Le operazioni di passaggio generazionale non possono essere considerate abusive
19 Novembre 2021
Massima
Un'operazione di cessione di quote, preceduta dalla rivalutazione delle stesse, con il versamento di un'imposta sostitutiva, non può essere considerata abusiva del diritto tributario. Tale principio deve essere applicato nelle riorganizzazioni che hanno come scopo il passaggio generazionale e la costituzione o l'utilizzo di una holding, deputata a divenire il soggetto deputato a gestire i rapporti famigliari.
[Fonte: IlSocietario.it] Il caso
L'operazione contestata si era realizzata mediante cessione delle quote, previa loro rivalutazione, della società Alfa s.r.l. alla società neo costituita Beta s.r.l. partecipata dagli stessi cedenti con pagamento del corrispettivo "a debito" e successivo rimborso del debito mediante i dividendi distribuiti alla Beta s.r.l. da parte della società partecipata. L'Agenzia delle Entrate aveva eccepito che la riorganizzazione era priva di valide ragioni economiche e finalizzata ad ottenere indebiti vantaggi fiscali costituiti dalla sostanziale detassazione dei dividendi. Confermando quanto sancito dalla Commissione Tributaria Regionale competenza, che aveva respinto il ricorso erariale in appello, ha rilevato l'insussistenza della fattispecie elusiva contestata in quanto le plurime e concatenate operazioni trovavano ragionevole giustificazione nel riassetto societario con particolare riferimento ai rapporti tra i familiari dei soci. Tali conclusioni sono in linea con quanto previsto dalla normativa sull'abuso del diritto. Le questioni
La normativa sull'abuso del diritto è contenuta nell'art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), secondo il quale configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. È stato osservato che per l'esistenza dell'abuso occorrono tre presupposti:
Pertanto, la norma in oggetto sembra restringere l'ambito applicativo della disposizione nel senso che, per far scattare la norma antielusiva, non è sufficiente un'operazione priva di valide ragioni economiche , ma occorre anche che l'indebito vantaggio sia lo scopo essenziale dell'operazione. In altri termini, l'indebito vantaggio fiscale, in assenza di sostanza economica, non determina necessariamente l'applicazione della norma sull'abuso. Ciò sarebbe confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate, secondo la quale, per constatare l'abuso del diritto, è necessario prioritariamente procedere alla verifica dell'esistenza del primo elemento costitutivo - l'indebito vantaggio fiscale - in assenza del quale l'analisi antiabusiva si deve intendere terminata. Diversamente, al riscontro della presenza di indebito vantaggio, si proseguirà nell'analisi della sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi (assenza di sostanza economica e essenzialità del vantaggio indebito). Infine, solo qualora si dovesse riscontrare l'esistenza di tutti gli elementi, l'Amministrazione Finanziaria procederà all'analisi della fondatezza e della non marginalità delle ragioni extra fiscali (Risoluz. Agenzia delle Entrte, 17 ottobre 2016, n. 93). Pertanto, quando l'operazione non consente la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito, non può essere considerata elusiva (Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello n. 450 del 30 ottobre 2019). E tale vantaggio indebito non può verificarsi quando si sfrutta una norma che permette di sostenere un'imposta sostitutiva per usufruirne, come si avrà modo di approfondire nel successivo paragrafo. Le soluzioni giuridiche
La rivalutazione delle partecipazioni societarie, al fine della loro cessione, viene considerata dall'Agenzia delle Entrate come abusiva, in quanto l'operazione sarebbe finalizzate esclusivamente al conseguimento di un risparmio d'imposta, ottenuto con il pagamento dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni, eludendo così il pagamento delle imposte sui dividendi, generalmente più alta (attualmente 11% contro il 26%). Il Legislatore, invero, con la previsione a favore dei contribuenti di procedere con la rivalutazione delle partecipazioni, previo pagamento di un'imposta sostitutiva, ha semplicemente preferito assicurarsi l'incasso, certo e immediato, di un'imposta sostitutiva, rispetto all'incasso (non certo nella sua esistenza) possibile e futuro di un'imposta più elevata. Pertanto, la rivalutazione delle partecipazioni disciplinata dall'art. 5, Legge n. 448/2001 e successive modificazioni ha comportato dei vantaggi (legittimi), sia per i