Comodato e strumenti di tutela contro l'occupazione abusiva di immobili: azione personale di restituzione e azione petitoria di rivendicazione

Nicola Ferraro
07 Ottobre 2021

Il Tribunale di Massa è stato chiamato a pronunciarsi in merito ad una domanda di restituzione di un'unità immobiliare concessa in comodato e alla sua corretta qualificazione, anche al fine della rilevante tematica del riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti.
Massima

Il comodante che intenda riottenere il possesso e la disponibilità dell'immobile concesso in comodato può esperire l'azione personale di restituzione, se tale diritto trova origine da un rapporto contrattuale (come quello di comodato), senza che, al fine, debba fornire la prova del diritto di proprietà; non può, invece, esperire l'azione di rivendicazione, il cui fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes,ma nel diritto di proprietà.

Il caso

Nell'ambito di un rapporto di comodato, parte comodante conveniva in giudizio il comodatario per sentir accogliere le domande di restituzione delle unità immobiliari oggetto del contratto.

La questione

La quaestio juris posta all'attenzione del Tribunale di Massa ha riguardato la tematica della qualificazione della domanda.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Massa ha accolto parzialmente la domanda attorea di risoluzione del contratto di comodato e di restituzione delle unità immobiliari nei termini che seguono.

Con riferimento all'unità immobiliare posta al primo piano, il Tribunale, accertata la sussistenza della provata necessità di parte attrice di riottenere la disponibilità dell'unità immobiliare da destinare ai propri bisogni primari, ha accolto la domanda di risoluzione del contratto, condannando la parte convenuta alla restituzione ex art. 1809, comma 2, c.c.

Non ha, invece, accolto quella tesa al ritrasferimento dell'unità immobiliare posta al piano terra oggetto di contratto di comodato già risolto.

E ciò perché la domanda proposta è stata erroneamente qualificata come domanda di restituzione. Tuttavia, come rilevato dal Tribunale, l'azione intrapresa dall'attrice va qualificata come azione di rivendicazione ex art. 948 c.c. in quanto non conseguente alla preventiva esistenza di un contratto di comodato, già risolto, ma unicamente all'azione illecita del convenuto, che ha posto in essere un'occupazione sine titulo tout court. Tale azione, concessa a chi si afferma proprietario di un bene, ma non ne ha il possesso e/o la detenzione, è volta, da un lato, a far accertare il diritto di proprietà vantato dal titolare sul bene, dall'altro, a far condannare chi lo possiede o lo detiene alla sua restituzione.

Dall'erronea qualificazione dell'azione e dalla mancata osservanza dell'onere probatorio, in ordine alla sua qualità di proprietario, è derivato il rigetto della domanda di parte attrice.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 1803 c.c., “Il comodato è il contratto con il quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito”.

Con il contratto di comodato si realizza l'attribuzione del godimento di una cosa determinata a favore di un soggetto senza che per il godimento medesimo sia previsto il versamento di un corrispettivo a carico di costui.

Dalla natura di contratto gratuito del comodato, ex art. 1803, comma 2, c.c., discende una peculiare disciplina in punto di restituzione della cosa da parte del comodatario.

Ai sensi dell'art. 1809 c.c., “il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto”.

Ai sensi dell'art. 1809 c.c., il comodatario è tenuto a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto. La scadenza del termine convenuto o, in mancanza di questo, l'uso della cosa in conformità al contratto da parte del comodatario determinano lo scioglimento del rapporto contrattuale e fanno scattare l'obbligo del comodatario alla restituzione della cosa comodata.

Nel caso in cui sia convenuto un uso e contestualmente fissato un termine, il comodatario è tenuto alla restituzione della cosa una volta compiuto l'uso, anche se prima della scadenza del termine, se a tale termine può riconoscersi la funzione di delimitare il tempo massimo entro il quale l'uso va compiuto.

In costanza di queste condizioni, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., il comodante può esigere la restituzione immediata del bene solo se sopravvenga un suo urgente e impreveduto bisogno.

Bisogno che è stato ritenuto sussistente nel caso in esame, in quanto, “risulta pacifico sia ex art. 115 c.p.c. che dai documenti in atti che l'odierna attrice, madre ultraottantacinquenne del convenuto, versi in grave situazione di disagio economico (e dunque abitativo) tanto da essere seguita dai servizi sociali del locale Comune, di talché risulta pienamente provata la necessità di riottenere la disponibilità di unità immobiliare da destinare ai propri bisogni primari” (v. pag. 4 della sentenza in commento).

Del pari, è riconosciuto al comodante il diritto di recedere dal contratto se sopraggiunge un suo urgente e imprevisto bisogno anche nel caso di contratto di comodato familiare (i.e., qualora l'immobile concesso in comodato sia destinato ad abitazione familiare). Viceversa, la restituzione del bene ad nutum da parte del comodante può essere avanzata solamente se le esigenze connesse all'uso familiare dell'immobile vengano meno (Cass. civ., sez. II, 29 agosto 2019, n. 21785).

Nel caso, poi, di comodato precario, ossia senza determinazione di durata, disciplinato dall'art. 1810 c.c., “se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante lo richiede”.

