di fondamentale importanza comprendere se anche l'intento di danneggiare i creditori debba o meno essere oggetto di un dolo specifico. Contrariamente all'opinione dominante, alcuni autori ritengono che solo riconoscendo rilevanza a tale ulteriore direzione della volontà sia possibile discriminare fra pagamenti leciti e pagamenti illeciti effettuati in una fase di crisi economica dell'impresa: secondo tale tesi, nel periodo di insolvenza dell'azienda qualsiasi pagamento effettuato a favore di un singolo creditore può cagionare un danno per gli altri soggetti rientranti nella medesima categoria, per cui o si ritengono vietate tutte le forme di adempimento di obbligazioni nella fase d'insolvenza dell'azienda o si riconosce rilievo penale a tali pagamenti solo quando effettuati con l'intento, oltre che di favorire il singolo beneficiario (ovviamente necessariamente insito nella stessa scelta di operare il pagamento e quindi scarsamente selettivo nella individuazione delle condotte penalmente rilevanti), di danneggiare i rimanenti creditori (PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, cit., 125).
La tesi da ultima esposta valorizza adeguatamente la funzione dell'elemento psicologico quale elemento differenziale fra comportamenti leciti e condotte punibili (CHIARAVIGLIO, Il favoreggiamento del creditore, cit., 348) e si presenta conforme all'atteggiamento soggettivo effettivamente rinvenibile in capo al soggetto che opera un pagamento preferenziale: pare, invero, difficile sostenere che ci si possa rappresentare di favorire, nell'ambito di una schiera di soggetti, taluno di loro, senza, correlativamente e quale conseguenza del beneficio arrecato, danneggiare gli altri e d'altronde di regola il beneficio del creditore favorito è appunto rappresentato dal solo fatto di essere soddisfatto a differenza degli altri (Nel senso che l'espressione “favorire” esprima un concetto di relazione, per cui si sarebbe in presenza di un unico fatto riguardato da due ottiche diverse, quella del creditore favorito e quella dei creditori danneggiati, DE SIMONE, La bancarotta preferenziale, in CARLETTI, Diritto penale commerciale, I, Reati nel fallimento e nella altre procedure concorsuali, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, Torino 1990, 173. Nel senso che ai fini della valutazione del dolo richiesto dalla norma incriminatrice, è del tutto irrilevante l'assenza di ragioni personali che abbiano indotto a trattare il creditore preferito diversamente dagli altri, Cass., sez. V, 8 novembre 2016, n. 46689; Cass., sez. V, 30 giugno 2016, n. 46689, secondo cui il delitto in parola sussiste anche nel caso in cui il pagamento preferenziale non sia stato determinato da particolari ragioni intese a favorire il creditore beneficiario e anche nel caso in cui l'intento che animava l'imprenditore era quello di accogliere le esigenze ritenute più meritevoli; tramite la condotta di pagamenti preferenziali, infatti, l'imprenditore sostituisce criteri fissati normativamente per il riparto con parametri proprie diversi, così consapevolmente preferendo alcuni creditori luogo di altri).
Il profilo su cui l'esame dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale ha maggiore incidenza è però quello della rilevanza penale dei cd. pagamenti a scopo di salvataggio ovvero prestazioni effettuate con l'intento di allontanare la possibilità di fallimento nella convinzione di riuscire nel futuro a superare la crisi finanziaria. In proposito, la recente giurisprudenza – in accordo con la dottrina e superando precedenti e più rigorosi orientamenti - nega la rilevanza penale di tale scelta per mancanza dell'elemento psicologico (Cass., sez. V, 3 gennaio 2020, n. 81; Cass., sez. V, 26 agosto 2015, n. 35707), salvo il caso in cui nel corso degli anni l'imprenditore continui ad adempiere le sue obbligazioni nei confronti di fornitori ed istituti di credito (i quali, in caso di inadempimento, facilmente potrebbero ottenere il fallimento dell'azienda), omettendo invece qualsiasi pagamento nei confronti di INPS, Agenzia delle entrate ecc. (evidentemente sapendo che gli enti previdenziali ed erariali si muoveranno con molto ritardo per ottenere il dovuto) così che, una volta dichiarato il fallimento, la massa creditoria sarà composta in assoluta prevalenza dagli enti previdenziali ed erariali che vedranno anche completamente insoddisfatte le proprie pretese: in tale circostanza all'imprenditore viene contestato - accanto alle fattispecie criminose di cui d.lgs. n. 74/2000 ed ai reati previsti in materia previdenziale e di sostituto d'imposta, anche - il delitto di bancarotta preferenziale (Cass., sez. V, 26 settembre 2013, n. 48802).
