Il giudice tributario è tenuto a considerare la sentenza penale irrevocabile

29 Novembre 2021

L'accertamento compiuto in sede penale rileva anche nel giudizio tributario, allorquando vi sia coincidenza di fatti e circostanze oggetto di entrambi i procedimenti e non vi sia un'acritica estensione della pronuncia penale da parte del giudice tributario. La sentenza penale irrevocabile può essere acquisita anche d'ufficio e non è soggetta alle preclusioni processuali in materia di produzione documentale delle parti.
Massima

L'accertamento compiuto in sede penale rileva anche nel giudizio tributario, allorquando vi sia coincidenza di fatti e circostanze oggetto di entrambi i procedimenti e non vi sia un'acritica estensione della pronuncia penale da parte del giudice tributario. La sentenza penale irrevocabile può essere acquisita anche d'ufficio e non è soggetta alle preclusioni processuali in materia di produzione documentale delle parti.

Il caso

La vicenda processuale, sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione, ha a oggetto cinque avvisi di accertamento, emessi ai fini ILOR, nei confronti di un contribuente esercente attività di “casa per ferie”.

Avverso tali atti impositivi, il contribuente ha presentato autonomi ricorsi, contestando, con un unico motivo, il difetto di motivazione della pretesa a tassazione, in quanto redatta per relationem.

La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, previa riunione dei giudizi, rigettava i ricorsi.

Nelle more, il contribuente era stato sottoposto a procedimento penale, conclusosi con sentenza con formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”, avente a oggetto i medesimi fatti a sostegno della pretesa tributaria.

Nel corso del giudizio di secondo grado, la contribuente ha prodotto tale sentenza penale irrevocabile del Tribunale di Bolzano, chiedendo la riforma della pronuncia gravata.

I Giudici tributari, ritenendo che il giudicato penale dovesse essere esteso anche nel giudizio tributario, accoglieva il gravame dell'appellante, annullando, per effetto, gli atti impositivi.

L'Amministrazione finanziaria, nell'impugnare la sentenza di secondo grado, contestava, in via preliminare, il difetto di motivazione del decisum, per motivazione meramente apparente non essendo “possibile, in alcun modo, individuare la ratio decidendi”, nonché la violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., per aver deciso in ordine a una contestazione, relativa alla valenza del giudicato penale in sede tributaria, formulata soltanto in sede di appello, essendo la sentenza del giudice del Tribunale stata prodotta dalla contribuente nel corso del giudizio di secondo grado.

La questione giuridica

La sentenza in commento affronta il vetusto tema, relativo alla valenza del giudicato penale irrevocabile in sede tributaria.

Come noto, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna o assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato, nei confronti dell'imputato, parte civile e responsabile civile, indipendentemente dalla costituzione in giudizio, se entrambi i giudizi hanno a oggetto i medesimi fatti e a condizione che la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.

L'ulteriore '“ostacolo” all'utilizzo delle circostanze acclarate in sede penale anche in ambito tributario, discende dalla successiva previsione, contenuta nell'art. 654 c.p.p., che prevede come l'efficacia vincolante del giudicato si produca esclusivamente nei confronti delle parti del giudizio penale.

Dal dettato letterale della norma ne deriva che, ogniqualvolta, in cui l'Amministrazione finanziaria non si costituisca parte civile nel processo penale, non può ravvisarsi l'efficacia del giudicato penale, nel processo tributario.

L'efficacia probatoria del giudicato penale nel rito tributario è stata ampiamente affrontata dal Legislatore, il quale con l'art. 12, l. n. 516/1992, aveva stabilito che la sentenza penale irrevocabile, emessa, dal giudice penale avesse autorità di cosa giudicata nel processo tributario, relativamente ai fatti materiali già oggetto del giudizio penale.

A seguito della abrogazione della citata norma, per effetto dell'art. 25, D.Lgs. n. 74/2000, ha riportato all'attenzione il tema della dell'efficacia della pronuncia penale nell'ambito di giudizi aventi a oggetto contestazioni da parte del Fisco.

La relazione governativa di accompagnamento al citato decreto in materia di reati tributari, con riferimento all'abrogazione dell'art. 12, L. n. 516/1992 si limitava ad affermare che “troveranno quindi applicazione le disposizioni ordinarie, ed in particolare l'articolo 654 di detto codice, che esclude l'efficacia esterna del giudicato penale allorché la legge civile ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”.