Alla mancata fissazione del termine consegue la facoltà attribuita al comodante di recedere ad nutum, da cui deriva l'obbligo per il comodatario di restituire la cosa immediatamente (si rileva che, secondo parte della giurisprudenza, la mancata indicazione del termine non necessariamente comporta la qualificazione del comodato come comodato precario. Il termine finale può, a norma dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa deve essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo).

Del pari, in mancanza di elementi certi e oggettivi che consentano di stabilire la durata del comodato e l'uso dell'immobile corrispondente alla destinazione abitativa del medesimo non consenta di desumere un termine del contratto, il comodato può essere revocato ad nutum.

La legittimazione attiva della domanda di restituzione spetta a chiunque dimostri un titolo che lo legittima alla detenzione del bene, senza necessità di dimostrare la qualità di proprietario (Cass. civ., sez. II, 10 luglio 2014, n. 15788), essendo “irrilevante, ai fini della risoluzione del contratto sottostante, la questione della proprietà dell'immobile da parte dell'attore” (App. Ancona 13 giugno 2019, n. 284).

Nel caso di specie, con riferimento all'unità immobiliare sita al piano terra, parte attrice ha avanzato una domanda di restituzione - collocando tale istanza nell'ambito di una fattispecie integrante occupazione sine titulo, scaturita da un fatto illecito, consistente nell'illegittima apposizione di nuove serrature e lucchetti - e non dall'inadempimento del comodatario all'obbligo di restituire l'immobile concesso in comodato dal suo dante causa.

All'attenzione del Tribunale di Massa, si è dunque posto il seguente quesito: è legittimato il comodante a esperire un'azione di restituzione del bene nei confronti di chi lo detiene abusivamente?

Il giudice toscano ha rigettato la domanda attorea, in quanto “l'azione intrapresa dall'attrice va qualificata non già come restituzione ma come rivendicazione ex art. 948 c.c., soggetta agli stessi oneri probatori in ordine alla qualità di proprietario (…) e a cui l'attrice non ha assolto” (v. pag. 5 della sentenza in commento).

Va precisato che la questione circa la qualificazione giuridica della domanda di rilascio o consegna di un bene nei confronti di chi lo occupa abusivamente (senza titolo) è stato oggetto di intervento da parte delle Sezioni Unite.

Un primo orientamento tendeva a ravvisare generalmente nell'invalidità oppure nell'esaurimento per risoluzione, per rescissione, per esercizio della facoltà di recesso, per decorso del termine di durata e così via, del rapporto di natura obbligatoria in base al quale il convenuto aveva conseguito la detenzione del bene oppure, in alternativa, anche per l'assoluta iniziale insussistenza di qualsiasi titolo giustificativo della disponibilità materiale della cosa da parte del convenuto.

Altra giurisprudenza di legittimità accoglieva conclusioni di segno opposto, affermando che non integra azione di restituzione, bensì azione di rivendicazione quella “con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto” (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2005, n. 14135; Cass.civ., sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705).

Le Sezioni Unite hanno aderito a questo secondo orientamento e chiarito i confini tra azione di rivendicazione e azione personale di restituzione.

Sul punto è stato, dunque, affermato che “l'azione personale di restituzione, come già dice il nome, è destinata a ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario (…) l'azione di rivendicazione deve essere proposta quando la domanda sia diretta a ottenere la riconsegna da chi dispone del bene sine titulo (Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7305).

Tale questione ha, dunque, una rilevanza pratica evidente con riferimento alla tematica del riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti.

In particolare, le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare che l'azione personale di restituzione non può surrogare l'azione di rivendicazione, “con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna venga chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene, nell'assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica. La tesi opposta comporta la sostanziale vanificazione della stessa previsione legislativa dell'azione di rivendicazione, il cui campo di applicazione resterebbe praticamente azzerato, se si potesse esercitare un'azione personale di restituzione nei confronti del detentore sine titulo” (Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7305; in senso conforme, App. Bari, 2 novembre 2020, n. 1884; Trib. Cosenza 30 settembre 2019, n. 1908; Trib. Trani 24 gennaio 2019, n. 174).

L'azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materialità del bene, hanno natura e presupposti diversi: “All'analogia del petitum non corrisponde quella delle rispettive causae petendi: la proprietà per l'una, un rapporto obbligatorio per l'altra. La prima è connotata quindi da realità e assolutezza, la seconda da personalità e relatività(Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7305).

In particolare, giurisprudenza in tal senso uniforme ha affermato che, “con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l'insussistenza ab origine di qualsiasi titolo", essendo onere del convenuto di dimostrare la esistenza di un valido titolo (ad esempio, comodato) legittimante l'occupazione ed il godimento del bene, onere che, tuttavia, nel caso di specie il convenuto non ha assolto” (Trib. Como 28 marzo 2018).

Riferimenti

Lipari - Rescigno, Obbligazioni. I contratti, Milano, 2009;

Lipari - Rescigno, La proprietà e il possesso, Milano, 2009;

De Tilla, Il possesso. Possesso e detenzione. Azioni a difesa del possesso, Milano, 2005;

Tomassetti, Il possesso, Milano, 2005.