Superbonus: i condomini dissenzienti bloccano l'esecuzione della delibera per la violazione del decoro architettonico dell'edificio

Maurizio Tarantino
24 Novembre 2021

Chiamato ad accertare la legittimità di un'ordinanza cautelare, nella parte in cui il giudice aveva escluso la violazione del decoro architettonico per le opere deliberate in materia di superbonus, il giudice adìto in sede di reclamo ha revocato tale ordinanza e sospeso l'efficacia esecutiva delle delibere per aver approvato determinati i lavori sulle facciate e l'installazione dell'impianto centralizzato senza il consenso dell'unanimità.
Massima

In materia di superbonus 110, per la violazione del decoro architettonico, è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. Ne consegue che il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico, previsto dall'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., è incondizionato e consente anche ad un solo condomino di esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato.

Il caso

Alcuni condomini contestavano la delibera assembleare che aveva approvato, con il loro voto contrario, l'esecuzione di importanti lavori edili per il valore complessivo di circa 34 mila euro avvalendosi del c.d. superbonus del 110% di cui all'art. 119 del d.l. n. 34/2020. Nelle more dell'esperimento del procedimento di mediazione e in vista dell'impugnazione delle delibere, gli stessi avevano presentato istanza urgente al Tribunale per la sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari ex art. 1137, comma 4, c.c.

I ricorrenti lamentavano l'indeterminatezza delle deliberazioni e la carenza di sufficienti informazioni, necessarie per consentire loro di assumere decisioni consapevoli e informate; inoltre, ulteriore motivo di doglianza riguardava l'incidenza dei lavori sulle proprietà individuali. Invero, su quest'ultimo aspetto, secondo i ricorrenti l'installazione del “cappotto termico” sulla facciata condominiale avrebbe comportato un restringimento della superficie disponibile dei loro balconi di circa 4-5 cm., a causa dello spessore del “cappotto”, e la sostituzione della pavimentazione dei balconi. Infine, i condomini contestavano la realizzazione ex novo di un impianto centralizzato di produzione dell'acqua calda sanitaria in quanto ciò avrebbe comportato l'illegittima compromissione del diritto di proprietà dei condomini sulla caldaia autonoma attualmente installata, stante la perdurante mancanza di informativa circa la fattibilità tecnica di avere la coesistenza di impianti autonomi e di un impianto centralizzato di acqua calda.

Premesso ciò, in questa sommaria sede del giudizio cautelare, secondo il Tribunale non era sia stata raggiunta la sufficiente prova di un fumus boni iuris di invalidità delle delibere adottate sotto il profilo della loro asserita illegittimità per violazione del diritto di proprietà esclusiva dei ricorrenti. Difatti, tale fumus non sussisteva nemmeno in relazione alla prospettata illegittimità per violazione dell'art. 1120, comma 4 c.c. in quanto era da escludersi, sulla base dei progetti prodotti dal condominio e nell'ambito dell'attuale sommaria valutazione, che i lavori deliberati alterassero il decoro architettonico degli stabili; anzi, proprio su tale aspetto, a parere del giudice, le modifiche erano funzionali al miglioramento delle condizioni degli stessi, alquanto vetusti. Per le seguenti motivazioni è stato revocato il decreto inaudita altera parte e rigettato il ricorso per assenza di fumus di invalidità delle delibere assembleari approvate. Quanto alla caldaia centralizzata, secondo il giudice, la questione non si poneva, non essendo previsto alcun obbligo di allaccio in capo a tutti i condomini.

Avverso il provvedimento in esame, i ricorrenti proponevano reclamo, eccependo che l'ordinanza reclamata, nel ritenere i vizi informativi originari superati dalle produzioni del condominio nel giudizio di prime cure, non aveva considerato che esse si erano formate successivamente all'assemblea, laddove, invece, la sussistenza di un adeguato “compendio informativo” avrebbe dovuto valutarsi alla predetta data. Dunque, i ricorrenti ribadivano la ristrettezza del tempo, di soli dieci giorni, avuto per esaminare, prima dell'assemblea, la documentazione relativa ai lavori (oltre duemila pagine). Oltre a ciò, contestavano l'interpretazione data dal Tribunale all'art. 119, comma 9-bis, del d.l. n. 34/2020, nel senso che esso derogava alla disciplina codicistica dettata per le spese gravose (artt. 1136, comma 2, e 1121 c.c.); quindi, i condomini ribadivano l'illegittima incidenza sulle proprietà individuali dei lavori deliberati, circostanza che, a loro dire, non era stata superata dalle soluzioni tecniche alternative proposte dal condominio dalla successiva assemblea.