contribuenti, sia per lo stesso Erario. Si consideri peraltro il fatto che proprio l'Agenzia delle Entrate, in alcuni documenti di prassi, ha messo in evidenza come non possa essere affatto considerata abusiva la rivalutazione delle partecipazioni effettuata in prossimità della cessione delle medesime. Si tratta di un legittimo risparmio d'imposta che si pone perfettamente in linea con la ratio di quanto previsto dagli articoli 5 e 7 della Legge n. 448/2001. Infatti, è stato chiarito che: “… la rappresentata cessione … della totalità delle partecipazioni della società istante (rimasta titolare dell'azienda relativa al solo ramo operativo) da parte del socio-società e dei soci-persone fisiche non imprenditori, non integra alcun "indebito risparmio d'imposta"; ciò comporterà in capo alla prima, il realizzo di una plusvalenza esente ai sensi dell'art. 87 del TUIR (ricorrendone i presupposti di legge) e, in capo ai secondi, un capital gain da partecipazione qualificata (essendo le partecipazioni al capitale sociale in esame di entrambi i soci superiori al 25%) ex articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del TUIR, che sarà, di fatto, "azzerato" a seguito della prospettata adesione alla rivalutazione delle partecipazioni da essi detenute” (Ag. Entrate, Risoluzione 25 luglio 2017, n. 97/E). In altro documento erariale (Ag. Entrate, Risoluzione 17 ottobre 2016 n. 93/E), è stato sostenuto che non può affatto essere equiparato a una fattispecie di abuso del diritto un mero risparmio d'imposta per il quale il contribuente decide di optare (“L'eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all'avvenuta assegnazione, è una facoltà che il Legislatore non ha inteso vietare, con la conseguenza che, ad avviso della scrivente, il legittimo risparmio di imposta che deriva dall'operazione non è sindacabile ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000”).
In senso analogo il Comitato Consultivo per le norme antielusive (con il parere del 20 ottobre 2003, n. 16), il quale, ha qualificato come non elusive le seguenti operazioni: rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda; scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio immobiliare alla costituenda società; concessione in locazione, alla scissa, degli immobili; cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria. Recentemente anche la Direzione Regionale del Veneto, in una risposta ad interpello inedita, ha sancito che, relativamente ad un'operazione di passaggio generazionale, pur osservando che la cessione avviene a favore di holding familiari in cui i soci cedenti (padri) hanno una quota di partecipazione (il restante capitale sociale è detenuto dai figli) e che la dismissione della partecipazione ha un effetto analogo a quello del recesso dalla società ceduta, “nella specifica operazione prospettata (che rappresenta un "segmento" di una generale riorganizzazione societaria del gruppo), in una prospettiva contestuale orientata a comprendere l'effetto complessivo dei comportamenti dei soggetti coinvolti, sussistano elementi di "sostanza economica"… Nella fattispecie qui considerata, la "sostanza economica" è ravvisabile nel complessivo "disegno" di riorganizzazione del gruppo societario, con la successione della "seconda generazione" nel controllo dello stesso”. Tali principi sono coerenti con quanto espressamente stabilito dal quarto comma dell'art. 10-bis, Legge n. 212/2000. Dispone per l'appunto il citato comma quarto: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”. Pertanto, la mera opzione del contribuente per un regime fiscale meno oneroso, e al contempo previsto dal nostro ordinamento giuridico, non può costituire elemento da cui desumere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto. Anche la giurisprudenza di secondo grado ha sancito che non può essere considerata alla stregua di una scelta elusiva la mera opzione dei contribuenti di avvalersi della rivalutazione delle partecipazioni prevista dalla Legge n. 448/2001. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha sancito che: “… la rivalutazione delle quote è prevista dall'art. 5 della L. n. 448 del 2001 ed è il risultato di una scelta del legislatore che ha preferito incassare una imposta sostitutiva ridotta (4%), ma certa e "subito", rispetto all'incasso solo possibile e futuro di una imposta più elevata. I contribuenti si sono avvalsi della L. n. 448 del 2001, ma questo non consente di affermare che la loro scelta sia fiscalmente elusiva” (CTR Veneto, sent. n. 1326 del 22 novembre 2018).
