Imponibili i proventi da appropriazione di somme su conto cointestato in danno del coniuge

03 Novembre 2021

In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all'art. 6, comma 1, TUIR, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati o se in capo all'autore del reato sussisteva l'intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio....
Massima

In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all'art. 6, comma 1, TUIR, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati o se in capo all'autore del reato sussisteva l'intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio ma di riversarle a terzi. (Fattispecie relativa ad appropriazione indebita di denaro versato dal coniuge su conto corrente cointestato all'altro coniuge).

Il caso

Ad un contribuente già condannato dal giudice civile al risarcimento dei danni subiti dal coniuge per l'arbitraria appropriazione di una somma di denaro depositata sul conto corrente cointestato, veniva notificato avviso di accertamento per l'IRPEF relativa all'anno 2010, emesso sulla base del presupposto che detta somma costituisse provento illecito assoggettabile a tassazione ex art. 14, comma 4, della L. n. 537/1993.

Impugnato l'atto impositivo in sede giurisdizionale, l'esito favorevole, in prime cure, alle ragioni di parte privata veniva “ribaltato” dalla C.T.R., che accoglieva l'appello agenziale, nel rilievo che andasse esclusa l'esistenza di un animus donandi al momento del versamento del denaro di esclusiva pertinenza della moglie del contribuente.

Avverso la pronuncia di secondo grado proponeva infine ricorso per cassazione il contribuente denunciando – per quel che qui rileva – la violazione e/o errata applicazione dell'art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600/1973, dell'art. 14, comma 4, della L. n. 537/1993 e degli artt. 1854, 2697, 2728 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver erroneamente ritenuto il giudice di appello che la somma versata dal coniuge sul conto corrente cointestato non potesse far presumere la donazione indiretta della metà a suo favore. In particolare, il ricorrente invocava la successiva stipulazione – insieme al coniuge – di contratti di investimento mobiliare in collegamento al conto cointestato.

Con la decisione annotata la sezione VI-V della Cassazione, definita la causa ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ha rigettato il ricorso, escludendo che gli elementi controdedotti dal contribuente fossero idonei a sovvertire la conclusione raggiunta dai giudici regionali favorevole all'ipotesi di tassabilità dei proventi: ciò perché lo spirito di liberalità può essere desunto da circostanze contestuali, ma non anche da circostanze successive (che possono, al più, confermarlo) all'atto qualificabile alla stregua di donazione indiretta. Nella specie – ha stabilito la Corte regolatrice – in assenza di circostanze univocamente suffraganti l'immanenza di uno spirito liberale, il mero versamento da parte del coniuge di danaro personale sul conto corrente cointestato al contribuente non era idoneo a fondare una presunzione di appartenenza pro quota a quest'ultimo.

La questione

Con la decisione in esame la Cassazione torna sul tema della tassazione dei proventi derivanti da fatti illeciti, del quale si è occupata più volte, con riguardo a diverse fattispecie di illecito penale o civile.

Ai sensi dell'art. 14, comma 4, L. n. 537/1993, nelle categorie reddituali di cui all'art. 6, comma 1, T.U.I.R. (redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, di impresa e diversi) devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penali; i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria.

La norma è stata successivamente oggetto di interpretazione autentica per effetto dell'art. 36, comma 34-bis, del D.L. n. 223/2006, conv., con modif., in L. n. 248/2006, secondo il quale l'art. 14, comma 4, L. n. 537/1993 si interpreta nel senso che i proventi illeciti, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, comma 1, TUIR, sono comunque considerati come redditi diversi.

Dunque, nell'attuale quadro normativo, con questa previsione “di chiusura” il pretium sceleris si deve considerare reddito imponibile, a condizione che non sia stato già sottoposto a sequestro o a confisca penale. A tal fine, affinché operi questa causa di esclusione dell'imponibilità, occorre che il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro lo stesso periodo d'imposta cui il provento si riferisce. Ne consegue che, se l'accertamento riguardi illeciti proventi relativi a più annualità, il sequestro o la confisca sono opponibili al Fisco soltanto con riferimento all'annualità in cui detti atti ablatori siano stati posti in essere e non per quelli e non per quelle precedenti (Cass., Sez. V, n. 21195/2014).

Nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-04750 del 25 maggio 2011 è stato precisato che devono, ad esempio, essere assoggettati a tassazione i redditi di lavoro autonomo o di impresa derivanti da attività illecite esercitate in assenza di un requisito previsto dalla legislazione extrafiscale in materia (mancata iscrizione ad albo professionale, mancato possesso dei requisiti o titoli di studio richiesti per lo svolgimento dell'attività, mancanza di licenza di commercio o di altra autorizzazione amministrativa, ovvero con violazione di prescrizioni obbligatorie, o di disposizioni della contrattazione collettiva). Sono imponibili, inoltre, in quanto classificabili tra i redditi di capitale, i proventi derivanti dall'attività di usura (così circolare ministero delle finanze n. 150 del 10 agosto 1994).

La soluzione giuridica

La Corte di legittimità, col dictum in commento, conferma il costante indirizzo in tema di imposte sui redditi – ma valevole anche in tema d'IVA (Cass., Sez. V, n. 3550/2002; Cass., Sez. V, n. 24471/2006; Cass., Sez. V, n. 18495/2017) – in base al quale i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all'art. 6, comma 1, TUIR, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati (Cass., Sez. V, n. 21746/2005; Cass., Sez. V, n. 7511/2000) o se in capo all'autore del reato sussisteva l'intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio, ma di riversarle a terzi (ad esempio a titolo di “tangente”, essendo del tutto irrilevante, quanto all'imponibilità di tale tipo di reddito, l'intenzione di non trattenerle nel proprio esclusivo interesse, bensì di trasmetterle ad altri in base ad accordi precedentemente intercorsi: Cass., Sez. V, n. 1058/2008; Cass., Sez. V, n. 27415/2019).

I consolidati principi giurisprudenziali – oggi ribaditi – affermano chiaramente l'assoggettamento a tassazione del pretium sceleris (quali, ad esempio, le vincite da gioco d'azzardo: Cass., Sez. V, n. 16504/2006; Cass., Sez. V, n. 13305/2003) in quanto reddito imponibile, senza che sussista alcuna lesione al principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e senza distinguersi tra novella ricchezza prodotta dal reato e ricchezza tout court precedentemente tassata presso la persona offesa. In quest'ultimo senso, di recente, si era espressa la sezione tributaria della Cassazione che, aggiungendo un altro “tassello” al mosaico giurisprudenziale in materia, aveva stabilito che la tassazione deve essere applicata anche a quei proventi illeciti – frutto di appropriazione indebita da parte dell'amministratore di sostegno – che si riferiscono a somme già tassate presso il soggetto amministrato (Cass., Sez. 6-5, n. 27357/2019).

Osservazioni

Quanto al profilo strettamente civilistico, sotteso alla vicenda tributaria in esame, la Suprema corte ha ribadito che il versamento di una somma di denaro da parte di un coniuge su conto corrente cointestato all'altro coniuge non costituisce di per sé atto di liberalità. Difatti, l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l'esistenza dell'animus donandi – escluso nella fattispecie – consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (Cass., Sez. II, n. 26983/2008; Cass., Sez. II, n. 4862/2018).

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