La questione

La questioni in esame sono le seguenti: la disciplina ex art. 119 del d.l. n. 34/2020 deroga alla disciplina codicistica dettata per le spese gravose? Con l'installazione del cappotto termico, in caso di modifiche al decoro architettonico dell'edificio, è sufficiente la maggioranza indicata dalla normativa del superbonus?

Le soluzioni giuridiche

A seguito dell'istruttoria della causa, era del tutto pacifico, documentalmente e riscontrato, che il progetto approvato prevedeva l'installazione di un cappotto termico con modalità che comportavano il radicale mutamento esteriore di tutte le facciate, per materiali, colori ed elementi aggiuntivi ornamentali. In luogo dell'attuale klinker (o clinker), il progetto prevedeva di rivestire le facciate con grès porcellanato, così sostituendo un materiale lucido, formato da piastrelle di piccole dimensioni, con altro opaco, costituito da lastre ben più grandi. Inoltre, anche se veniva mantenuta la caratteristica dell'alternanza di due colori, le tinte invece non potevano essere più le stesse (giallo e rosso), quindi molto lontane da quelle attuali (marrone e bianco, secondo l'ultima versione del progetto). Oltre a ciò, con l'inserimento (del tutto nuovo) della fascia lungo tutta la parete verticale delle facciate, in corrispondenza dei balconi, secondo il giudicante tale funzione non era del tutto chiara e non era stata precisata nel presente giudizio.

Alla luce di quanto esposto, applicando le citate variazioni, sicuramente l'edificio avrebbe avuto delle modifiche significative perché già la sola sostituzione del klinker - che costituisce una caratteristica di molti fabbricati edificati in Milano, tipico di una precisa epoca storica e che imprime un peculiare tratto distintivo sotto il profilo estetico agli edifici - implicava la totale alterazione sotto il profilo estetico (progetto del tutto diverso da quello odierno). Nel caso in esame, era indubbio che l'aspetto estetico che caratterizza le facciate del condominio, e che conferisce ad esse la peculiare identità e fisionomia sopra dette, avrebbe subìto una definitiva compromissione per effetto degli interventi progettati; conseguentemente, la relativa delibera necessitava del consenso unanime dei condomini, che non vi è stato. Pertanto, a differenza di quanto sostenuto dall'ordinanza impugnata, il collegio milanese conferma che la disciplina codicistica non è derogata dalle disposizioni dettate dal d.l. n. 34/2020. Anche in riferimento all''approvazione a maggioranza della realizzazione ex novo di un impianto centralizzato di acqua calda sanitaria, in luogo di quelli autonomi attualmente esistenti, era dubbia la legittimità della delibera. Come ultimo aspetto, il collegio di Milano ha riconosciuto il periculum in mora, costituito dall'enorme pregiudizio economico che i condomini patirebbero qualora, nelle more del giudizio di merito, gli interventi dovessero essere iniziati e la delibera successivamente annullata con conseguente impossibilità di fruire dei benefici fiscali, oltre alle responsabilità per le obbligazioni pecuniarie maturate in favore degli esecutori.

In conclusione, per i motivi esposti, il Tribunale di Milano in composizione collegiale ha revocato l'ordinanza cautelare. Per l'effetto, ha sospeso l'esecutività delle delibere adottate dall'assemblea in merito all'approvazione del superbonus 110%.

Osservazioni

Ai fini di una maggiore comprensione dell'argomento in esame, è necessario analizzare“congiuntamente” le questioni trattate nei due provvedimenti del Tribunale milanese: ordinanze del 14 agosto 2021 e del 30 settembre 2021.

a) Le maggioranze richieste e le valutazioni dell'assemblea

In materia di superbonus, alla luce del citato comma 9-bis del d.l. n. 34/2020, gli interventi sono deliberabili con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio. Come sostenuto già da più autori, se la norma è stata concepita come strumento per raggirare l'ostacolo del quorum della metà del valore dell'edificio delle maggioranze e, in particolare, per le innovazioni che hanno ad oggetto le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza degli edifici e quelle previste per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per la produzione di energia, superando così l'inerzia dell'assemblea o il disinteresse da parte di alcuni condomini, tuttavia, ciò non può comunque sterilizzare la volontà dei contrari quando questa rappresenta un valore superiore.