Chiaramente, la tesi che riconosce – se non la legittimità, quanto meno – la penale irrilevanza dei pagamenti effettuati nel desiderio di evitare il fallimento della propria azienda, pur se condivisibile e condivisa dalla maggioranza della dottrina (con ragioni che vanno dall'assenza di un dover di fallire in capo all'imprenditore - PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit. 286 -, all'assenza del dolo richiesto dalla norma – MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano 1993, 57 -, alla presenza eventualmente di un atteggiamento colposo in capo all'imprenditore – CONTI, Diritto penale commerciale, cit., 192), si fonda su un evidente presupposto ovvero la circostanza che l'imprenditore creda effettivamente nelle prospettive di salvataggio dell'impresa: solo se è fondata tale convinzione si potrà sostenere che la condotta del debitore, pur se poneva in pericolo gli interessi degli altri creditori avvantaggiando al contempo uno di loro, non era assistita dal dolo specifico richiesto dall'art. 216, comma 3, R.D. n. 267/1942. La soluzione giuridica
Il ricorso ha ritenuto fondato il ricorso, rilevando la mancanza del necessario elemento soggettivo. La decisione ricorda che l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri (Cass., sez. V, 21 novembre 2013, n. 673). Peraltro, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito (Cass., sez. V, 12 marzo 2014, n. 15712).
Deve, invece escludersi il dolo specifico laddove l'imprenditore soddisfi taluni debiti al solo fine di evitare il pericolo della presentazione di istanze di fallimento o, comunque, nella certezza o nella fondata convinzione di poter riuscire a far fronte, anche se in un secondo momento, a tutte le posizioni debitorie, poiché in tale ipotesi manca l'intenzione di favorire, ossia il dolo specifico richiesto dalla norma. In particolare, il dolo specifico è stato ritenuto non ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Cass., sez. V, 5 giugno 2018, n. 54465). Secondo la Cassazione, nel caso di specie i giudici di primo grado avevano ritenuto che il dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta fosse evidente in quanto i pagamenti erano avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento, quando questo ormai non poteva ritenersi evitabile. A fonte di tale motivazione fornita dal Tribunale, la difesa con l'atto di appello aveva dedotto che il modesto importo dei pagamenti, il mezzo utilizzato per la loro esecuzione (bonifico bancario) che li rendeva facilmente accertabili dagli organi fallimentari ed il breve lasso di tempo intercorrente tra il deposito della sentenza dichiarativa di fallimento e l'esecuzione dei pagamenti erano circostanze che lasciavano ritenere che questi fossero stati effettuati in un momento in cui il liquidatore della società fallita ancora non sapeva che la società era fallita; si era pure evidenziato che la sentenza era stata depositata di venerdì, mentre i pagamenti erano stati eseguiti immediatamente dopo il fine settimana, in cui gli uffici erano rimasti chiusi, cosicché era altamente probabile che i pagamenti fossero stati effettuati dall'imputato in buona fede. A tali argomenti la Corte di appello non ha fornito alcuna risposta, limitandosi a richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado e a ribadire in modo apodittico che i pagamenti, in quanto avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento, non possono che essere avvenuti per finalità diverse da quelle di salvaguardare l'attività imprenditoriale e di evitare il fallimento e quindi dettati dalla finalità di favorire alcuni creditori con la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli altri.
