Le modifiche meramente accessorie non comportano la novazione del contratto di locazione
22 Settembre 2021
Massima
In tema di locazione, non è sufficiente ad integrare la novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell'animus e della causa novandi (nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato la decisione di merito, che aveva ritenuto novato il rapporto locativo sebbene le parti avessero pattuito modifiche soltanto accessorie, come la previsione della risoluzione in caso di ritardato pagamento, il prolungamento della durata del rapporto e la misura dell'aggiornamento del canone). Il caso
La controversia, decisa dalla sentenza in commento, originava da uno sfratto per morosità intimato da un locatore, in relazione all'immobile concesso in locazione, ad uso commerciale, con contratto stipulato il 31 marzo 2006 (e debitamente registrato), deducendo il mancato pagamento, da parte del conduttore, del canone di € 775,00 mensili relativo ai mesi da giugno a settembre 2011. L'intimato si era opposto, rilevando che: a) il rapporto giuridico tra le parti si basava sul contratto di locazione stipulato in data 1° febbraio 2000, che prevedeva illegittimamente una durata di sei anni senza possibilità di rinnovo ed un canone mensile di € 360,00; b) detto contratto si era automaticamente rinnovato sino al mese di febbraio 2012, dovendosi ritenere illegittima la clausola relativa ad una durata inferiore; c) il locatore aveva preteso fin dall'origine del rapporto che gli fosse corrisposto un canone mensile di € 775,00, nonché di stipulare un nuovo contratto il 31 marzo 2006, che prevedeva tale importo, diverso rispetto a quello indicato nel contratto originario, in violazione di quanto previsto dall'art. 79 della l. n. 392/1978; d) il nuovo contratto era affetto da nullità in quanto stipulato in violazione di norme imperative al fine di pretendere un canone maggiore, come illegittimo era l'aggiornamento Istat previsto al 100%. Transitato il giudizio alla fase a cognizione piena, il conduttore aveva chiesto, nella memoria integrativa, in via riconvenzionale, accertarsi la vigenza del contratto del 1° febbraio 2000 al canone pattuito, con conseguente nullità di ogni diversa determinazione contra legem, e la condanna del locatore alla restituzione delle somme indebitamente pretese e corrisposte nel corso del rapporto, ammontanti ad € 55.582,21 per maggiori canoni e a € 1.904,44 per aumenti Istat non dovuti, oltre interessi legali sul deposito cauzionale. Il Tribunale aveva rigettato la domanda principale e, in parziale accoglimento della spiegata riconvenzionale, aveva dichiarato che il rapporto tra le parti era regolato dal contratto di locazione stipulato in data 1° febbraio 2000, rinnovatosi ex lege al canone mensile di € 361,51, ritenendo la nullità di ogni diversa pattuizione relativa al canone di locazione e all'aggiornamento ISTAT, e condannando il locatore al pagamento della somma di € 55.582,21, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo. Tale decisione veniva sostanzialmente ribaltata dalla Corte d'Appello, la quale, in parziale accoglimento del gravame interposto dal locatore, aveva dichiarato risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore, condannandolo al pagamento della somma di € 2.838,52 a titolo di canoni locativi scaduti e non pagati nel periodo giugno-settembre 2011 - al netto delle somme pagate dal conduttore per adeguamenti Istat eccedenti la percentuale del 75% - e dell'ulteriore somma di € 834,20, a titolo di indennità di occupazione, da ottobre 2011 a luglio 2014, data dell'avvenuto rilascio dell'immobile. In particolare, il giudice distrettuale aveva ritenuto che, avendo le parti stipulato in data 1° febbraio 2000 un contratto di locazione ad uso commerciale, non registrato, per un canone mensile previsto nella misura di € 361,51, ma - come riconosciuto dallo stesso conduttore - fin d'origine del rapporto, di fatto corrisposto in quella (“certamente concordata tra le parti”) di € 775,00, doveva escludersi la violazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, norma che sanzionava la pretesa di somme ulteriori rispetto a quelle originariamente pattuite, risultando altresì inconferente il richiamo all'art. 13, comma 1, della l. n. 431/1998 - che sanzionava con la nullità ogni pattuizione volta a determinare un importo superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato - poiché afferente esclusivamente ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo. Per quanto interessa queste brevi note, la Corte territoriale aveva ritenuto che, al contratto registrato del 31 marzo 2006, nel quale le parti avevano indicato in € 775,00 il canone dovuto - corrispondente a quello reale già corrisposto in vigenza del primo contratto - doveva essere riconosciuta “valenza novativa”, atteso che, con esso, venivano regolamentati, in maniera diversa rispetto al precedente accordo, aspetti non marginali del rapporto, quali la disciplina della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento dei canoni e la misura dello aggiornamento Istat (inoltre, dalla stipula del nuovo contratto, derivava il diritto del conduttore a permanere nell'immobile fino al 2018, ossia alla seconda scadenza contrattuale e, dunque, per un periodo di ulteriori sei anni rispetto alla scadenza ex lege del contratto del 2000). La questione