Detto ciò, nella vicenda in esame, le maggioranze sono state raggiunte; tuttavia, parte dei condomini (minoranza) ha impugnato la delibera. Ebbene, nel primo provvedimento (ordinanza 14 agosto 2021), secondo i giudici, non rilevava il fatto che i ricorrenti avessero, prima dell'assemblea, avanzato specifiche istanze per la consultazione di ulteriore documentazione o si fossero lamentati dell'incompletezza della documentazione resa disponibile. Né la mancanza di alcune informazioni nella bozza di contratto di appalto appariva idonea, nell'ambito di una operazione così complessa, a rendere invalida la deliberazione assembleare. Infine, secondo questo provvedimento, non appariva dirimente il fatto che il condominio avesse prospettato l'operazione in parte “a costo zero”, sottacendo, secondo i ricorrenti, i rischi, per ciascun condomino, in caso di mancato riconoscimento del bonus fiscale.

A questo proposito, alla luce della documentazione presentata in atti, si legge nel provvedimento che “i condomini erano dunque perfettamente consapevoli della complessità dell'operazione ed era noto che la concessione di benefici fiscali è sempre soggetta al rispetto di rigorosi adempimenti e di specifici presupposti, con conseguente rischio di impossibilità di avvalersene ove tali condizioni non venissero rispettate”.

Quindi, in questa prima fase, il giudice considera lecito il modus operandi dell'assemblea, nonostante le censure della minoranza dei condomini sulla questione dell'incidenza dei lavori sulle loro parti private e del decoro dell'edificio.

b) Le valutazioni del giudice

Altra questione importante emersa dal primo provvedimento (ordinanza 14 agosto 2021) riguardava la valutazione del giudice in merito alle scelte dell'assemblea. A questo proposito, i giudici hanno osservato che non spettava al Tribunale sindacare l'opportunità o la convenienza economica delle decisioni della maggioranza assembleare di un condominio. Difatti, nei limiti del sindacato giurisdizionale, alla luce dell'intera documentazione fornita e della discussione assembleare (anche con l'intervento di consulenti esterni), ai condomini era stata prospettata in modo sufficientemente esaustivo una complessa operazione economica. Di particolare importanza, l'impostazione del giudice secondo cui i condomini erano consapevoli che alcuni dettagli (informazioni di rilevanza secondaria e non idonei a far ritenere inadeguato il complessivo compendio informativo disponibile, l'assenza di informazioni dei nomi delle imprese subappaltatrici o dei massimali delle polizze degli asseveratori). Inoltre, secondo il provvedimento di agosto, i condomini erano consapevoli che l'amministratore, nell'ambito del mandato alla sottoscrizione del contratto di appalto, avrebbe definito tali aspetti di dettaglio non ancora del tutto perfezionati. Nonostante ciò, il giudice ammette che i condomini erano consapevoli che si trattava di un'operazione complessa, d'altra parte, però, considerava che l'operazione era soggetta a rischi (come in gran parte delle attività umane); seppure, “mitigato dalla presenza in campo di assicuratori nonché di players di notoria affidabilità”.

Dall'analisi sin qui esposta, da una parte si conferma l'orientamento secondo cui non spetta al giudice sindacare l'opportunità o la convenienza economica delle decisioni della maggioranza assembleare di un condominio. A questo proposito, come già sostenuto in altre occasioni, i giudici di legittimità hanno ammesso che esulano, dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti alla vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose ed ai servizi comuni (v., tra le tante, Cass. civ., sez. VI, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2012, n. 10199). Sulla scia di questo percorso, il giudice meneghino (ordinanza 14 agosto 2021) ha considerato che la maggioranza assembleare aveva scientemente approvato le deliberazioni e non vi erano i presupposti, in questa fase cautelare, per sospendere l'esecuzione di tale consapevole decisione; sicché, il giudice non poteva sindacarne la sua opportunità o convenienza economica, in quanto, a suo dire, non erano emersi di abuso di potere della maggioranza o di grave pregiudizio alla cosa comune in quanto l'operazione appariva, anzi, finalizzata al miglioramento dell'efficienza energetica e, in generale, delle condizioni degli edifici condominiali (Cass. civ., sez. VI, 25 febbraio 2020, n. 5061).

