Imposta di registro in misura fissa sul decreto ingiuntivo emesso a seguito di cessione del credito

09 Dicembre 2021

La sentenza con cui il debitore ceduto sia condannato al pagamento nei confronti del cessionario o del factor di un debito soggetto ad IVA deve essere tassata non in misura proporzionale con l'aliquota del 3% ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, della Tariffa allegata, art. 8, ma in base al medesimo art. 8, Nota II, secondo cui le sentenze di condanna non sono soggette all'imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi soggetti ad IVA ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 40.
Massima

La sentenza con cui il debitore ceduto sia condannato al pagamento nei confronti del cessionario o del factor di un debito soggetto ad IVA deve essere tassata non in misura proporzionale con l'aliquota del 3% ai sensi del d.P.R. n. 131/1986, della Tariffa allegata, art. 8, ma in base al medesimo art. 8, Nota II, secondo cui le sentenze di condanna non sono soggette all'imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi soggetti ad IVA ai sensi del d.P.R. n. 131/1986, art. 40.

Il caso

La Corte di Cassazione, con due ordinanze, si è pronunciata sul regime applicabile, ai fini dell'imposta registro, in caso di decreto ingiuntivo emesso a seguito di cessione del credito.

I casi concreti portati all'attenzione della Suprema Corte concernevano la cessione pro soluto di crediti tra due società. A seguito del mancato pagamento integrale del debito, la società cessionaria otteneva due decreti ingiuntivi dal Tribunale di Napoli. Successivamente l'Agenzia delle Entrate, per entrambi i procedimenti, liquidava l'imposta di registro applicando l'aliquota proporzionale al 3%, non ritenendo sufficiente l'avvenuto pagamento dell'imposta in misura fissa.

La cessionaria, pertanto, impugnava gli avvisi di liquidazione dell'imposta di registro, sostenendo la correttezza del proprio operato e richiamando il principio dell'alternatività tra IVA ed imposta di registro di cui all'art. 40 d.P.R. 131/1986.

È dato leggersi nelle pronunce in commento che i giudizi di merito risultavano favorevoli alla ricorrente, sulla scorta del rilievo che i crediti azionati tramite i ricorsi per decreto ingiuntivo erano scaturiti da un contratto di factoring, il quale doveva ritenersi come un'operazione finanziaria rientrante a tutti gli effetti nel campo di applicazione dell'IVA.

L'Amministrazione finanziaria promuoveva impugnazione avverso la sentenza n. 4795/2015, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale per la Campania.

La questione

È dibattuta la misura dell'imposta di registro, se fissa o proporzionale, ove il credito originario – di per sé attinente ad una prestazione rientrante nell'ambito di applicazione dell'IVA – venga trasferito a seguito di cessione onerosa.

La questione è di particolare rilevanza, poiché in grado di condizionare le scelte dei cessionari di crediti e, soprattutto, di quelle imprese che hanno come proprio oggetto principale tale attività, in ordine all'intraprendere, o meno, un'azione giudiziale contro il debitore ceduto. Tali scelte, infatti, spesso si basano su valutazioni economiche riguardanti anche l'ammontare dell'imposta di registro.

Ciò detto, quanto ai profili giuridici, l'Agenzia delle Entrate sostiene che in conseguenza della cessione del credito si vengano a creare due distinti rapporti: l'uno tra il cedente e il ceduto, l'altro tra quest'ultimo e il cessionario. Contestualmente, l'obbligazione di pagamento derivante dal decreto ingiuntivo non atterrebbe al credito (sottoposto a IVA) tra il cedente ed il ceduto, ma sarebbe relativa al diverso e autonomo rapporto (non soggetto a IVA) tra il ceduto e il cessionario.

Inoltre, il decreto ingiuntivo (o la sentenza di condanna) sarebbe fondato su un contratto di cessione di crediti (o di factoring) da considerarsi fuori campo IVA.

La questione dell'assoggettamento all'imposta di registro in misura proporzionale o fissa del decreto ingiuntivo o della sentenza ottenuta dal cessionario del credito nei confronti del debitore ceduto era già stata trattata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 4802/2011 che aveva condiviso le tesi dell'Amministrazione finanziaria.

Tuttavia, il collegio giudicante ha inteso porsi in consapevole contrasto con quest'ultima pronuncia.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ritiene che il credito fatto valere dal cessionario nei confronti del debitore ceduto coincida con quello vantato dal creditore originario verso il debitore, e che muti solo con riguardo al soggetto cui il credito è stato ceduto, sostituendosi la figura del cessionario a quella del cedente.

Al riguardo, si evidenzia che, a seguito della cessione del credito, il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario, tanto è vero che può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all'accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto [Cass. civ., Sez. V, 20/04/2018, n. 9842; Cass. civ., Sez. III, 17/01/2001, n. 575].

