Accertamento induttivo-extracontabile: legittimo se l'inventario omette le merci presenti in magazzino per categorie omogenee
07 Ottobre 2021
Massima
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, si determina un ostacolo nell'analisi contabile del fisco, sicché ne discendono l'incompletezza e l'inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l'accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R., ed il ricorso anche alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto - già in sede di accesso, ispezione o verifica - l'onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice del merito, ferma la legittimità del metodo dell'accertamento, di effettuare le conseguenti valutazioni sulla attendibilità dell'inventario dedotta dallo stesso contribuente. Il caso
In seguito ad seguito di verifica fiscale, l'Ufficio delle Entrate di Benevento notificava ad un contribuente - esercente l'attività di ferramenta - un avviso di accertamento ed irrogazione di sanzioni, in relazione all'anno 2006, rideterminando il dovuto per IRPEF, IVA ed IRAP, avendo accertato maggiori ricavi in misura pari ad Euro 45.899,00.
L'Ufficio, alla luce dell'inattendibilità della contabilità, derivante in particolare dal fatto che le rimanenze iniziali e finali erano state riportate indistintamente, aveva proceduto ad accertamento induttivo puro, ai sensi dell'art. 39, comma 2, d.P.R. 600/1973, in ragione all'applicazione del metodo del “costo del venduto”.
Tale atto impositivo era impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso. Tale decisione era impugnata in Commissione Regionale.
Anche i giudici di appello respingevano la doglianza deducendo la legittimità del provvedimento impositivo e la correttezza della valutazione del primo giudice circa i presupposti per l'accertamento induttivo. Pertanto, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione lamentando, tra gli altri motivi, la violazione degli articoli 15 e 39 comma 2, d.P.R. 600/1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. dolendosi, in particolare, della ritenuta correttezza del ricorso al metodo di accertamento induttivo puro, a cagione delle modalità di indicazione (indistinta) delle rimanenze iniziali e finali, non avendogli mai l'Ufficio contestato di non aver tenuto l'inventario e le distinte inventariali, ovvero di non aver messo dette distinte a disposizione degli accertatori.
Secondo il ricorrente, infatti, in mancanza di ciò, l'Agenzia non avrebbe potuto ricorrere all'accertamento con metodo induttivo puro, non potendosi giustificare alcun giudizio di inattendibilità delle scritture contabili.
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso ritenendo inammissibile la suddetta doglianza, osservando preliminarmente che il ricorso al metodo induttivo era stato correttamente ritenuto legittimo dai giudici di secondo grado, in conseguenza della valutazione di inattendibilità delle scritture contabili operata dall'Ufficio. La questione
La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, ai fini della ricostruzione reddituale sia o meno legittimo il ricorso all'accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. ed alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza La soluzione giuridica
Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina. A mente del comma 2 dell'art. 15 d.P.R. 600/1973, l'inventario deve riportare le merci presenti in magazzino, distinte per categorie omogenee.
In mancanza di ciò, si verifica una inattendibilità della contabilità, tale da legittimare l'accertamento induttivo-extracontabile, ai sensi dell'art. 39 co. 2 lett. d) del d.P.R. n. 600/73. Laddove, tuttavia, il contribuente sia in possesso delle distinte che compongono l'inventario, ha l'onere di produrle in sede di accesso, o, al più tardi, durante il giudizio. Il libro degli inventari è un libro contabile che deve essere tenuto, ai fini civilistici, dagli imprenditori (non piccoli) che esercitano un'attività commerciale (art. 2214 c.c.).
La tenuta del libro degli inventari è, inoltre, prevista, ai fini fiscali, per i soggetti in contabilità ordinaria (art. 14 co. 1 del d.P.R. n. 600/73).
Il libro degli inventari fornisce una rappresentazione periodica della situazione patrimoniale ed economica dell'impresa con i relativi risultati ed è composto da una sezione descrittiva, nella quale vengono evidenziate le attività e le passività relative all'impresa e dell'imprenditore estranee all'impresa medesima e da una parte valutativa, in cui si procede alla stima delle stesse, per poi chiudersi con il bilancio (art. 15 del d.P.R. n. 600/73 e art. 2217 c.c. ).
Atteso che inventario e bilancio consistono in due scritture distinte (diverso contenuto e diversa finalità non consentono alcuna sovrapposizione tra le due scritture, v. Cass. Civ., n. 8273/2003), l'omessa redazione dell'inventario non è sanata, né resa meramente formale, dall'avvenuta redazione del bilancio. Nell'inventario occorre, altresì, indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo di beni con indicazione degli elementi che compongono il gruppo e la loro ubicazione. Laddove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'Amministrazione finanziaria le distinte utilizzate per la compilazione dell'inventario (v. art. 15 co. 2 del d.P.R. n. 600/73). Ai fini fiscali, nell'inventario degli imprenditori individuali è sufficiente che siano distintamente indicate e valutate le attività e le passività relative all'impresa (art. 15 co. 3 del d.P.R. n. 600/73). L'inventario dovrà essere redatto all'inizio dell'esercizio dell'impresa e, successivamente, ogni anno, entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, sottoscritto dall'imprenditore o dal rappresentante legale della società o ente (artt. 15 co. 1 del d.P.R. n. 600/73 e 2217 co. 1 e 3 c.c.).