Si trattava di risolvere due questioni, la prima sotto il profilo processuale e la seconda sul versante sostanziale. La prima riguardava l'ammissibilità dell'ingresso nel giudizio dell'eccezione di novazione, rilevandosi che era stata sollevata solo in appello, allorchè il locatore aveva dedotto che, con il contratto del 2006, le parti avrebbero concordato una novazione contrattuale. Con la seconda, si denunciava la violazione degli artt. 1230 e 1231 c.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto sussistente una novazione tra il primo e il secondo contratto, mentre in realtà, di questa, non sussistevano né l'elemento oggettivo, né l'elemento soggettivo. Le soluzioni giuridiche
La prima questione, che prospettava un error in procedendo, è stata ritenuta infondata dai giudici di Piazza Cavour. Invero, con riferimento all'eccepita inammissibilità, per mutatio libelli, del motivo di gravame con il quale controparte aveva dedotto che, con il contratto del 2006, le parti sarebbero pervenute ad una novazione del rapporto di locazione, si è osservato che la suddetta novazione non forma oggetto di un'eccezione in senso proprio, come si deduce dalla nozione e dalla disciplina quali delineate negli artt. 1230-1235 c.c., poste a raffronto con l'espressa previsione della non rilevabilità d'ufficio della compensazione (art. 1242 c.c.), e quindi il giudice può rilevare d'ufficio il fatto corrispondente, ove ritualmente introdotto nel processo (Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 2016, n. 23434; Cass. civ., sez. lav., 8 aprile 2009, n. 8527). L'assunto secondo cui mancherebbe, nella specie, tale ultimo presupposto, non rispondeva a realtà, avendo la Corte d'Appello rilevato la novazione sulla base di elementi - quelli relativi alla misura del canone, alla disciplina della risoluzione del contratto, alla durata dello stesso - risultanti pacificamente dalle comuni allegazioni delle parti, laddove diversa questione - di merito e non processuale - era, poi, se tali elementi giustificassero effettivamente, oppure no, l'inferenza trattane dal giudice distrettuale, restando, comunque, escluso che, per aver attribuito ad essi detta valenza, quest'ultimo fosse incorso nel denunciato error in procedendo. Diversa, invece, è stata la soluzione dell'altra questione, laddove si contestava - appunto nel merito - la fondatezza dell'assunto secondo cui il contratto stipulato tra le parti nel 2006 avrebbe comportato una novazione del rapporto obbligatorio, ritenendo fondate, sul punto, le doglianze del conduttore. Osservazioni
Con la sentenza in commento, i magistrati del Palazzaccio hanno ribadito il costante insegnamento secondo cui, in tema di locazione, non è sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni meramente accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell'animus novandi e della causa novandi, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivato (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2017, n. 14620; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5673; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2007 n. 11672). Alla luce di tale pacifico indirizzo, è apparso evidente l'errore di sussunzione in cui era incorso il giudice a quo per avere attribuito rilevanza, ai fini della configurabilità della dedotta novazione, sotto il profilo oggettivo (aliquid novi), a “pattuizioni incidenti su aspetti meramente accessori del rapporto”. Innanzitutto, la previsione della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento del canone, riguardando situazione meramente eventuale e patologica del rapporto, non comporta di per sé alcuna modificazione né dell'oggetto né del titolo del rapporto locativo. Inoltre, quanto al prolungamento di un ulteriore sessennio del rapporto, esso costituisce riferimento meramente tautologico, essendo affermato in sentenza non già perché espressamente previsto nell'accordo del 2006, ma proprio quale conseguenza del postulato carattere novativo dell'accordo (da esso, infatti, facendosi discendere che quella del 2012 sarebbe stata non più la seconda scadenza del rapporto, ove ricondotto a quello preesistente, ma la prima, conseguentemente restando il rapporto soggetto a rinnovazione tacita con limitata facoltà di disdetta ai sensi degli artt. 28-29 l. n. 391/1978). In ogni caso, si trattava di effetto incidente - alla stregua della consolidata giurisprudenza sopra ricordata - su aspetto meramente accessorio del rapporto, come tale inidoneo a rappresentare effettivamente una modifica novativa del suo oggetto. Tanto meno tale rilevanza poteva, infine, attribuirsi alla prevista maggiore misura dell'aggiornamento Istat del canone, trattandosi di previsione che, oltre a essere palesemente nulla per