Sottrazione fraudolenta: onere del Giudice ricostruire l'entità del patrimonio del sottrattore e rapportarlo al debito

20 Ottobre 2021

In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è il Giudice deve argomentare in ordine all'insufficienza del patrimonio del debitore ad estinguere il debito fiscale.
Massima

In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è il Giudice deve argomentare in ordine all'insufficienza del patrimonio del debitore ad estinguere il debito fiscale.

Il caso

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere il ricorso di una contribuente che era stata condannata dalla Corte d'Appello di Lecce per il reato di cui all'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte).

Tra gli altri motivi di ricorso, quel che ci riguarda concerneva la violazione della legge penale incriminatrice e il vizio di motivazione in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie tipica: in particolare, veniva dedotta l'inidoneità degli atti dispositivi – nella specie, una serie di operazioni tradottesi nel compimento di atti di alienazione simulata di quote di proprietà di beni – a ledere le pretese del Fisco, non essendo stata oggetto di accertamento la capienza del residuo patrimonio degli imputati rispetto all'importo dei contestati debiti fiscali.

La ricorrente contestava, altresì, che non essendo dal procedimento emersa la prova di tale idoneità, né quella dell'inidoneità, il Giudice avrebbe dovuto fare applicazione della regola in dubio pro reo, vista anche la natura del reato, di pericolo concreto.

Ciò premesso, la Suprema Corte, con la sentenza n. 32651 del 21 maggio 2021 ha accolto il predetto motivo di impugnazione, annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado, perché il reato si era, comunque, estinto per prescrizione.

La questione

La questione concerne la natura del reato e, in particolare, l'onere della prova dell'idoneità dell'alienazione simulata o degli altri atti fraudolenti, su propri o altrui beni, “a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

Come noto, l'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 – a differenza del previgente ed abrogato art. 97, comma 4, d.P.R. n. 602/1973, ove l'inefficacia della procedura esecutiva assurgeva ad evento di reato – ha anticipato la rilevanza penale della condotta, ritenendo sufficiente la mera idoneità della stessa a pregiudicare in qualche modo la fase del recupero coattivo.

È ormai ritenuto pacificamente che la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sia un reato di pericolo concreto, la cui consumazione è arretrata in funzione genelpreventiva, e che diviene punibile allorquando, sulla base di una valutazione di idoneità operata ex ante, la condotta posta in essere dall'agente sia ritenuta idonea a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione (Cass. pen., Sez. III, 24/02/2016, n. 13233; Cass. pen., Sez. III, 09/04/2013, n. 39079; Cass. pen., Sez. V, 10/01/2007, n. 7916).

Sebbene vi sia in dottrina qualche contrasto in ordine all'esatta individuazione del bene giuridico tutelato dall'art. 11 d.lgs. n. 74/2000, può affermarsi che esso consista nella conservazione della garanzia patrimoniale del contribuente, funzionale alla percezione dei tributi tramite la procedura di riscossione coattiva.

Il giudizio prognostico-ipotetico deve essere effettuato sulla base delle circostanze conosciute e conoscibili dall'agente al momento della sua azione ed in riferimento al tempo in cui la condotta è stata posta in essere.

Di conseguenza, non vi è idoneità a porre in pericolo il bene protetto laddove il patrimonio residuo sia sufficiente a soddisfare per intero i debiti tributari, nonostante il compimento di atti simulati o fraudolenti.

Ciò precisato, si discute se il Giudice debba motivare sulla consistenza complessiva del patrimonio del debitore, nonché su chi debba gravare l'onere della prova della capienza dei beni residui a soddisfare l'Erario in caso di esecuzione.

Le soluzioni giuridiche

In ordine alla questione possono individuarsi due soluzioni: secondo un primo orientamento è in capo all'imputato l'onere di provare che i suoi beni residui siano, comunque, capienti ai fini della soddisfazione dei debiti tributari. In altri termini, si presume l'incapienza del patrimonio. Di conseguenza, il Giudice penale non è tenuto, ai fini dell'emissione della sentenza di condanna, ad argomentare in ordine a tale aspetto.

In questo senso si era espressa la Suprema Corte laddove aveva ritenuto che l'imputato non potesse limitarsi a generiche contestazioni in ordine alla sufficienza delle sostanze residue a garantire la pretesa tributaria, essendo suo onere precisare quale fosse il valore del patrimonio residuo e in quali termini garantisse il debito erariale (Cass. pen., Sez. III, 16/05/2012, n. 25677).