A parere di chi scrive, si trattava certamente di una argomentazione “indubbiamente valida” come questione di diritto (potere del giudice); tuttavia, la stessa si scontra con alcune osservazioni importanti (operative). Invero, nel provvedimento, il giudice considera come di “rilevanza secondaria” la mancata conoscenza dei condomini dei nomi delle imprese subappaltatrici o i massimali delle polizze degli asseveratori, considerando che sarebbe stato compito dell'amministratore provvedere al riguardo; oltre a ciò, il giudice ammette la complessità dell'operazione ma rassicura il rischio (mitiga) per la presenza di grandi società notoria affidabilità. Nonostante queste precisazioni, appunto della complessità e del rischio, prima del contratto, ritengo che i condomini hanno il diritto di essere a conoscenza di tutti gli aspetti; soprattutto, delle tutele e garanzie offerte dai terzi (i massimali delle polizze). Aspetti non di certo secondari.

A questo proposito, l'art. 119, comma 14, d.l. n. 34/2020 prevede la responsabilità dei soggetti coinvolti (sanzioni, obbligo di sottoscrizione della polizza e massimali). In particolare, la disposizione prevede che “La non veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza dal beneficio”. L'art. 121, comma 5, d.l. n. 34/2020 invece prevede i successivi controlli del Fisco e l'eventuale revoca del beneficio fiscale. Come sostenuto dal Fisco (circolare n. 24/E dell'8 agosto 2020 e risposta all'interrogazione n. 5-04585 presentata alla Camera dei Deputati), poiché la non veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza dal beneficio, “i soggetti danneggiati da una attestazione o asseverazione infedele hanno, quindi, la possibilità di adire le vie legali per ottenere il risarcimento del danno subìto, garantito dalla polizza di assicurazione stipulata a tal fine per obbligo di legge dai soggetti che rilasciano le attestazioni e le osservazioni”. Dunque, l'accertamento di una attestazione o di una asseverazione infedele comporta l'immediato recupero della detrazione in capo al beneficiario, unitamente agli interessi, mentre per rivalersi sul soggetto che ha rilasciato l'attestazione o l'asseverazione infedele dovrà avviare una causa civile.

Alla luce di ciò possiamo comprendere l'importanza di questi aspetti e della necessità di far esaminare attentamente ogni clausola delle polizze proposte dai professionisti al committente. Si ritiene, pertanto, che l'amministratore, al momento del conferimento dell'incarico al professionista, ha l'onere di verificare la presenza della polizza professionale e delle relative clausole. L'amministratore potrà evitare le proprie responsabilità ove, avendo riscontrato dell'anomalia, abbia riferito all'assemblea su carenze e/o perplessità. Di conseguenza, appare del tutto lecita la richiesta dei condomini dei nomi delle imprese delle polizze dei soggetti coinvolti.

c) Il cappotto termico

Secondo il giudice (ordinanza 14 agosto 2021), in merito all'installazione del “cappotto” sulle facciate (e dunque su beni comuni), in questa sommaria sede, non erano emersi sufficienti elementi per ritenere che tale minimo sacrificio non fosse tollerabile, in ragione del fatto che esso risultava funzionale ad un più adeguato uso delle cose comuni e risultava finalizzato al soddisfacimento di interessi, sia della collettività condominiale sia pubblicistici, altamente meritevoli di tutela (risparmio energetico) e in relazione ai quali il minimo sacrificio connesso alla riduzione della superficie disponibile dei balconi appariva invero recessivo. Quindi, il giudicante considera “naturale” secondo l'id quod plerumque accidit, che gli interventi edili sulle facciate condominiali possano riverberare i loro effetti anche sulle parti di proprietà esclusiva dei condomini (i balconi); allo stesso modo, evidenzia che non può ritenersi che qualunque effetto di siffatta natura assuma i connotati di lesione del diritto di proprietà esclusiva, con conseguente invalidità della delibera assembleare. Altrimenti, si legge nel provvedimento, “l'installazione di ‘cappotti termici' sulle facciate dei condomìni sarebbe sostanzialmente subordinata al voto unanime dei condòmini, con conseguente frustrazione della ratio sottesa all'intervento legislativo (riguardante, invero, plurimi interventi ma contemplante espressamente proprio gli “interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali, orizzontali e inclinate”, art. 119 comma 1, lett. a), d.l. n. 34/2020)”.

