Assemblea ed amministratore possono, con i propri atti, cadere nell'eccesso di potere

Adriana Nicoletti
17 Novembre 2021

Il Tribunale di Torino, chiamato a decidere su un possibile abuso di potere commesso dall'assemblea di un condominio, nel motivare la sentenza, si pone in perfetta sintonia con la giurisprudenza di legittimità riguardo alla definizione dell'eccesso di potere, alla sua natura ed ai limiti che l'autorità giudiziaria incontra nella sua valutazione. La sentenza, tuttavia, va aldilà della sfera che riguarda l'organo collegiale e sfiora anche la posizione dell'amministratore, che potrebbe rendersi responsabile, verso l'ente gestito, di un comportamento palesemente arbitrario.
Massima

Nel caso di impugnazione di una deliberazione assembleare, il sindacato del giudice può abbracciare l'eccesso di potere purché la causa della deliberazione risulti falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto, in tal caso, lo strumento di cui all'art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere.

Il caso

L'attore impugnava una delibera condominiale per due motivi: da un lato, per violazione dell'art. 1129, comma 13, c.c. in quanto l'assemblea aveva nuovamente nominato lo stesso amministratore revocato e, dall'altro, per essere la deliberazione viziata da eccesso di potere per asserita mancata correttezza nella gestione del condominio da parte dell'amministratore, il quale aveva “presentato” un accertamento tecnico preventivo anche per vizi che riguardavano le proprietà private di alcuni condomini.

Tutte le domande di parte attrice sono state rigettate.

La questione

Il thema decidendum sostanzialmente concerne, ancora una volta, l'effetto che il c.d. eccesso di potere può avere sui provvedimenti assunti in sede assembleare ed i limiti che l'autorità giudiziaria incontra per verificare se l'abuso di sia effettivamente verificato.

Le soluzioni giuridiche

Quanto al primo motivo di impugnativa, documenti agli atti, era stato provato che l'amministratore non era stato revocato in via giudiziale, con la conseguente inapplicabilità alla fattispecie dell'art. 1129, comma 13, c.c., secondo il quale il divieto di nuova nomina della stessa persona a guida del condominio vale solo nel caso in cui la revoca provenga dall'autorità giudiziaria. La ratio della norma è più che evidente: evitare che l'assemblea possa riproporre come amministratore un soggetto che è stato ritenuto dal giudice non in grado di gestire in modo diligente il condominio.

Per quanto concerne, invece, l'asserito eccesso di potere, richiamati i costanti principi giurisprudenziali in materia, il giudice ha ritenuto la domanda attrice non supportata da elementi di prova in ordine all' abuso di potere commesso dall'amministratore. Il tutto, pertanto, ha inevitabilmente portato al rigetto delle domande.

Osservazioni

In àmbito condominiale, il vizio di eccesso di potere può investire tanto le delibere assembleari quanto l'operato dell'amministratore, quando questi agisca unilateralmente ed al di fuori delle proprie attribuzioni. Si tratta di situazioni dalle quali conseguono effetti diversi: per le prime, si può ottenere l'annullamento della deliberazione, nella seconda ipotesi, l'azione dell'amministratore svolta al di fuori delle proprie competenze può essere fonte di responsabilità nei confronti del condominio, a meno che intervenga una ratifica del suo operato da parte dell'assemblea. Tipico è il caso dell'amministratore che compie atti di carattere straordinario e che richiedono una determinazione dell'assemblea. Infatti, l'art. 1135, comma 2, c.c. vieta espressamente all'amministratore di ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo nel caso in cui essi rivestano carattere urgente e con l'obbligo di riferirne alla prima assemblea.

Quanto al primo profilo, innanzitutto, si pone ancora una volta la questione se una delibera viziata da eccesso di potere sia annullabile o nulla. La differenza tra le due categorie sta non solo nei tempi di decadenza per l'impugnativa - ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c.: trenta giorni dalla data della deliberazione, per contrari ed astenuti, ovvero dalla data della comunicazione per gli assenti), ma anche nella natura e negli effetti della sentenza.

Due, tra tutte, sono le sentenze della Corte di Cassazione che, pronunciandosi a Sezioni Unite, hanno circoscritto il campo nel quale collocare tali delibere. La prima, risalente al 2005, aveva qualificato nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto. Tutte le altre ricadono nella più ampia sfera delle delibere annullabili (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806). La seconda decisione, ultima in ordine di tempo, risulta essere ancora più specifica in quanto ha affermato che l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della l. n. 220/2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale. Ribadita, inoltre, l'individuazione delle delibere nulle come già definite in passato, la Corte ha precisato che l'impossibilità dell'oggetto va intesa in senso materiale o giuridico e quest'ultima va valutata in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" (Cass. Sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839). Con riferimento a tale precisazione, assume indubbio interesse anche quanto espresso nella relazione civile della Corte di Cassazione in data 31 maggio 2021, ove testualmente si legge che “l'impossibilità dell'oggetto (riferito al decisum della deliberazione), intesa in senso materiale (ovvero come concreta possibilità di dare attuazione al deliberato) ed in senso giuridico, cioè a dire come “difetto assoluto” di attribuzioni dell'assemblea è ravvisabile quando l'organo collegiale con la decisione, tra l'altro, persegua finalità extracondominiali, integrando un malaccorto esercizio del potere conferito all'organo collegiale.