Secondo la Cassazione questa motivazione risulta apparente, non potendosi il giudice d'appello limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l'atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l'obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto. Peraltro, nella motivazione della sentenza di primo grado si evidenzia pure che già nel 2012 la società aveva presentato un'istanza di concordato preventivo che aveva ricevuto il parere negativo del commissario giudiziale e del ceto creditorio e che la società aveva proseguito la attività liquidatoria procedendo nel 2013 alla vendita di cinque immobili per un valore complessivo di euro 362.595. Nel gennaio 2014 era stato presentato un ulteriore ricorso per l'ammissione al concordato preventivo che è stato rigettato con decreto depositato in data 8 agosto 2014, contestualmente al deposito della sentenza dichiarativa di fallimento. La Corte di appello avrebbe, quindi, dovuto chiarire se gli elementi addotti dal ricorrente consentissero di escludere che al momento dei pagamenti egli conoscesse l'avvenuta dichiarazione di fallimento e, in caso positivo, se i pagamenti fossero avvenuti allo scopo di favorire coloro che li hanno percepiti o fossero invece diretti a consentire, attraverso l'attività lavorativa di coloro che hanno percepito le retribuzioni, la prosecuzione dell'attività liquidatoria occorrente al reperimento della liquidità necessaria al pagamento degli altri creditori o comunque fossero stati eseguiti dall'imputato nella ragionevole convinzione di poter evitare il fallimento, sulla base delle condizioni in cui versava la società. Osservazioni
La sentenza della Cassazione è decisamente condivisibile, ma al contempo la sua motivazione può essere integrata considerando quali conseguenze possono derivare nella lettura della fattispecie criminosa della bancarotta preferenziale una volta che si considerino le conseguenze derivanti dall'introduzione dell'obbligo per l'imprenditore “di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 2086, comma 2, c.c., con impostazione ripresa e ribadita nel codice della crisi di cui al d.lgs. n. 14/2019) (sul tema, limitando la citazione all'essenziale, RORDORF, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Soc., 2019, 930; BENAZZO, Il codice della crisi dell'impresa e l'organizzazione dell'imprenditore ai fini dell'allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario, ibidem, 274; CALVOSA, Gestione dell'impresa e della società alla luce dei nuovi artt. 2086 e 2475 c.c., in Le Società, 2019, 799; MONTALENTI, Gestione dell'impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, in Nuovo Dir. Soc., 2018, 56; STANGHELLINI “Il codice della crisi d'impresa: una prima lettura (con qualche critica)”, in Corr. Giur., 2019, 450; FORTUNATO, Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Soc., 2019, 952; LO CASCIO, Il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: considerazioni a prima lettura, in Fall., 2019, 263; FAUCEGLIA, Il diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino 2019, passim; NIGRO, Il ‘diritto societario della crisi': nuovi orizzonti?, in Soc., 2018, 1207. Per una valorizzazione delle suddette innovazioni in ambito penalistico, CAVALLINI, La bancarotta patrimoniale fra legge fallimentare e codice dell'insolvenza, Padova 2019, 252; ROSSI, I profili penalistici del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: luci ed ombre dei dati normativi, in un contesto normativo. I ‘riflessi' su alcune problematiche in campo societario, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 1153; ALESSANDRI, Novità penalistiche nel codice della crisi d'impresa, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 1820; SANTORIELLO, Il diritto penale fallimentare dopo il codice della crisi, Torino 2021).
