Assicurazione contro gli infortuni mortali: grava sull'assicurato l'onere della prova che l'evento letale sia stato cagionato da un infortunio
15 Novembre 2021
Massima
Gli oneri probatori si distribuiscono diversamente a seconda dell'oggetto del contratto di assicurazione che, in quanto tale, contiene l'esatta delimitazione dei rischi assicurati. Pertanto, mentre, nelle assicurazioni sulla vita, al fine di ottenere il pagamento dell'assicuratore, il beneficiario soddisfa il suo debito probatorio provando, oltre all'esistenza del contratto, la morte dell'assicurato, e l'impresa assicuratrice, ove voglia liberarsi dal pagamento, deve provare, a sua volta, il fatto impeditivo (quale il suicidio), nelle assicurazioni sugli infortuni il beneficiario deve dimostrare non solo la morte dell'assicurato, ma altresì l'esistenza di tutti gli elementi che caratterizzano il fatto giuridico – infortunio inteso come fortuito – idoneo a far insorgere il diritto preteso. Il caso
La società X contraeva una polizza infortuni cumulativa con la quale assicurava tutti i propri dipendenti. I congiunti di Tizio, deceduto in seguito ad annegamento e cioè ad un evento espressamente contemplato dalla polizza, chiedevano alla impresa di assicurazione Alfa di liquidare in loro favore il relativo indennizzo. Poiché Alfa si rifiutava di eseguire la prestazione contrattuale, i congiunti di Tizio adivano il Tribunale di Verona. Si costituiva la società Alfa eccependo che plurimi elementi convergevano per il suicidio dell'assicurato, ossia evento non coperto dalla polizza poiché imputabile a dolo o colpa grave dell'assicurato. Il Tribunale di Verona accoglieva l'eccezione e rigettava la domanda. La sentenza era confermata dalla Corte di appello di Venezia, la quale rigettava l'appello sull'assunto che gravava sugli attori l'onere di dimostrare che la morte fosse riconducibile a un evento accidentale in danno dell'assicurato, ossia che fosse ascrivibile ad una causa fortuita, violenta ed esterna, e che detto onere probatorio non potesse ritenersi soddisfatto essendo rimasta ignota la causa dell'annegamento. I congiunti di Tizio hanno impugnato la sentenza d'appello innanzi alla Corte di Cassazione lamentandone la erroneità ed affidando le loro censure a tre distinti motivi. Con il primo motivo, è stato denunciato l'omesso esame circa un fatto decisivo, e cioè l'annegamento, che avrebbe dovuto essere considerato costitutivo del diritto di ottenere l'indennizzo sul presupposto che tale incontroversa circostanza riguardava un evento espressamente contemplato dalla polizza; con il secondo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. poiché la Corte territoriale ha escluso che gravasse sull'assicuratore l'onere di dimostrare il fatto impeditivo, e cioè la colpa grave o il dolo dell'assicurato; con il terzo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione dell'art. 1372 c.c. poiché la Corte territoriale avrebbe individuato esclusivamente nell'infortunio l'evento coperto dalla polizza e non anche nell'annegamento, nonostante le parti lo avessero espressamente previsto tra gli eventi indennizzabili, al pari del decesso dovuto a colpa grave, negligenze, imprudenze ed imperizie anche gravi dell'assicurato. La Cassazione ha dichiarato infondati i primi due motivi ed inammissibile il terzo. La questione
Nell'assicurazione contro gli infortuni mortali è sufficiente che il beneficiario provi il decesso dell'assicurato ovvero deve dimostrare anche che l'evento letale è stato cagionato da un fatto accidentale aventi le caratteristiche dell'infortunio? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha, innanzitutto, respinto il primo motivo di ricorso; in particolare, la Corte ha escluso la sussistenza del lamentato difetto di motivazione circa un fatto storico controverso e decisivo (e cioè l'annegamento) poiché non era su questa circostanza che vi era stata contrapposizione tra le parti, bensì sulla causa accidentale o intenzionale di tale evento al fine di valutare se l'annegamento rientrasse o meno nel concetto di “infortunio” o “fortuito” coperto dalla polizza: e questo aspetto era stato ampiamente considerato dalla Corte di merito.
