È sempre opponibile al Fisco (anche ex tunc) la rinuncia all'eredità
18 Ottobre 2021
Massima
Il chiamato all'eredità, il quale vi abbia validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, anche nel periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia, posto che la relativa dichiarazione di non accettazione ha effetto immediato ed efficacia ex tunc, con la conseguenza che tale soggetto possa essere considerato come mai chiamato alla successione. Il caso
L'oggetto della controversia sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione riguarda un avviso di accertamento, relativo a IRES, IRAP e IVA, per il periodo di imposta 2005, emesso nei confronti di soggetti considerati quali eredi di debiti tributari riferiti al de cuius, titolare di una ditta individuale. Nelle more del giudizio, i pretesi eredi avevano presentato formale dichiarazione di rinuncia all'eredità. I contribuenti, destinatari dell'atto impositivo, avevano impugnato la pretesa innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brindisi la quale, con la sentenza n. 113/2008, aveva rigettato il ricorso. In sede di appello, i giudici del gravame avevano riformato la pronuncia impugnata, rilevando come la presentazione della dichiarazione di successione non è atto suscettibile di determinare l'accettazione dell'eredità.
Avverso la decisione di secondo grado, l'Agenzia aveva proposto gravame, rilevando come la mera delazione ereditaria rappresenti titolo idoneo a configurare la soggettività passiva del chiamato, seppure in via temporanea in attesa della sopravvenuta definitività della rinuncia.
La ratio sottesa a tale ragionamento era infatti riconducibile alla revocabilità della rinuncia all'eredità nel termine decennale dall'apertura della successione. In altri termini, secondo l'Agenzia posto che la rinuncia all'eredità è revocabile entro dieci anni dalla morte del de cuius, questa non rappresenta titolo idoneo o, in ogni caso, opponibile alle ragioni erariali. La questione
La sentenza in commento ha a oggetto un tema controverso, relativo agli effetti della dichiarazione della rinuncia all'eredità e alla conseguente opponibilità degli effetti al Fisco, con particolare riferimento al periodo intercorrente tra l'apertura della successione e la formalizzazione della rinuncia. I giudici della Suprema Corte si soffermano, inoltre, sugli strumenti a diposizione dell'Erario per garantire il proprio credito. Come noto, a seguito dell'apertura della successione consegue la c.d. delazione ereditaria, ovverosia la chiamata all'eredità, ai sensi dell'art. 457 c.c.
Si tratta di una circoscritta fase della più ampia e complessa procedura di successione ereditaria, che consente al chiamato di esercitare il diritto di accettare l'eredità, secondo le modalità espressamente previste dall'art. 470 ss. c.c., e assumere, da un punto di vista giuridico, la qualifica di erede o, a contrariis, di rinunciarvi.
La formalizzazione della rinuncia alla eredità esplica inevitabili effetti anche in sede tributaria, in particolare nelle ipotesi di crediti vantati dal Fisco nei confronti del de cuius e, con specifici limiti, anche nei confronti dei soli eredi. La soluzione giuridica
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, affronta nuovamente il discusso tema degli effetti della rinuncia all'eredità in ambito tributario.
In particolare, il punto controverso riguarda l'opponibilità al Fisco della rinuncia all'eredità da parte del chiamato, con riferimento a debiti di natura tributaria del de cuius, anche nello specifico arco temporale che intercorre dalla data di apertura della successione al momento del perfezionamento della dichiarazione di non accettazione dell'asse ereditario.
Preliminarmente alla risoluzione della fattispecie concreta sottoposta alla propria attenzione, i giudici della Suprema Corte affrontano seppur de relato la questione della valenza della. Al riguardo, occorre premettere un importante distinguo: se la censura investe il merito della pretesa e, pertanto, l'avviso nel suo complesso, l'impugnativa deve ritenersi accettazione tacita dell'asse ereditario (Cass., n. 23989/2020). Opposte conclusioni valgono nella ipotesi in cui il ricorso avverso l'atto impositivo, evidenzi la carenza di legittimazione passiva. In tale specifica ipotesi, infatti, l'eventuale impugnazione della pretesa erariale non può costituire accettazione tacita dell'eredità. Effettuata l'analisi dell'istituto di matrice civilistica della non accettazione dell'eredità, la Corte di Cassazione si sofferma sugli effetti della dichiarazione di rinuncia, nonché sulle inevitabili conseguenze, anche in sede tributaria e, pertanto, sulla potenziale opponibilità della non accettazione nei confronti del Fisco. La rinuncia alla eredità, se validamente formalizzata, produce effetti immediati e nei confronti di fattispecie pregresse, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 521 c.c., il rinunciante decade dal diritto di accettazione.