Invero si era qualificata come irrilevante la coesistenza di beni ulteriori suscettibili di soddisfare la pretesa erariale poiché il reato era configurabile in presenza di una riduzione anche solo parziale del patrimonio del debitore e prescindendosi comunque dall'accertamento del periculum.

Per un secondo orientamento più recente (al quale ha aderito anche la sentenza in commento), invece, il procedimento penale può esitare nella condanna dell'imputato solamente laddove risulti provato che la consistenza residua del patrimonio del debitore è inidonea a garantire il pagamento della pretesa tributaria.

Si afferma, infatti, che è necessario dimostrare, dandone conto con specifico obbligo motivazionale, l'idoneità della condotta ad evitare il soddisfacimento dell'obbligazione tributaria (Cass. pen., Sez. III, 12/07/2017, n. 47827) o, quantomeno, a rendere più difficoltoso il recupero del credito erariale (Cass. pen., Sez. III, 19/11/2015, n. 9154).

In altri termini, il giudizio in merito alla condotta posta in essere dall'agente e volta alla sottrazione fraudolenta di beni deve necessariamente tenere conto della valutazione in riferimento all'idoneità del restante patrimonio del soggetto, ovvero, della capacità del patrimonio del contribuente, al netto degli atti dispositivi effettuati, di soddisfare comunque la pretesa tributaria (Cass. pen., Sez. III, 24/02/2016, n. 13233).

Osservazioni

Si ritiene che la soluzione condivisa dalla sentenza commentata sia maggiormente compatibile con la natura del reato, che – come visto – è di pericolo concreto.

Difatti l'accertamento del requisito dell'idoneità a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva non può prescindere dalla valutazione dell'intero patrimonio del contribuente, poiché le pretese dell'Erario possono essere suscettibili di essere garantite anche in presenza della realizzazione di atti di alienazione.

Laddove si ritenesse che il reato può essere integrato dalla riduzione anche solo parziale del patrimonio, si giungerebbe a punire qualsiasi condotta di disposizione, da parte del proprietario, dei propri beni a fronte della sussistenza di un debito tributario.

In tal caso, quello di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 verrebbe trasformato in reato di pericolo presunto: tuttavia, rispetto alla norma richiamata, non si può affermare che il pericolo sia insito nella mera condotta dispositiva.

Si ricorda che per la sussistenza dei reati di pericolo concreto deve rinvenirsi un effettivo pericolo per il bene giuridico tutelato, il quale costituisce un elemento di tipicità del fatto che deve essere accertato “in concreto” dal Giudice.

Tale pericolo, nel caso di specie, deriva da un evento cagionato dalla condotta di spossessamento, cioè la diminuzione della garanzia patrimoniale generale del debitore.

Quindi si afferma che il Giudice, ove la difesa prospetti l'esistenza di beni diversi da quelli alienati e di un valore tale da costituire adeguata garanzia, debba motivare sul perché gli atti di disposizione patrimoniale abbiano pregiudicato, anche solamente rendendola più difficoltosa, l'esecuzione coattiva.

Nel caso in esame ciò non era avvenuto: la sentenza di primo grado aveva affermato che l'apparente spossessamento di alcuni beni immobili aveva “reso quantomeno più difficile – se non impossibile – il recupero dei crediti fiscali da parte dello Stato”, ma non aveva in alcun modo argomentato le ragioni di tale conclusione con particolare riguardo all'insufficienza del residuo patrimonio del debitore ad estinguere il debito.

La Suprema Corte afferma che tale circostanza “avrebbe meritato una più articolata disamina, anche solo per eventualmente rilevarne l'infondatezza”.

Nonostante la sentenza esaminata non si soffermi oltre sulla questione del riparto dell'onere della prova tra accusa e imputato, dal tenore generale della pronuncia, nonché dai precedenti richiamati, pare che debba gravare sul pubblico ministero l'onere di ricostruire l'entità del patrimonio residuo del sottrattore e di rapportarla a quella del debito tributario.

Certamente il Giudice, nella sentenza, deve esaminare e valutare la questione per non incorrere in un vizio motivazionale.

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