Delibando il terzo motivo senza esaminarlo nel merito, la Suprema Corte ha ribadito il proprio consolidato orientamento, e cioè che l'interpretazione della clausole di un contratto di assicurazione è incensurabile in Cassazione “poiché il sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il medesimo giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto”: tuttavia, e da qui la inammissibilità del motivo, i ricorrenti si sono limitati a prospettare una diversa interpretazione delle clausole della polizza senza neppure indicare la violazione degli artt. 1362 c.c. e segg. al fine di dimostrare che la Corte del gravame sia incorsa in vizi ermeneutici o motivazionali quando ha ritenuto che gli eventi assicurati fossero esclusivamente quelli aventi natura accidentale. La Cassazione ha escluso anche la fondatezza del secondo motivo con la seguente e più articolata argomentazione. Intanto il Collegio ribadisce il proprio consolidato orientamento, e cioè che nel contratto di assicurazione è sull'assicurato che grava l'onere di provare il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo, ossia tanto l'avveramento di un sinistro in dipendenza di un rischio assicurato nell'ambito spaziale e temporale di operatività della copertura assicurativa quanto il danno del quale si reclama il ristoro; grava viceversa sull'assicuratore l'onere di provare il fatto impeditivo, e cioè l'eventuale colpa grave o dolo dell'assicurato che a mente dell'art. 1900 c.c. lo liberano dall'obbligo di pagare l'indennizzo. Fatta questa premessa, la Suprema Corte precisa – tuttavia – “che gli oneri probatori si distribuiscono diversamente a seconda dell'oggetto del contratto di assicurazione che, in quanto tale, contiene l'esatta delimitazione dei rischi assicurati”. Tanto significa che, se “nelle assicurazioni sulla vita, al fine di ottenere il pagamento dell'assicuratore, il beneficiario soddisfa il suo debito probatorio provando, oltre alla esistenza del contratto, la morte dell'assicurato, e l'impresa assicuratrice, ove voglia liberarsi dal pagamento, deve provare, a sua volta, il fatto impeditivo (quale il suicidio), nelle assicurazioni sugli infortuni il beneficiario deve dimostrare non solo la morte dell'assicurato, ma altresì l'esistenza di tutti gli elementi che caratterizzano il fatto giuridico – infortunio inteso come fortuito – idoneo a far insorgere il diritto preteso”. Conseguentemente, è “a carico dell'attore l'onere di dimostrare il fatto costitutivo della domanda in tutta la sua estensione”, potendo l'assicuratore limitarsi ad eccepire che l'evento non è tra quelli oggetto della garanzia assicurativa. Osservazioni
Questa recente pronuncia della Cassazione offre l'occasione per una serie di riflessioni che richiedono – preliminarmente – alcune puntualizzazioni. E' noto che il Codice civile, mentre disciplina in maniera compiuta l'assicurazione contro i danni e quella sulla vita, dedica all'assicurazione volontaria contro gli infortuni solo il quarto comma dell'art. 1916 c.c., laddove prevede che le disposizioni in materia di surroga dell'assicuratore “si applicano anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali”. Ciò ha alimentato un acceso dibattito tra coloro i quali hanno ritenuto che l'assicurazione contro gli infortuni altro non sia che una specie dell'assicurazione contro i danni, in cui il bene protetto è la integrità fisica dell'assicurato, e coloro i quali invece hanno l'hanno assimilata alla assicurazione sulla vita.