La stessa Commissione Regionale ha stabilito che: “L'obiettivo ricercato dai ricorrenti appare, a giudizio della Commissione, del tutto legittimo ed ad esso non può negarsi un valore economico ed organizzativo … a giudizio del Collegio, l'ottenimento di un passaggio generazionale all'interno delle due famiglie, con una contestuale riunificazione in capo ad una holding di partecipazione di differenti realtà industriali, costituisce di per sé una valida ragione economica. Per quanto concerne il processo posto in essere e contestato dall'Amministrazione, la Commissione ritiene che l'utilizzo della rivalutazione delle partecipazioni ai sensi dell'art. 5 della L. n. 448 del 2001, non può certo essere considerata una operazione di per sé elusiva se finalizzata al perseguimento di una valida ragione economica; inoltre la possibilità di operare una cessione di partecipazioni, invece che una vendita, rientra pienamente nelle legittime opzioni che la legislazione prevede; non appare infatti, in presenza di una valida ragione economica, legittimo vincolare il comportamento del contribuente alla sola scelta del conferimento della società preceduto dalla distribuzione di utili pregressi» (sentenza 12 luglio 2018 n. 847). Inoltre, sempre i giudici di secondo grado del Veneto hanno sancito che : “Dalla lettura degli atti e della documentazione prodotta in giudizio si evince che nel presente caso sono effettivamente esistenti delle ragioni organizzative che hanno motivato il complesso delle operazioni poste in essere, costituite dalla concentrazione sulla società L. Srl di funzioni in grado di consentire alla G. SpA di concentrarsi sul “core business”, quali quelle finanziarie o di supporto per servizi di tipo gestionale o amministrativo … la Commissione ritiene che … l'Ufficio si sia completamente sottratto dalla verifica ed eventuale confutazione delle ragioni organizzative ed economiche dichiarate dalla società negli atti e che sono state richiamate dagli stessi primi giudici; tale circostanza non è di poco conto in quanto è la stessa normativa richiamata … che prevede la non sussistenza dell'elusione di imposta in presenza di valide ragioni economiche ed organizzative” (sentenza 13 dicembre 2019 n. 1325). Osservazioni
L'ordinanza in esame è importante in quanto permette di superare la tesi dell'Amministrazione finanziaria, secondo la quale sarebbe elusiva/abusiva l'operazione nella quale i soci cedenti mantengano comunque una quota nella holding (cfr. . ad esempio, il principio di diritto n. 20/2019 dell'Agenzia delle Entrate, secondo il quale l'operazione di merger leveraged cash out, i cui i soci persone fisiche di una società target rivalutano le partecipazioni e le cedono ad un'altra società veicolo che successivamente viene incorporata, consente di ottenere un vantaggio fiscale consistente nell'azzeramento della tassazione dell'incasso degli utili da parte dei cedenti). In particolare, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la sussistenza di valide ragioni economiche, individuate nell'esigenza di regolamentare, attraverso una più razionale e confacente riorganizzazione dell'assetto societario, la liquidazione delle quote sociali dei soci che non fossero più interessati alle sorti del gruppo.
Inoltre, non viene accattata la tesi erariale secondo la quale i cedenti avrebbero dovuto effettuare un'operazione di conferimento delle quote al posto della cessione a titolo oneroso delle stesse. Secondo i giudici di legittimità, infatti, sussisterebbero nel caso esaminato le condizioni per le quali, in conseguenza della situazione familiare dei tre fratelli soci (tutti coniugati con figli) emerge la convenienza, se non la necessità, di rendere agevole la eventuale liquidazione dei soci non intenzionati, nel tempo, a condividere le vicende aziendali. In questa situazione, la scelta tra due opzioni, cessione o conferimento, comporta risultati radicalmente diversi: nel caso di cessione, il vantare un credito nei confronti della società consente al socio, in caso di liquidazione, di entrare nel possesso di somme liquide senza necessariamente perdere il controllo della proprietà, mentre il conferimento obbliga, in caso di liquidazione del socio, alla cessione della partecipazione con conseguente modifica delle percentuali di proprietà sociale.
Tra l'altro, viene affermato che, a seguito del pagamento delle imposte sostitutive per procedere alla rivalutazione, non può configurare un indebito risparmio di imposta, dal momento che la cessione delle quote sociali, previa rivalutazione delle partecipazioni, si pone in linea con gli artt. 5 e 7 della Legge n. 448/2001 che ha introdotto come è noto, l'imposta sostitutiva che originariamente doveva qualificarsi come una forma di prelievo di carattere "straordinario" ma, nel corso del tempo, con la sistematica riapertura su base annuale dei termini per la rivalutazione, è divenuta uno strumento che consente allo Stato di incassare in via anticipata l'imposta. Per questo motivo, secondo la Suprema Corte, come per altro già sostenuto dagli stessi giudici di legittimità in altre occasioni (ord. 17 marzo 2020, n. 7359, confermata anche da quella del 6 novembre 2020, n. 24839), le operazioni di cessione di partecipazioni rivalutate a società legate da rapporti di commistione con i cedenti, in presenza di apprezzabile sostanza economica e in relazione al fatto che la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative, non possono essere considerate elusive. |