Il delitto di bancarotta preferenziale presenta diversi profili di problematicità in ragione del fatto che la condotta sanzionata dall'art. 223, comma 3, R.D. n. 267/1942 (e cioè il soddisfacimento di un debito) non ha certo caratteri di illiceità, rappresentando anzi l'adempimento di un dovere gravante sull'imprenditore. Si pone dunque la necessità di individuare quale pagamento possa assumere rilevanza penale in quanto presenta i caratteri della cd. preferenzialità, andando a soddisfare le pretese del creditore cui viene corrisposto quanto dovuto determinando però al contempo un danno per gli altri titolari di analoghe pretese verso l'imprenditore.
La normativa in tema di organizzazione dell'impresa ex d.lgs. n. 14/2019 consente per l'appunto proprio di pervenire a tale delimitazione fra adempimenti rientranti nella fattispecie incriminatrice e pagamenti privi di significanza criminale. In sede di analisi generale del reato, si era detto che primo e fondamentale requisito per potersi parlare di pagamento preferenziale è che lo stesso si situi all'interno di una situazione di crisi economica e finanziaria dell'impresa, di modo che, stante le scarse risorse di cui dispone il debitore, alla soddisfazione integrale di un creditore consegue necessariamente l'impossibilità di adempimento delle altre obbligazioni. Questo presupposto, ovvero lo stato di crisi dell'impresa in presenza del quale è operato il pagamento che si ritiene penalmente rilevante, ha riflessi tanto sull'elemento materiale del reato di bancarotta preferenziale – nel senso che il reato può dirsi sussistente ove si rinvenga un concreto rischio per gli interessi degli altri creditori non soddisfatti nelle loro pretese – che sull'elemento psicologico che si deve rinvenire in capo al soggetto agente – il quale deve essere consapevole degli squilibri economici, finanziari e patrimoniali da cui è investita la sua impresa giacché è solo in presenza di tale consapevolezza che l'imprenditore può rendersi conto della potenzialità lesiva dei propri pagamenti. Chiare le conseguenze che in ordine all'esistenza ed alla rilevabilità di tale presupposto implicito del delitto di bancarotta preferenziale (ovvero la presenza di uno stato di crisi in azienda al momento della prestazione) derivano dalla normativa in tema di organizzazione aziendale. Saranno infatti i dati che emergono in virtù delle misure organizzative introdotte dagli amministratori a definire se, sotto il profilo oggettivo, il pagamento effettuato in un dato momento dell'attività aziendale potesse o meno, in allora, qualificarsi o meno come preferenziale, con l'effetto che, come già detto con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale.
In particolare, se la situazione di tensione finanziaria, patrimoniale o economica emerge in termini inequivocabili allora non sarà minimamente in discussione, sotto il profilo oggettivo, la natura preferenziale del pagamento. Quanto al profilo inerente l'elemento soggettivo
Se i dati economici e finanziari risultati dalla contabilità aziendale escludono la presenza di una crisi dell'impresa né ne consentano di pronosticarne il verificarsi in un prossimo futuro:
Come detto in sede di esame generale del delitto di cui all'art. 322, comma 3, d.lgs. n. 14/2019, l'opinione prevalente è nel senso che solo il favoreggiamento del creditore soddisfatto deve rientrare nel fuoco della volontà dell'agente, mentre il danno degli altri creditori può essere oggetto di un dolo eventuale, non essendo necessario che tale pregiudizio sia voluto direttamente dall'agente, purché tale conseguenza sia stata prevista e consentita, ovvero ne sia stata accettata l'eventualità. Se si aderisce a questa tesi, dunque, nell'ipotesi di una intenzionale adozione, da parte dell'imprenditore, di sistemi organizzativi assolutamente carenti e deficitari nulla precluderebbe la contestazione, mercé il ricorso al dolo eventuale, del reato di bancarotta preferenziale in presenza di un pagamento che presenta un oggettivo profilo di aggressione degli interessi dei creditori, profilo che sfugge all'imprenditore in virtù della sua scelta di non ottemperare al disposto di cui all'art. 2086, comma 2, c.c.. |