Il dibattito è stato sopito da un – non più recentissimo – intervento delle Sezioni Unite, le quali hanno optato per una tesi intermedia, a seconda – cioè – che l'assicurazione contro gli infortuni contempli o meno anche il rischio morte. In particolare, è stato affermato il seguente principio: “Una peculiarità del contratto di assicurazione privata contro gli infortuni è infatti proprio quella dell'essere tale contratto caratterizzato dalla complessità del rischio coperto, in quanto comprensivo sia del rischio di infortunio produttivo di inabilità temporanea o invalidità permanente, sia del rischio di infortunio mortale. La duplicità del rischio implica diversificazione di disciplina del contratto, che deve quindi ritenersi soggetto ad una disciplina di tipo misto: da ricavare prevalentemente dalla disciplina dettata per l'assicurazione contro i danni, nel caso in cui il particolare aspetto del rapporto del quale deve essere individuata la disciplina si ricolleghi alla deduzione di un infortunio che abbia determinato inabilità o invalidità, ovvero prevalentemente dalla disciplina dettata per l'assicurazione sulla vita, nel caso in cui venga in considerazione un infortunio mortale” (Cass. Sez. Un., 10 aprile 2002 n. 5119).
Se l'assicurazione contro gli infortuni che preveda il rischio morte è “prevalentemente” regolata dalle norme che disciplinano l'assicurazione sulla vita, è allora di estremo interesse capire quali siano le norme concretamente applicabili. Ebbene, nell'assicurazione contro gli infortuni non si potrebbe invocare senz'altro l'art. 1926 c.c., che regola gli effetti sul contratto di assicurazione sulla vita dei cambiamenti di professione dell'assicurato.
Ha infatti affermato la Suprema Corte che “l'assimilazione in via analogica tra l'assicurazione volontaria contro gli infortuni e l'assicurazione sulla vita non può essere totale e assoluta, in quanto il rischio coperto dalla prima forma di assicurazione, per la sua peculiarità, può riguardare soltanto l'espletamento di una specifica attività professionale e non qualunque evento generico che incida sulla vita dell'assicurato; ne consegue che l'art. 1926 c.c. che disciplina l'aggravamento del rischio nell'assicurazione sulla vita derivante dal cambiamento di professione dell'assicurato, non può trovare applicazione nell'assicurazione volontaria contro gli infortuni tutte le volte che il rischio coperto non riguardi una qualunque generica attività lavorativa e professionale, bensì quella specifica, espletata dall'assicurato all'atto della sottoscrizione della polizza, poiché in tal caso, se l'infortunio si realizza in una diversa attività lavorativa, non si tratta di una mera variazione quantitativa del rischio assicurato, che possa legittimare l'eventuale recesso dal rapporto assicurativo per aggravamento del rischio, ma della realizzazione di un rischio ontologicamente diverso rispetto a quello assicurato” (Cass. civ., Sez. I, 27 novembre 1979 n. 6205). Non troverebbe applicazione neppure l'art. 1924 c.c., giacché tale disposizione, il cui secondo comma prevede la risoluzione di diritto dell'assicurazione sulla vita, per il caso di mancato pagamento dei premi successivi al primo, non è applicabile all'assicurazione privata contro gli infortuni, la quale è soggetta alla disciplina generale dettata dall'art. 1901 c.c. e, quindi, suscettibile di risoluzione, per effetto dell'inadempimento dell'assicurato, solo nel caso in cui l'assicuratore non agisca per la riscossione dei premi entro sei mesi dalla scadenza. Infatti, il carattere eccezionale dell'indicata disposizione, che è proprio ed esclusiva dell'assicurazione sulla vita in senso tecnico, non ne consente un'estensione analogica nel ramo assicurazione contro gli infortuni, la quale, pur presentando con la prima alcune affinità, non può essere identificata od equiparata alla medesima” (Cass. civ., Sez. I, 13 maggio 1977 n. 1883).