contrasto con l'art. 32 della legge sul c.d. equo canone, incide anch'essa su aspetto del rapporto (ossia l'ammontare del canone) che, secondo la citata giurisprudenza, non può comunque considerarsi, di per sé solo, suscettibile di modificazioni tali da integrare novazione del rapporto. In argomento, gli ermellini hanno, ad ogni buon conto, ribadito che la variazione della misura del canone e del termine di scadenza non siano sufficienti ad integrare novazione del contratto, neppure se concorra la successione di un soggetto ad un altro nel rapporto locatizio (Cass. n. 14620/2017, cit.; in senso contrario Pret. Conegliano 20 dicembre 1989). Una sentenza di merito ha, tuttavia, precisato che la novazione non possa escludersi ove le parti, aldilà della revisione dell'importo dovuto quale canone contrattuale e della fissazione di una diversa scadenza contrattuale, avulsa dalle vicende del precedente contratto, manifestino l'intendimento di disciplinare ex novo l'intero rapporto (Trib. Napoli 4 febbraio 1999). A questo punto, può essere interessante verificare come in ipotesi diverse dall'accordo incidente sulla durata del rapporto e sull'entità del corrispettivo, i giudici abbiano con prevalenza escluso la novazione della locazione. Sul versante della giurisprudenza di legittimità, sia pure con pronunce alquanto datate (Cass. civ., 19 aprile 1990, n. 3240), si è statuito che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, qualora nel corso di un rapporto sia intervenuto altro contratto che, ferme rimanendo le parti, la res locata e la regolamentazione sostanziale del rapporto, abbia allo stesso apportato modifiche di carattere meramente marginale - nella specie, è stato modificato il termine convenzionale per la disdetta prima della scadenza - onde stabilire la scadenza legale del contratto, nel regime transitorio di cui all'art. 58 della l. n. 392/1978, occorre far riferimento alla data iniziale del rapporto e non a quella del secondo contratto, atteso il carattere non novativo e meramente accessorio delle modifiche apportate. La novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula, quindi, il mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione (art. 1230 c.c.), e non è ricollegabile a mere modificazioni delle modalità esecutive della prestazione stessa, od altre modificazioni di natura accessoria ex art. 1231 c.c. (Cass. civ., sez. III, 1 marzo 1980, n. 1676: nella specie, riguardo alla locazione di un locale terraneo adibito a magazzino, si era ritenuto correttamente escluso dai giudici del merito che una novazione oggettiva potesse riscontrarsi per il solo fatto del restauro del locale medesimo, con apertura di una seconda porta, o della specificazione convenzionale dell'uso consentito al locatario). Inoltre, il mutamento di destinazione dell'immobile locato, concordato fra le parti, pur realizzando una modificazione del rapporto contrattuale, non ne implica una radicale novazione, peraltro, esso costituisce un elemento che, conferendo nuovi vantaggi al conduttore, giustifica una revisione del canone anche in deroga alle norme sul blocco dei canoni di affitto (Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1969, n. 3441). Sul versante della giurisprudenza di merito, si è puntualizzato che, in assenza di alcuna risultanza non equivoca, l'atto di transazione con il quale si riduce il numero dei vani concessi in locazione e, conseguentemente, si modifica l'entità del canone non costituisce nuovo contratto di locazione, sicché, ai fini della determinazione della scadenza del rapporto, occorre fare riferimento all'originario contratto di locazione (Pret. Pisa 15 febbraio 1986). Parimenti, non si configura un nuovo contratto ai sensi dell'art. 67, comma 3, della l. n. 392/1978 quando in un rapporto di locazione di immobile ad uso diverso di abitazione sia intervenuta, prima della fine del regime transitorio, la restituzione di una parte dei locali, rimanendo il contratto iniziale come fonte regolativa del rapporto locatizio relativamente ai locali rimasti nel godimento del conduttore (Pret. Firenze 12 aprile 1988). Riferimenti
Ferrari, Modifiche contrattuali sulla scadenza e sulla misura del canone di locazione: limiti e conseguenze, in Condominioelocazione.it, 8 gennaio 2018; Bordolli, Tacito rinnovo e novazione: analisi dei principali problemi, in Immob. & proprietà, 2015, 101; Campodonico, L'incostituzionalità della novazione dei contratti di locazione, con canone ridotto, come sanzione per l'inesistenza o la mancata registrazione dei contratti stessi, in Dir. e prat. trib., 2014, II, 810; Vitiello, Novazione del contratto e incremento del canone di locazione, in Ventiquattrore avvocato, 2007, fasc. 5, 27; Mangialardi, La novazione nel contratto di locazione, in Contratti, 2004, 924; Razza, Rinnovazione e novazione del contratto di locazione, in Arch. loc. e cond., 1989, 519; Paparella, Azione di maggiorazione del canone, novazione oggettiva e clausole contrattuali, in Rass. dir. civ., 1981, 873.
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