L'assemblea non può opporsi alla decisione dell'amministratore di dimettersi dal proprio incarico

Maurizio Tarantino
20 Settembre 2021

Chiamato ad accertare la legittimità di una delibera con la quale la compagine condominiale si era opposta alle dimissioni rassegnate dall'amministratore, il Tribunale adito ha precisato che la delibera impugnata, seppur adottata da un'assemblea illegittimamente convocata dal presidente, non era impugnabile per carenza di interesse non essendo idonea a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici di sorta in capo ai condomini; difatti, l'assemblea si era riunita, ma nulla aveva, in senso stretto e tecnico, deliberato.
Massima

La delibera, che non accoglie le dimissioni dell'amministratore, non ha alcun valore vincolante e non può, quindi, nemmeno essere impugnata, in quanto manca un apprezzabile interesse giuridico a rimuovere un atto improduttivo di effetti per i condomini ed il condominio. Ne consegue che l'assemblea non può opporsi alla scelta dell'amministratore di lasciare il proprio incarico.

Il caso

Gli attori, nella loro qualità di comproprietari delle rispettive unità immobiliari, citavano il Condominio affinché fosse accertata e dichiarata l'invalidità della delibera. In particolare, gli attori contestavano la deliberazione con la quale la compagine condominiale si era opposta alle dimissioni rassegnate dall'amministratore(letteralmente decisione di rigetto delle dimissioni). Oltre a ciò, i condomini eccepivano che l'assemblea era stata convocata da un soggetto non legittimato, ovvero dal presidente del consiglio di condominio, al di fuori dei casi contemplati dal regolamento, e che, in ogni caso, non era stato rispettato il termine di convocazione previsto ex lege e che non vi era stata corrispondenza tra la delibera adottata e il relativo punto indicato all'ordine del giorno.

La questione

La questione in esame è la seguente: l'assemblea può opporsi alla scelta dell'amministratore di lasciare il proprio incarico?

Le soluzioni giuridiche

Secondo il giudicante, le questioni sottoposte dagli attori non permettevano di annoverare l'atto adottato tra quelli impugnabili per carenza di interesse. Invero, nel caso di specie, le dimissioni dell'amministratore sono state considerate dal Tribunale come atto unilaterale che non richiede accettazione; sicché, il rifiuto delle dimissioni espresso dall'assemblea non poteva essere qualificato se non in termini di esortazione all'amministratore a continuare nel suo incarico, e dunque a ritirare le dimissioni. In sintesi, secondo questo ragionamento, l'assemblea non può impedire all'amministratore di dimettersi. Oltre a ciò, a parere del magistrato capitolino, la tesi secondo la quale con tale delibera il condominio avrebbe prestato acquiescenza alle ragioni delle dimissioni, così impedendo in futuro al condominio di agire in responsabilità verso l'amministratore, era davvero troppo fragile atteso che la rinuncia a far valere un diritto non può certo trarsi da una semplice delibera di rigetto delle dimissioni. Difatti, ove in futuro dovesse essere posta in assemblea la questione se agire nei confronti dell'amministratore, la delibera de quo non potrebbe costituire un ostacolo alla sua positiva adozione. Del resto, ogni delibera di conferma dell'amministratore (più incisiva di un'irrilevante decisione di rigetto delle dimissioni) nel mandato, automaticamente costituirebbe una validazione del suo pregresso operato con rinuncia a far valere eventuali responsabilità che dovessero emergere. Quanto alle ulteriori deduzioni, il giudicante ha ritenuto irrilevanti nel giudizio gli aspetti afferenti ai poteri dell'amministratore in prorogatio previsti automaticamente dalla legge in qualunque ipotesi di cessazione dell'incarico - per scadenza, per revoca anche giudiziale, per dimissioni - al fine di non lasciare il condominio privo di rappresentanza sino alla nomina del successore e che non possono essere né elusi, né modificati dall'amministratore dimissionario o dall'assemblea.

In conclusione, l'assemblea, in sostanza, si era riunita ma nulla aveva, in senso stretto e tecnico, deliberato. Difatti, la delibera impugnata, seppur adottata da un'assemblea illegittimamente convocata, non era impugnabile per carenza di interesse non essendo idonea a costituire modificare o estinguere rapporti giuridici di sorta in capo ai condomini.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto è interessante, in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito agli aspetti afferenti alle dimissioni dell'amministratore.

Com'è noto, l'amministratore rappresenta, assieme all'assemblea, l'organo più importante della gestione del condominio. La legge dispone che la nomina di un amministratore si rende necessaria quando i partecipanti al condominio sono più di otto, sia per la miglior gestione dei rapporti tra i condomini, che tra il condominio ed i terzi, quali ad esempio i fornitori, gli enti, le autorità e tutti gli organi con cui il condominio può venire a contatto. Anzitutto, quello che lega il condominio all'amministratore - e viceversa - è un vero e proprio contratto di mandato, cioè quell'accordo mediante il quale una parte, cioè il mandatario, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto di un'altra parte, cioè il mandante. Il contratto di mandato, regolato dagli articoli da 1703 a 1730 c.c., si presuppone a titolo oneroso, anche se nulla vieta di stipularlo a titolo gratuito. Naturalmente ciò vale in linea di principio, poiché, come detto, l'amministratore ora è un professionista che, come tale, svolge un servizio che deve essere retribuito.