L'art. 20, D.Lgs. n. 74/2000 introduce nel nostro ordinamento giuridico la regola c.d. del “doppio binario”, secondo cui il procedimento di accertamento e il processo tributario non si sospendono per la pendenza del processo penale ancorché avente a oggetto i medesimi fatti.

Tale previsione normativa ha segnato l'abbandono del tradizione orientamento della pregiudizialità tributaria, che subordinava l'esercizio dell'azione penale alla conclusione del procedimento amministrativo di accertamento e la conseguente sentenza del giudicato tributario, stabilendo la piena autonomia fra il giudizio tributario e il processo penale.

Ciò nondimeno, l'assenza di un chiaro riferimento normativo in ordine al perimetro di efficacia della sentenza penale nel giudizio penale, avente a oggetto l'identità di circostanze fattuali, ha contribuito ad alimentare un vivace dibattito, in alcuni casi giunto in sede processuale.

La soluzione giuridica

Negli anni, la giurisprudenza nazionale si è spesso mostrata ondivaga, confermando in più occasioni, il rigoroso rispetto del principio del doppio binario fra processo penale e giudizio tributario.

L'affermata indipendenza fra i due giudizi, di fatto, ha comportato la reciproca irrilevanza dei relativi esiti nonché degli elementi fattuali e delle prove acquisiti in ciascun contesto.

La giurisprudenza in particolare tributaria, infatti, ha sovente negato qualsivoglia valenza del giudicato penale in sede penale, rivendicando l'autonomia del processo tributario, e il venir meno della natura sussidiaria di tale giudizio rispetto all'accertamento penale.

Il rigore interpretativo, avallato dai giudici tributari in più occasioni, si fondava essenzialmente sul dato normativo dell'art. 654 c.p.p. che, come rilevato, stabilisce come la sentenza penale non assuma valore di giudicato (con riguardo all'accertamento dei fatti materiali che siano stati acclarati in sede penale), atteso che la legge processuale tributaria pone “limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa” (Cass., sez. trib., 25 maggio 2009, n. 12022; Cass., sez. trib., 23 marzo 2011, n. 6624; Cass., sez. trib., 27 settembre 2011, n. 19786; Cass., sez. trib., 23 maggio 2012, n. 8129; Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 4924).

Il tradizionale orientamento della Corte di Cassazione, volto a escludere qualsivoglia efficacia della sentenza penale nell'ambito del giudizio tributario, è stata, in più occasioni, motivata in ragione della dichiarata peculiarità del processo amministrativo, in particolare da un punto di vista probatorio.

Ne consegue che, “l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (Cass., 27 novembre 2019 n. 30941).

Tale restrittivo orientamento, ha trovato conforto nella giurisprudenza unionale che, con la sentenza A. e B. c. Norvegia della Grande Camera della Corte EDU, 15 novembre 2016, ha rivisto il proprio precedente indirizzo interpretativo, volto a limitare l'instaurazione di un doppio giudizio e l'eventuale applicazione una conseguente doppia sanzione, in quanto violazione del principio generale del diritto a non essere giudicati e puniti più volte per lo stesso fatto.

Secondo il più recente arresto giurisprudenziale, il principio del ne bis in idem, garantito dall'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, dall'art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione Europea dei diritto dell'uomo, e dall'art. 649 c.p.p., non osta alla celebrazione di un processo in sede penale e, contestualmente, amministrativo, ancorché sia acclarata la sussistenza di una doppia connessione di tipo “sostanziale” e “temporale” questa da intendersi come vicinanza storica e non necessariamente simultaneità (CEDU, Seconda Sezione, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia).

Negli ultimi anni si è assistito a una progressiva mitigazione dell'originario rigore interpretativo da parte della giurisprudenza nazionale, più aperta a valutare mezzi probatori acquisiti in altre sedi processuali, nel rispetto delle regole specifiche di ciascun giudizio.