Dunque, essendo la prestazione ordinata la medesima, sia che adempiuta nei confronti del cedente, sia che adempiuta nei confronti del cessionario, poiché nei casi esaminati la natura del credito originario era pacificamente rientrante nel campo dell'IVA, la Cassazione afferma che alla condanna di pagamento deve necessariamente applicarsi la disciplina della Nota II della Tariffa, Parte Prima, allegata all'art. 8, comma 1, lett. b), d.P.R. 131/1986, in coerenza col “principio di alternatività” sancito dall'art. 40 del medesimo decreto.

Osservazioni

Chi scrive ritiene che la soluzione adottata dalle ordinanze in commento sia la più coerente con i principi civilistici in materia di cessione del credito e con la relativa disciplina tributaria nel sistema delle imposte indirette.

Invero è principio di diritto civile comunemente condiviso quello per cui la cessione del credito non incide sul rapporto giuridico da cui il credito ha tratto origine: essa si configura come un fenomeno di successione a titolo particolare nel “medesimo rapporto obbligatorio.

La cessione del credito realizza una sostituzione (soggettiva) nella titolarità del credito, nel senso che il cedente cessa di essere creditore e il debitore (ceduto) resta liberato nei suoi confronti, sebbene la sua obbligazione permanga verso il nuovo debitore.

Dunque, il mutamento del creditore o del debitore incide soltanto sulla titolarità delle rispettive situazioni giuridiche e non anche sull'identità del rapporto originario.

Oggetto della cessione del credito è l'obbligazione del debitore ceduto sorta nei confronti del cedente. Il trasferimento dell'obbligazione implica l'identità del diritto, nel senso che il “nuovo” creditore diventa titolare dello stesso diritto (sotto il profilo giuridico) già spettante al creditore originario. Ciò comporta la permanenza dei diritti accessori e, in particolare, dei diritti di garanzia: ai sensi dell'art. 1263 c.c.per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e con gli altri accessori”.

Il fatto che il diritto oggetto di cessione, insieme alla prestazione che deve essere eseguita dal debitore, mantenga intatte tutte le sue originarie caratteristiche deve assumere rilevanza anche ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro sulla sentenza di condanna al pagamento pronunciata nei confronti del debitore ceduto, tenendo conto del principio dell'alternatività tra IVA ed imposta di registro cui fa rinvio la Nota II all'art. 8, Tariffa Parte I allegata al TUR.

Peraltro, anche prima delle ordinanze nn. 15263 e 15264 del 2021 la Giurisprudenza di Legittimità ha applicato il principio dell'alternatività tra IVA e imposta di registro alle sentenze di condanna pronunciate (anche) nei confronti del fideiussore, valorizzando l'identità della prestazione oggetto dell'obbligazione. Identità che dovrebbe sussistere anche rispetto alla prestazione dovuta dal debitore ceduto, risultando indifferente la successione nel diritto di credito da parte del cessionario. In particolare, secondo la Suprema Corte, “il trattamento fiscale dell'operazione è determinato dalla sua natura oggettiva, […] unitaria e inscindibile, a prescindere dalla circostanza che la prestazione principale sia adempiuta dal debitore in esecuzione del contratto principale o dal fideiussore”, sul presupposto che la situazione di diritto che si configurava in capo al fideiussore in ragione dell'azione di surrogazione, consentiva di affermare che “la condanna al pagamento in favore del fideiussore non può che considerarsi avere ad oggetto obbligazioni di natura (anche fiscalmente) identica a quella afferente le obbligazioni garantite” [Cass. civ., Sez. VI-5, 15/07/2014, n. 16192; Cass. civ., Sez. V, 20/04/2007, n. 9390; Cass. civ., Sez. V, 21/02/2003, n. 2696].

Quanto all'ulteriore eccezione mossa dall'Amministrazione finanziaria, e cioè che i contratti di cessione di crediti o di factoring, sarebbero esclusi dal campo di applicazione dell'IVA, essa non pare fondata poiché tali operazioni, rientranti tra le prestazioni di servizi ai sensi dell'art. 3, comma 2, n. 3), d.P.R. 633/1972, sono espressamente qualificate come “esenti” dall'art. 10, comma 1, n. 1) del medesimo decreto.

Le operazioni esenti, pur non facendo sorgere il debito d'imposta, comportano gli stessi adempimenti formali delle operazioni imponibili: devono essere fatturate e registrate, devono essere incluse nel calcolo del volume d'affari, etc.. Per tale ragione sono dalla dottrina annoverate anch'esse nell'ambito di applicazione dell'IVA.

Che le cessioni di credito poste in essere nell'ambito di operazioni di finanziamento rientrino nel campo IVA, anche se esenti, è principio altresì riconosciuto in alcune risoluzioni [Risoluzione Ministero delle Finanze n. 71 del 24/05/2000; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 278/E del 04/07/2008].

In conclusione, si condivide l'orientamento espresso con le pronunce in commento, sia perché la prestazione oggetto del provvedimento giudiziale mantiene le caratteristiche di quella originaria (assoggettata ad IVA), sia perché i contratti di cessione dei crediti (o di factoring) rientrano nell'ambito di applicazione dell'IVA, seppure in regime di esenzione.

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