Quindi, il giudice considera lecito gli interventi sulle facciate; considera, altresì, che gli stessi possono riflettere i loro effetti anche sulle parti di proprietà esclusiva dei condomini (i balconi). Nonostante ciò, il giudicante ammette che non può ritenersi che (le citate opere) e, in qualunque effetto, possa considerarsi lesione di diritti dei condomini con conseguente invalidità della delibera assembleare.

Quest'ultima interpretazione che si scontra con l'altro precedente del Tribunale capitolino, secondo cui è nulla, per lesione del diritto di proprietà dei condomini, la delibera che approva la realizzazione di un cappotto termico nell'edificio condominiale che determina una riduzione della superficie utile, o del piano di calpestìo dei balconi e dei terrazzi di alcuni proprietari (Trib. Roma 16 dicembre 2020: il magistrato romano non si è espresso circa l'opportunità o meno del cappotto termico quanto, piuttosto, sullo studio di fattibilità che non era stato effettuato perché il consiglio dei condomini aveva deliberato sulla base di un capitolato precedente che non prevedeva la realizzazione del cappotto termico cui erano state aggiunte delle lavorazioni).

d) Il decoro architettonico

Alla luce della precedente contestazione (cappotto termico), il giudice meneghino (ordinanza 14 agosto 2021) ha ritenuto che non era stata raggiunta la sufficiente prova di un fumus di invalidità delle delibere adottate sotto il profilo della loro asserita illegittimità per violazione del diritto di proprietà esclusiva dei ricorrenti. Il fumus boni iuris, inoltre, non sussisteva nemmeno in relazione alla prospettata illegittimità per violazione dell'art. 1120 comma, 4 c.c. in quanto, si legge nel provvedimento, “deve escludersi, sulla base dei progetti prodotti dal condominio e nell'ambito dell'attuale sommaria valutazione, che i lavori deliberati alterino il decoro architettonico degli stabili, anzi dovendo ritenersi che le modifiche siano funzionali al miglioramento delle condizioni degli stessi, alquanto vetusti”. Nell'assemblea successiva al provvedimento (settembre), da quanto appreso dal provvedimento in commento (ordinanza 30 settembre 2021), i condomini avevano deliberato alcune proposte integrative che riconoscevano ai condomini dissenzienti di optare per soluzioni tecniche alternative, che consentivano di evitare interventi sulle porzioni dei balconi in proprietà esclusiva (un diverso colore, ma mantenendo l'alternanza tra due da giallo e rosso a marrone e bianco). Il condominio era in attesa di riscontro da parte dei condomini interessati.

Premesso quanto esposto, nel secondo provvedimento reclamato (ordinanza 30 settembre 2021), i giudici considerano l'intervento progettato migliorativo sia sotto il profilo del risparmio energetico, sia tenuto conto delle attuali condizioni degli edifici; tuttavia, sottolineano anche che tale intervento poteva essere tecnicamente realizzato con modalità diverse tali da consentire di mantenerne le attuali caratteristiche estetiche. A questo proposito, conformemente all'orientamento giurisprudenziale in materia, con il secondo provvedimento di settembre, i giudici evidenziano che in diritto è noto che, secondo jus receptum, per decoro architettonico si intende “l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico” (Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2020, n. 18928, Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1286), e che, per la sua violazione, è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità; l'alterazione del decoro, dunque, è integrata da qualunque intervento che alteri in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono all'edificio una sua propria specifica identità (Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2009, n. 14455; Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1076).

