Le “mance” sono parte integrante del reddito da lavoro dipendente

Jacopo Lorenzi
14 Ottobre 2021

In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell'ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dal d.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 1, e sono pertanto soggette a tassazione.
Massima

In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell'ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dal d.P.R. n. 917/1986, art. 51, comma 1, e sono pertanto soggette a tassazione.

Il caso

Un lavoratore dipendente - il capo ricevimento alle dipendenze di un hotel resort in Sardegna - impugnava l'avviso di accertamento Irpef 2005 con cui l'Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior reddito da lavoro dipendente per € 77.321,00, corrispondenti a mance percepite nello svolgimento delle proprie mansioni.

Il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto del ricorso di parte contribuente; contrariamente, in sede di appello, la CTR Sardegna, Sez. staccata di Sassari, riteneva non tassabili le somme percepite a titolo di mance ritenendole non comprese nella previsione di reddito di lavoro dipendente perché aventi natura aleatoria e perché percepite direttamente da soggetti terzi che non avevano alcuna relazione col datore di lavoro del contribuente.

L'Agenzia delle Entrate procedeva dunque alla proposizione del ricorso per cassazione, affidando la difesa erariale ad un unico motivo, relativo alla violazione di legge dell'art. 51, commi 1 e 2, d.P.R. n. 917/1986, perché le somme oggetto di tassazione sarebbero state percepite dal contribuente in relazione al rapporto di lavoro, per cui sarebbero rientrate pienamente nella nozione di lavoro dipendente.

La questione

La prima questione che si è posta in sede di legittimità riguarda la natura onnicomprensiva del reddito di lavoro dipendente, cioè se tale reddito sia limitato al salario o si estenda anche alle somme generalmente percepite in relazione al rapporto di lavoro.

Sul punto, come anticipato, il giudice di merito ha stabilito, accogliendo la tesi del contribuente, che le mance non rientrano nel novero dei redditi di lavoro dipendente perché di natura aleatoria (in ordine alla percezione) e perché elargite non dal datore di lavoro, quindi non ricomprendibili nel concetto di retribuzione.

Diversamente, la Circolare del Ministero delle Finanze n. 3267/E del 23 dicembre 1997 aveva previsto che l'onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche quindi non direttamente dal datore di lavoro.

La seconda questione che qui interessa ha per oggetto l'eventuale estensione analogica della disciplina di favore prevista per le mance dei croupiers, per le quali è prevista una deduzione forfetaria del 25% della relativa base imponibile.

Soluzioni giuridiche

Per offrire soluzione alla prima delle questioni, cioè quella relativa al concetto di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, la Suprema Corte ha ripercorso l'evoluzione normativa in materia, riscontrando che il legislatore ha evidenziato un'unica nozione di reddito da lavoro dipendente tanto ai fini fiscali che contributivi. Sul punto, già Cass., sez. lav., 21 marzo 2006, n. 6238, aveva stabilito che, mentre la retribuzione è strettamente connessa- in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato- con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nell'attuale art. 49, Tuir, prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione ma, anche, tutti gli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l'esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Pertanto, secondo la giurisprudenza richiamata, l'ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro, sempre che ricorrano i suddetti requisiti.

In definitiva, secondo l'ordinanza qui in commento, l'onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, comprese quindi le somme non derivanti direttamente dal datore di lavoro ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole se non certo affidamento: il nesso di derivazione delle somme che comunque promanino dal rapporto di lavoro ne giustifica, secondo la Suprema Corte, la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste.

In ordine alla seconda questione, ancora, cioè quella relativa alla parziale detassazione delle mance dei croupiers, secondo la Cassazione tale disciplina di favore non può essere oggetto di interpretazione analogica o estensiva, avendo più volte ribadito, la giurisprudenza di legittimità, la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazioni tributarie.

Osservazioni

La decisione qui in commento, nella parte in cui ritiene tassabili le mance percepite dal dipendente di un hotel dai clienti della struttura ed in relazione ai servizi ivi prestati, risulta condivisibile.

Vediamo prima il perché non appaiono convincenti le argomentazioni contrarie.

Anzitutto, la natura aleatoria della percezione della mancia. La circostanza che non sia certa la spettanza di un compenso, di un onorario, di un salario o di un'utilità nuova, aggiuntiva o sottoposta a condizione, è comune alla tassazione di molte delle categorie reddituali previste dal TUIR: si pensi al lavoro autonomo, al reddito d'impresa, ai redditi di natura finanziaria, nonché agli eventuali premi produzione dei lavoratori dipendenti che, se percepiti al raggiungimento dell'obiettivo, costituiscono appunto reddito da lavoro dipendente.

Anche la considerazione relativa alla percezione non diretta dal datore di lavoro bensì da soggetti terzi non appare convincente. Sono presenti, nell'ordinamento, ipotesi in cui il dipendente riceve somme inquadrabili come “reddito da lavoro” da soggetti terzi, si pensi alle indennità previdenziali dovute dall'Inps (quali indennità di malattia, maternità e disoccupazione, integrazioni salariali) o dall'Inail (indennità per inabilitazione temporanea).

Vi è, comunque, un'altra ragione che depone a favore della correttezza della tesi espressa dalla Corte di Cassazione, ricavabile direttamente dal tenore letterale dell'art. 51, comma 1, TUIR: la norma non richiama un rapporto dualistico tra reddito di lavoro dipendente e percezione (di tale reddito) dal datore di lavoro, anzi, per legge costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti proprio “in relazione” al rapporto di lavoro. Il concetto di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente è espressamente indicato nel fatto che, per il legislatore, si tassa quello che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, non direttamente (ed esclusivamente) da chi lo impiega.

Per questi motivi, in definitiva, la decisione qui in commento risulta condivisibile.

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