Il libro degli inventari può essere tenuto o con modalità “tradizionali”, cioè su supporto cartaceo (documenti analogici) ex artt. 2215 e 2219 c.c., avvalendosi anche di sistemi di tenuta meccanografici o elettronici, oppure con modalità informatiche (documenti informatici) ex art. 2215-bis c.c..
Nella prima ipotesi, ossia laddove il libro degli inventari sia in forma cartacea, esso dovrà essere tenuto (art. 2219 c.c., richiamato dall'art. 22 co. 1 del d.P.R. n. 600/73) secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessario effettuare cancellazioni, queste devono eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.
Il libro degli inventari deve essere numerato progressivamente in ogni pagina (art. 2215 co. 2 c.c., art. 22 co. 1 del d.P.R. 600/73), mentre non è più soggetto a bollatura, né a vidimazione.
La tenuta di qualsiasi registro contabile (quindi, anche dell'inventario) con sistemi elettronici su qualsiasi supporto si considera in ogni caso regolare, in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica il registro è aggiornato sui supporti elettronici ed è stampato su richiesta degli organi procedenti e in loro presenza (v. art. 7 co. 4-quater del D.L. 357/94, come modificato dall'art. 12-octies del D.L. 34/2019). La conservazione del libro degli inventari avviene con modalità tradizionali, cioè previa stampa su supporto cartaceo, oppure elettronicamente (v. conservazione elettronica).
Ai fini civilistici il libro degli inventari dovrà essere conservato per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione (art. 2220 co. 1 c.c.). Ai fini fiscali, invece, la conservazione del libro degli inventari andrà effettuata fino a quando non saranno definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d'imposta, anche oltre il termine decennale previsto dall'art. 2220 c.c. (art. 22 co. 2 del d.P.R. 600/73).
La non corretta o l'omessa tenuta del libro degli inventari consente agli uffici di procedere a controllo con metodo induttivo stante la configurabilità della fattispecie della contabilità complessivamente inattendibile (v. Cass. 19658/2020, Cass. 6623/2011 e Cass. 16724/2005). Pertanto, l'Agenzia delle Entrate potrà rideterminare il reddito utilizzando presunzioni “semplicissime” (prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza), oppure utilizzando qualsiasi dato pervenuto alla sua conoscenza. Ciò detto e tornando al caso in premessa, un contribuente ricorreva in Cassazione al fine di evidenziare la non correttezza del metodo induttivo utilizzato dall'Ufficio il quale, in sede di verifica, aveva rilevato che l'inventario del contribuente ometteva di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15, comma 2, d.P.R. 600/1973.
La Corte di Cassazione non condivideva tale impugnazione e rigettava il ricorso principale.
Secondo il Giudice di Legittimità in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, si determina un ostacolo nell'analisi contabile del fisco, sicché ne discendono l'incompletezza e l'inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l'accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R., ed il ricorso anche alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (v. Cass. civ. Sez. V Ord., 17/06/2021, n. 17244). Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto - già in sede di accesso, ispezione o verifica - l'onere di mettere a disposizione degli accerta tori le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice del merito, ferma la legittimità del metodo dell'accertamento, di effettuare le conseguenti valutazioni sulla attendibilità dell'inventario dedotta dallo stesso contribuente.
La Corte ha evidenziato che il contribuente deve esibire le distinte inventariali o in sede amministrativa o in sede contenziosa ed in tale ultimo caso proprio per contrastare le risultanze dell'accertamento sintetico, al fine di consentire al giudice di merito di procedere alle conseguenti valutazioni sull'attendibilità dell'inventario (v. Cass. Civ., 23694/2007). Conclude infatti la Cassazione che: «Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto - già in sede di accesso, ispezione o verifica - l'onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice del merito, ferma la legittimità del metodo dell'accertamento, di effettuare le conseguenti valutazioni sulla attendibilità dell'inventario dedotta dallo stesso contribuente». Osservazioni
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte esamina il problema della regolarità formale delle rilevazioni di magazzino. Con la decisone in commento la Suprema Corte giunge ad affermare che la mancata indicazione con appositi documenti delle “categorie omogenee” nelle quali debbono essere raggruppati i beni risultanti in inventario giustifica una dichiarazione di globale inattendibilità della contabilità nel suo complesso, con facoltà per l'Agenzia di utilizzare il procedimento di accertamento induttivo, prescindendo dai dati contabili, come previsto dall'art. 39, 2 comma del d.P.R. 600/73.
Il più volte citato art. 15 del d.P.R. 600/1973 impone di tenere a disposizione dell'Agenzia delle Entrate in sede di verifica le “distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario”, le quali andranno - eventualmente - prodotte in contradditorio o in giudizio.
Con la ordinanza in commento la Cassazione trae dalla mancata produzione di tali distinte - e non della globale valutazione di magazzino - la conseguenza che tutta la contabilità dell'impresa diviene inattendibile, con relativa applicabilità dell'accertamento induttivo, con le conseguenze probatori in capo al contribuente del caso. |