Secondo una certa dottrina, inoltre, anche l'art. 1925 c.c. non sarebbe suscettibile di applicazione all'assicurazione infortuni, pur nel caso in cui sia assicurato il rischio morte, non potendo ritenersi compatibile con questo tipo di assicurazione quella norma che regola il riscatto, ossia un istituto tipico dell'assicurazione sulla vita (Polotti di Zumaglia A., L'assicurazione privata contro gli infortuni, in Le Assicurazioni private, 2006, p. 2999). Non è del tutto certa neppure l'applicabilità dell'art. 1927 c.c. all'assicurazione infortuni che preveda il rischio morte. La norma, come è noto, disciplina la fattispecie del suicidio dell'assicurato e rappresenta una chiara deroga ai principi stabiliti dall'art. 1900 c.c. perché il fatto intenzionale (e dunque doloso) dell'assicurato non preclude il diritto del beneficiario al pagamento delle somme assicurate, se l'evento si verifica dopo due anni dalla stipula del contratto: a mente dell'art. 1900 c.c., invece, l'assicuratore non è tenuto a pagare l'indennizzo se il sinistro è stato provocato dal dolo o dalla colpa grave dell'assicurato. Ebbene, qualche argomento a favore della tesi restrittiva si desume anche dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2002, le quali, muovendo proprio dalla premessa che, laddove l'assicurazione contro gli infortuni preveda il rischio morte, debba essere regolata dalle norme che disciplinano l'assicurazione sulla vita, non solo hanno escluso che in tali casi possa trovare applicazione l'art. 1910 c.c. ma hanno anche aggiunto che “d'altra parte, nel caso di assicurazioni plurime che includano tra i rischi anche l'infortunio mortale, qualora il contraente giunga a porre fine volontariamente alla sua vita, ed il beneficiario richieda a tutti l'indennizzo, ciascun assicuratore avrà adeguata tutela nell'art. 1900, compreso tra le disposizioni generali in materia di assicurazione, secondo il quale l'assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo dell'assicurato” (Cass. Civ, SS.UU, 10 aprile 2002 n. 5119)
La sentenza in esame restringe ulteriormente l'area di applicazione delle norme e dei principi che disciplinano l'assicurazione sulla vita, alle quali occorrerà pure fare prevalentemente riferimento quando l'assicurazione contro gli infortuni prevede anche il rischio morte, ma non fino al punto di poter ritenere che valgono per quest'ultima le regole sull'onere della prova valevoli per l'assicurazione sulla vita. Peraltro, questo principio non è nuovo perché era già stato affermato dalla Cassazione in un lontano precedente (Cass. civ., Sez. I, 22 aprile 1965 n. 707) e ad esso si è uniformata la giurisprudenza di merito. Infatti, è stato escluso il diritto del beneficiario all'indennizzo in un caso di assicurazione contro gli infortuni in cui non era stato dimostrato che la morte dell'assicurato, espressamente contemplata tra i rischi, fosse stata cagionata da un infortunio, ossia da una causa fortuita, esterna e violenta (Trib. Vicenza 25 marzo 2010); ed è stato negato il diritto all'indennizzo anche in un caso in cui era stato accertato che la morte dell'assicurato fosse stata provocata dal fatto intenzionale di un terzo, non potendo confondersi l'omicidio con l'infortunio dell'assicurato, che invece presuppone un evento del tutto fortuito, e non potendosi prescindere – ai fini della copertura assicurativa – dell'avveramento del rischio espressamente contemplato in polizza (Appello Bologna 22 novembre 2001). In conclusione, ed alla luce della giurisprudenza che è stata chiamata ad occuparsi dell'assicurazione contro gli infortuni mortali, sembrerebbe che l'assimilazione di questa all'assicurazione sulla vita sia più funzionale – considerata la peculiarità delle norme che disciplinano i prodotti assicurativi del ramo vita – non tanto ad estenderne l'ambito di applicazione quanto a restringere l'area di applicazione delle disposizioni in materia di assicurazione contro i danni. |