Ciò nondimeno, il rinunziante può revocare la propria rinuncia entro il termine di anni dieci dalla morte del de cuius, accettando, per effetto, l'eredità, salvo l'intervenuta accettazione da parte di altri chiamati ex art. 525 c.c. Ne consegue che, la rinuncia all'eredità, ancorché intervenuta ex post ma, in ogni caso, validamente formalizzata dai potenziali eredi entro il termine di prescrizione decennale dall'apertura delle successione è opponibile al Fisco ex tunc e, pertanto, sin dal periodo di imposta di avvio della procedura di successione.
Del tutto irrilevante, ai fini della determinazione di una potenziale accettazione, è la presentazione di una dichiarazione di successione.
Tale dichiarazione infatti non rappresenta una forma di consenso della eredità (Cass., n. 15871/2020). Su tale assunto i giudici “àncorano” la motivazione sottesa alla conseguente decisione di rigetto del gravame formulato dall'Amministrazione. Posto che, nel caso di specie, non era intervenuta alcuna revoca della rinuncia alla eredità, quest'ultima formalizzata, seppur in un secondo momento, ma in ogni caso nei termini di legge, la Corte di Cassazione afferma il principio, a oggi non sempre condiviso, in base al quale allorquando il chiamato all'eredità vi abbia validamente rinunciato, mediante apposita dichiarazione non può essere considerato soggetto passivo, con riferimento ai debiti di natura tributaria del de cuius, non potendo essere giuridicamente considerato erede. Tale conclusione argomentativa trova spazio applicativo anche nel periodo intercorrente dalla apertura della successione sino alla formalizzazione della rinuncia e alla intervenuta definitività della stessa, avendo questa efficacia immediata e validità anche con riferimento a fattispecie pregresse. Sulla base di tali premesse, la Corte compie un ulteriore ragionamento, individuando soluzioni alternative per consentire al Fisco di poter, in ogni caso, tutelare le proprie pretese. Secondo i Giudici, l'Amministrazione finanziaria, alla stregua di qualsiasi creditore, può utilizzare gli strumenti previsti dal codice civile a tutela della propria posizione creditoria, quali l'impugnazione della rinuncia (ex art. 524 c.c.) o la richiesta di nomina di un curatore dell'eredità giacente (ex art. 528 c.c.), al quale validamente notificare l'avviso di accertamento (ex art. 529 c.c.). È invece preclusa all'Erario qualsivoglia attività accertativa e/o impositiva nei confronti del soggetto che abbia validamente formalizzato la rinuncia all'eredità, non potendo questi rispondere dell'obbligazione tributaria riferita al de cuius (Cass., n. 13639/2018).
Osservazioni
La sentenza mette un punto fermo su un tema di non sempre facile risoluzione. La giurisprudenza al riguardo si è mostrata spesso ondivaga, avallando, in alcuni casi, le pretese del Fisco in nome di un prevalente interesse di tutela del gettito erariale, in altri, le ragioni del contribuente, che aveva validamente esercitato il proprio diritto a rinunciare all'asse ereditario e a non rispondere delle obbligazioni tributarie riferite al de cuius. La decisione giunge a una conclusione condivisibile, in quanto coerente con le disposizioni di matrice civilistica e con il dettato della normativa tributaria.
Con specifico riferimento alla successione della obbligazione tributaria, infatti, la norma tributaria di cui agli artt. 36, primo comma, d.lgs. n. 346/1990 (TUS) e 65, primo comma, d.P.R. n. 600/1973, è chiara nel chiarire che risponde delle obbligazioni tributarie riferibili al de cuius gli eredi e non già i chiamati. Ne consegue, dunque, che l'Agenzia delle Entrate non può agire nei confronti del potenziale erede all'eredità che abbia validamente formalizzato la non accettazione, posto che la rinuncia ha effetto retroattivo ex art. 521 c.c., con la conseguenza che questi è considerato come mai chiamato alla successione e non è annoverato tra i successibili.
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