Quindi, a differenza del provvedimento di agosto, i giudici con l'ordinanza di settembre hanno confermato che i lavori deliberati alteravano il decoro architettonico degli stabili. Non solo.Con il provvedimento di settembre, il giudicante ha ulteriormente osservato che

- il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico, previsto dall'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., è incondizionato e consente anche ad un solo condomino di esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2007, n. 851);

- l'eventuale alterazione del decoro architettonico costituisce un limite imposto alla legittimità della innovazione diretta al miglioramento dell'efficienza energetica del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2021, n. 10371).

e) L'interpretazione della norma speciale

Con riguardo all'art. 119, comma 9-bis, del d.l. n. 34/2020, il condominio, richiamando quando detto nel precedente provvedimento di agosto, osserva che questa rappresenta una norma speciale che non apporta una deroga generale al 4 comma dell'art. 1136 c.c., ma che va a diversamente disciplinare il caso specifico previsto dall'art. 119 del d.l. 34/2020 perché così ha voluto eccezionalmente il legislatore proprio per facilitare l'adozione di quelle delibere finalizzate alla riqualificazione degli edifici ed al risparmino energetico, in applicazione della parimenti eccezionale possibilità di procedere alla cessione del credito o allo sconto in fattura. Sulla base di ciò, il condomino negava la natura di innovazione gravosa degli interventi edili deliberati perché (a suo dire) non era chiaro quale onere gravoso pesasse sul singolo condomino, se “la legge ha detto che simili operazioni, in quanto finalizzate alla coibentazione del fabbricato in funzione di protezione dagli agenti termici e ricompresi, dunque, tra quelli destinati al vantaggio comune e goduti dall'intera collettività condominiale, sono a costo zero.”

A questo proposito, il giudice (ordinanza di settembre) contesta questa affermazione. Difatti, in tal contesto, viene precisato che:

  • il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico è incondizionato;
  • anche un solo condomino può esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato;
  • la disciplina codicistica non è derogata dalle disposizioni dettate dal d.l. n. 34/2020;
  • la delibera di una definitiva compromissione, per effetto degli interventi progettati, necessita del consenso unanime dei condomini.

f) L'impianto centralizzato

Con il provvedimento di settembre (a differenza del provvedimento di agosto), il giudice evidenzia che anche se è consentito ai condomini di non allacciarsi ad esso, tuttavia, alla luce della documentazione in atti, alla partecipazione alla spesa in questione, comunque avrebbero contributi tutti i condomini in quanto l'impianto sarebbe stato di proprietà comune (con esclusione, quindi, dell'applicazione dell'art. 1121 c.c. in tema di innovazioni gravose); ciò, in sostanza, avrebbe significato costituire coattivamente un diritto reale sul fondo comune, in assenza di unanimità di consensi ed in violazione dell'art. 1108, comma 3, c.c., secondo il fondato assunto dei ricorrenti. Di talché, anche sotto questo profilo la delibera era illegittima.

g) Considerazioni finali

Le citate pronunce costituiscono “lo specchio” e il frutto delle diverse posizioni riguardanti il superbonus alla luce della nuova normativa. I primi dubbi degli operatori del diritto erano sorti proprio in merito ai quorum deliberativi e della corretta conoscenza dei condomini. Il fatto di riconoscere una maggioranza minima (maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio), seppur nell'intenzione di agevolare l'approvazione dei lavori, si scontra con la volontà della minoranza (basta anche uno solo condomino per bloccare i lavori in caso di lesione del decoro architettonico dell'edificio). Aspetto più importante, emerso dai provvedimenti, è l'eco dell'eccessiva errata informazione sul “costo pari a zero” e della posizione “garantista” delle grandi società di appalti; pericolo che il legislatore ha cercato di “mitigare” con apposite norme di obblighi di assicurazione per i principali professionisti di questa “complessa operazione”.

Quello che è certo è che la disciplina codicistica non è derogabile dalle disposizioni dettate dal d.l. n. 34/2020 per il superbonus; l'errata procedura può esporre i condomini ad un pericolo dell'enorme pregiudizio economico qualora, a lavori iniziati, e annullata la delibera che li ha autorizzati, divenisse impossibile fruire dei benefici fiscali riconosciuti dalla legge.

Riferimenti

Condominio: superbonus 110% sì, ma solo con l'unanimità dei condomini se cambia l'aspetto estetico degli edifici, in Dirittoegiustizia.it, 27 ottobre 2021;

Tarantino, È nulla la delibera di realizzazione del cappotto termico che riduce il piano di calpestìo di balconi e terrazzi, in Condominioelocazione.it, 15 settembre 2021;

Celeste, Le spese per il cappotto termico dell'edificio vanno ripartite anche tra i proprietari dei piani interrati, in Condominioelocazione.it, 29 settembre 2017.