Quanto all'attività svolta, si osserva che spesso alcuni amministratori, probabilmente stanchi di continuare a gestire un condominio non troppo diligente, rassegnano le proprie dimissioni irrevocabili dall'incarico e convocano l'assemblea al fine di consentire ai condomini di nominare un successore. Difatti, vi sono situazioni in cui l'amministratore rinunci volontariamente a gestire un condominio, dettati anche per lo più da motivazioni personali. Invero, può accadere che l'amministratore si trovi in difficoltà nella gestione del condominio, per esempio per la mancanza della provvista o perché sostanzialmente non riscontri più la fiducia dei condòmini. Dunque, le dimissioni possono essere rassegnate anche nel corso del mandato, tenuto sempre presente che il dovere primario dell'amministratore resta comunque quello di operare secondo buona fede, in maniera cioè da non arrecare pregiudizio alcuno al condominio.

Per meglio dire, l'amministratore può rassegnare le dimissioni in qualunque momento, salvo l'obbligo di consegnare rapidamente i documenti all'amministratore di condominio subentrante e di non creare intralcio o danno alla gestione del condominio. Va da sé che l'amministratore di condominio cessato ha diritto al compenso sino alla data in cui sia cessato dall'incarico, salvo eventuali contenziosi o contestazioni.

In sintesi, l'amministratore dimissionario ha il pieno diritto di liberarsi di un condominio che non può o non vuole più gestire e se l'assemblea non provvede a sostituirlo ci pensa il giudice. In tal caso, l'amministratore ha diritto di rivolgersi all'Autorità giudiziaria per richiedere la nomina giudiziale di un altro amministratore che lo sostituisca nell'incarico. In proposito, l'art. 1129, comma 1, c.c., dispone che “quando i condòmini sono più di otto, se l'assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall'Autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell'amministratore”.

Premesso quanto innanzi esposto, in riferimento alla decisione del Tribunale di Roma, il giudicante ha enucleato alcuni interessanti principi: interesse ad agire dei condomini e gli effetti di una delibera preparatoria, programmatica o interlocutoria.

Quanto al primo aspetto, secondo il giudice capitolino, “affinché vi sia l'interesse ad impugnare un atto, occorre che quest'ultimo abbia l'idoneità a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici”. Sullo specifico tema dell'interesse ad agire, in giurisprudenza è stato osservato che il condomino, il quale intenda proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale” (Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2017, n. 6128). In mancanza, secondo la regola generale espressa dall'art. 1421 c.c., va rilevata la carenza di interesse ad agire del condomino ai fini della loro impugnazione (Trib. Milano 14 ottobre 2016, n. 11327). Di conseguenza, la lesione di un interesse economico costituisce un presupposto per proporre impugnazione di una delibera assembleare (Trib. Roma 3 maggio 2021, n. 7587).

Ed è proprio in base all'assenza dell'interesse ad agire che è stata esclusa l'impugnabilità delle delibere c.d. preparatorie, programmatiche o interlocutorie. Anzi, secondo lo stesso giudicante, l'assenza ad agire per carenza di interesse non era idonea a costituire modificare o estinguere rapporti giuridici di sorta in capo ai condomini, inoltre, ben poteva questa delibera essere assimilata alle delibere dal contenuto programmatico o esortativo, ossia alle delibere che delineano obiettivi senza tuttavia essere idonee ad assumere contenuti in alcun modo vincolanti per la comunità dei condomini.

Concordemente al ragionamento del giudicante romano, una delle caratteristiche delle delibere così dette preparatorie, programmatiche o interlocutorie è che queste non sono propriamente impegnative per il condominio non assumendo carattere vincolante e definitivo e che potrebbero anche non essere inserite nell'ordine del giorno. Come visto in precedenza, la citata giurisprudenza (sull'assenza di interesse ad agire) è concorde nell'affermare che una delibera programmatica, al pari di una preparatoria o interlocutoria non è autonomamente impugnabile. Detto principio, come del pari osservato dal giudice capitolino, vale anche nell'ipotesi in cui l'assemblea abbia deliberato sulle dimissioni comunicate dall'amministratore: “in casi del genere può dunque ritenersi che l'assemblea, nella sostanza, si sia riunita, ma, in senso stretto e tecnico, nulla abbia deliberato”.

In conclusione, le dimissioni dell'amministratore costituiscono un atto unilaterale recettizio, che produce il proprio effetto una volta giunto a conoscenza del destinatario, senza necessità alcuna di accettazione da parte di quest'ultimo.

Riferimenti

Rezzonico, Casa e condominio 4 - Professioni amministratore di condominio, in IlSole24Ore, 2020, 49;

Santarelli, La nomina dell'amministratore tra accettazione e dimissioni, in Condominioelocazione.it, 19 gennaio 2018;

Cirla, Condominio: l'amministratore dimissionario può chiedere al giudice la nomina di un sostituto, in Quotidianogiuridico.it, 22 luglio 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.