Gli accertamenti delle circostanze fattuali compiuti dall'organo che esercita il potere giurisdizionale in sede penale assurgono a elemento di prova o indizio in ordine ai fatti accertati penalmente e come tali devono essere oggetto di autonoma valutazione, quale elemento probante (ex multis, Cass., sez. V, 20 marzo 2015, n. 5649; Cass., sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21966; Cass., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 4924; Cass., sez. V, 23 maggio 2012, n. 8129; Cass., sez. V, 27 settembre 2011, n. 19786; Cass. civ. sez. V, 23 maggio 2012, n. 8129; Cass., sez. V, 27 settembre 2011, n. 19786; Cass. civ. sez. V, 17 febbraio 2010, n. 3724; Cass., sez. V, 17 febbraio 2010, n. 3724).

In altri più specifici termini, secondo la più recente giurisprudenza, l'efficacia della sentenza penale quale elemento probante dei fatti accertati deve riconoscersi in particolare nelle ipotesi in cui eventuali profili di responsabilità fiscale siano inscindibilmente connessi ai fatti acclarati in sede penale.

In tale senso si colloca la pronuncia in commento della Corte di Cassazione, la quale, ha rilevato come la sentenza penale irrevocabile “con formula assolutiva perché il fatto non sussiste” assume“autorità di cosa giudicata”.

Nello specifico, secondo la Corte di Cassazione, posto che “i fatti contestati dalla Guardia di Finanza e le relative risultanze del verbale di contestazione … sono i medesimi su cui si è pronunciato il giudice penale con la formula assolutiva perché il fatto non sussiste, non si può non ritenere l'autorità di cosa giudicata” anche in sede tributaria.

Il presupposto del riconoscimento della valenza del giudicato penale nell'ambito del giudizio tributario è individuato nella acclarata identicità fra i “fatti in ordine ai quali si è pronunciato il giudice penale, con sentenza irrevocabile” e le circostanze “su cui si controverte in sede tributaria”.

Tale efficacia, tuttavia, non è il risultato di un automatismo conseguente a una “acritica estensione del giudicato penale, bensì della esplicita valutazione, operata dalla Commissione tributaria […] dei fatti in ordine ai quali si è pronunciato il giudice penale, con sentenza irrevocabile”.

Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di Cassazione, rilevata la mancata contestazione (e dimostrazione) da parte dell'Amministrazione finanziaria in ordine alla non identicità “fra i fatti su cui si sono fondati gli accertamenti, penale e tributario”, ha esteso nel giudizio tributario l'efficacia di cosa giudicata della sentenza penale in ordine agli accertamenti in essa contenuti.

Osservazioni

La sentenza in commento ha il grande merito di aver preso una posizione chiara in ordine a un tema da sempre controverso e sul quale la giurisprudenza ha sovente manifestato un orientamento ondivago.

Come rilevato, in particolare la giurisprudenza tributaria si è sempre mostrata restia ad abbandonare il tradizionale approccio volto a disconoscere qualsivoglia valenza dell'accertamento compiuto in altra sede, in ragione di una più volte invocata autonomia fra giudizio penale e processo tributario.

Alla luce di tale panorama giurisprudenziale, la pronuncia, nell'affermare come, ai fini della decisione del giudice tributario, debba essere considerata l'eventuale sentenza penale, allorquando sia acclarata l'identicità dei fatti oggetto di entrambi i giudizi, rappresenta un importante traguardo, in particolare per la chiarezza e coerenza dei principi in essa affermati.

La conclusione a cui giungono i giudici è in linea anche il (codificato) principio di non contraddizione, spesso posto all'attenzione degli organi giudicanti nelle fattispecie in cui, in presenza di contestazioni penali inscindibilmente connesse ai fatti a oggetto della fattispecie tributaria, ci si trovi di fronte a giudizi diametralmente opposti.

L'estensione del giudicato penale nel giudizio tributario, non deve rappresentare il risultato di una valutazione acritica e non aderente al caso concreto, ma di un attento e ponderato apprezzamento della delle circostanze acclarate in altri giudizio e della valenza di queste ai fini dell'accertamento di una condotta contra legem alle leggi tributarie.

Alla luce di tale contesto giurisprudenziale, emerge chiaramente la pressante necessità di un ulteriore fermo intervento, da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, atto a fornire, nel solco tracciato dalle recenti pronunce, le linee giuda per garantire, in una ottica di coerenza fra giudicati, l'efficacia della sentenza penale nell'ambito del rito tributario, nel rispetto del generale e ineludibile principio del doppio binario.

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