Fatta questa debita premessa, nella decisione oggetto di esame, il giudicante si è conformato ad un orientamento giurisprudenziale più che consolidato, secondo il quale il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari si può estendere alla verifica della sussistenza di eccesso di potere allorché l'attività giurisdizionale si manifesti come controllo del legittimo esercizio del potere di cui l'assemblea dispone, là dove non è consentita, invece, la valutazione sul merito delle decisioni assembleari e sull'esercizio della discrezionalità di cui l'organo collegiale è investito. Ciò non significa, tuttavia, che all'autorità giudiziaria sia precluso, in via assoluta, un esame sull'opportunità e sulla convenienza della gestione condominiale, poiché tale attività è ammessa quando la delibera arrechi grave pregiudizio al bene comune come previsto all'art. 1109, comma 1, c.c. (Cass. civ., sez. VI/II, 25 febbraio 2020, n. 5061). Norma, questa, dettata in materia di comunione ma applicabile anche al condominio in forza del rinvio di cui all'art. 1139 c.c.

Premesso che anche nell'impugnazione della delibera assembleare la domanda dell'attore non sfugge all'applicabilità dell'art. 2697 c.c., il mancato ottemperamento all'onere della prova aveva portato al rigetto della domanda.

Peraltro, dal conciso riferimento al caso concreto contenuto nella sentenza, emerge che il condomino più che contestare un eccesso di potere in capo all'assemblea si era riferito al comportamento dell'amministratore nei confronti della gestione del condominio, avendo lo stesso amministratore presentato una domanda di accertamento tecnico preventivo che aveva oggetto non solo le parti comuni ma anche parti di proprietà esclusiva. Per altro verso, il comportamento viziato attribuito all'assemblea si risolveva in una scelta discrezionale della stessa che - come detto - sfugge, salvo le eccezioni rilevate, all'apprezzamento dell'autorità giudiziaria.

Si entra in un campo completamente diverso quando si parla di eccesso di potere commesso dall'amministratore, le cui attribuzioni sono stabilite direttamente dalle norme in tema di condominio (artt. 1129 e 1130 c.c.), dalla legislazione speciale ovvero dagli ulteriori poteri a lui conferiti direttamente dall'assemblea.

Con la modifica apportata alla legislazione condominiale nel 2012 l'amministratore è, a tutti gli effetti, un mandatario dell'ente da lui rappresentato al quale si applica l'art. 1711 c.c., secondo il quale il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato, con la conseguenza che l'atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario se il mandante non lo ratifica. Traslando questo principio di carattere generale nel settore condominiale, i limiti che l'amministratore deve rispettare non sono altri che quelli contenuti nelle norme qui richiamate che, se non rispettati, producono l'inopponibilità al condominio del negozio concluso dall'amministratore medesimo.

Sul punto, la giurisprudenza, con sentenza per analogia valida anche in ambito condominiale, ha affermato che il negozio stipulato dal mandatario eccedente i limiti del mandato non è annullabile, ma unicamente inefficace nei confronti del mandante, come resta confermato dal rilievo che esso è suscettibile di ratifica (art. 1711 c.c.). Ne consegue che, in mancanza di ratifica, il negozio compiuto dal mandatario eccedente dai poteri ricevuti dal mandante non è né nullo, né annullabile, ma solo inopinabile nei confronti del mandante ed i suoi effetti si producono nel patrimonio del mandatario, che li assume a suo carico ed ha l'obbligo di tenere indenne il mandante da qualsiasi pregiudizio che possa derivare per il suo patrimonio dalla stipulazione e dalla esecuzione di quel negozio (Cass. civ., sez. I, 28 agosto 2004, n. 17216). Nessun potere, dunque, in capo all'amministratore che, in ambito straordinario, assuma iniziative dirette, rispetto alle quali il problema più rilevante concerne il valore che l'atto assume nei confronti dei terzi in buona fede, i quali devono essere tutelati nei confronti del soggetto che abbia agito come rappresentante senza potere o in eccesso di potere e che, nella specie, ha assunto la stessa posizione del falsus procurator.

Solo la ratifica da parte dell'assemblea, dunque, può salvare l'amministratore dalle conseguenze di comportamenti incauti e sintomo di negligenza nell'espletamento dell'incarico.

Assume, in ogni caso, rilevanza anche l'art. 1133 c.c. concernente i provvedimenti presi dall'amministratore che, se adottati nell'àmbito dei suoi poteri ordinari, sono obbligatori per tutti i condomini. Tuttavia, tale obbligatorietà non esclude che gli stessi possano essere oggetto di un riesame da parte dell'organo collegiale, il quale li può modificare oppure anche revocare. E' stato così messo un limite al possibile potere discrezionale dell'amministratore.

A maggior ragione, quindi, l'assemblea sarà titolata ad intervenire quando il rappresentante condominiale adotti atti di amministrazione straordinaria che - come noto - richiedono il preventivo assenso della compagine condominiale. Ma, ancora una volta, è lasciato alla piena discrezionalità dell'assemblea di decidere, ove possibile, di confermare il provvedimento assunto extra mandato, tenendo tuttavia presente che una delibera di ratifica non elimina il carattere di eccesso di potere quanto meno per quei condomini che abbiano espresso il loro dissenso. Questi, infatti, conserveranno il pieno diritto di ricorrere all'utilizzo dell'art. 1137 c.c.

Riferimenti

Amendolagine, L'invalidità della delibera di nomina del “nuovo” amministratore per eccesso di potere, in Condominioelocazione.it, 2 ottobre 2020;

Scarpa, Responsabilità dell'amministratore di condominio per i contratti eccedenti i suoi poteri, in Immob. & proprietà, 2019, 216;

Bordolli, Eccesso di potere e delibere condominiali, in Immob. & proprietà, 2008, 287;

Celeste, L'eccesso di potere nelle delibere condominiali ed i limiti del sindacato da parte dell'autorità giudiziaria, in Arch.loc. e cond., 2003, 769.

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