Recesso del conduttore dal contratto di locazione ad uso abitativo per “gravi motivi” e contestazione del locatore

Alberto Celeste
22 Giugno 2021

Alla luce dell'interpretazione della normativa di settore, come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento, segnatamente, agli individuati requisiti di tempestività e precisione della contestazione del locatore, in relazione ai motivi indicati nella dichiarazione di recesso, sul piano fattuale o in relazione alla loro idoneità a legittimare il recesso medesimo, il Supremo Collegio ha ritenuto che, nel considerare irrilevante che il locatore abbia risposto alla lettera del conduttore soltanto tre mesi dopo, e parimenti irrilevante la doglianza del conduttore circa la genericità e vaghezza della contestazione del locatore, la sentenza impugnata, alla quale era stata espressamente proposta la questione della tempestività e non specificità della contestazione del locatore in relazione ai motivi indicati nel preavviso di recesso, è incorsa nel vizio di falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, della l. n. 392/1978.
Massima

In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, il recesso del conduttore per “gravi motivi” ex art. 4, comma 2, della l. n. 392/1978 - disposizione di identico tenore letterale rispetto a quella del successivo art. 27, comma 8, in materia di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo - attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce effetto, ai sensi dell'art. 1334 c.c., per il solo fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest'ultimo, circa l'esistenza o rilevanza dei motivi invocati dal conduttore, sicché l'eventuale contestazione del locatore, in ordine a tali motivi, introduce (non un'azione costitutiva, volta a dichiarare il recedente sciolto dal contratto, bensì) un'azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se tali gravi motivi sussistessero al momento del suddetto recesso.

Il caso

La causa - decisa dall'ordinanza in commento - traeva origine da un decreto ingiuntivo con cui il locatore intimava al conduttore il pagamento di una data somma a titolo di canoni, oneri accessori e spese di registrazione, in forza del contratto di locazione inter partes ad uso abitativo (nella specie, sottoposto al regime di durata di anni 3+2).

Il conduttore aveva proposto opposizione nei confronti di tale decreto, sostenendo che il contratto di locazione si sarebbe risolto, essendo intervenuto recesso per gravi motivi ad una certa data: l'opponente rappresentava, infatti, di aver inviato una raccomandata, con cui aveva comunicato al locatore la necessità di disdire anticipatamente il contratto di locazione per motivi di lavoro e che, solo con successiva (e tardiva) raccomandata, il locatore aveva contestato l'efficacia di tale disdetta.

Il Tribunale adìto, quanto al recesso per gravi motivi, consentito al conduttore indipendentemente dalle previsioni contrattuali, in forza dell'art. 4, comma 2, della l. n. 392/1978, aveva osservato che, anche volendo configurare la disdetta comunicata dal conduttore come recesso ex lege, a fronte della contestazione del locatore, il conduttore non aveva provato la sussistenza del motivo in esso indicato.

Quindi, rilevato: a) che la cessazione del rapporto di lavoro del conduttore con il datore di lavoro era avvenuta quasi due anni prima della stipula del contratto di locazione, b) che anche l'altra attività imprenditoriale iniziata dal predetto dopo la cessazione di quella alle dipendenze di tale datore era ormai terminata al momento della stipula del contratto di locazione, e c) che il conduttore era in pensione da sette mesi, il giudice di prime cure aveva ritenuto l'illegittimità del recesso esercitato dal conduttore, condannando quest'ultimo al pagamento dei relativi canoni di locazione fino alla cessazione naturale del rapporto.

Appellava il conduttore, evidenziando che il reddito da pensione non gli consentiva di pagare il fitto, sicché sussistevano i gravi motivi per la disdetta, stante la mutata situazione economica del nucleo familiare, e sottolineando che il locatore non aveva dato tempestivo riscontro alla disdetta di cui sopra, atteso che aveva risposto solo successivamente senza peraltro effettuare una precisa contestazione dei motivi a base della disdetta medesima.

La Corte d'Appello, tuttavia, rigettava il gravame del conduttore.

La questione

Si trattava di verificare se il giudice distrettuale avesse errato nel valutare, ritenendole irrilevanti, la tardività e la genericità della contestazione dei motivi di recesso formulata dal locatore, atteso che, invece, in difetto di tempestività e precisione, la contestazione della parte locatrice dovesse considerarsi tamquam non esset ed il recesso della parte conduttrice rimaneva efficace.

Le soluzioni giuridiche

La doglianza avanzata dal conduttore, ricorrente per cassazione, è stata ritenuta meritevole di accoglimento da parte dei giudici di Piazza Cavour.

Sul versante normativo, il comma 2 dell'art. 4 (in relazione a locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione) e l'ultimo comma dell'art. 27 (in relazione a locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione) della l. 27 luglio 1978, n. 392 dispongono - con previsione avente il medesimo tenore letterale - che, “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Al riguardo, si è osservato (Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1996, n. 954), che, fatta eccezione del recesso convenzionalmente stipulato con il contratto di locazione, la normativa richiamata è di derivazione diretta dal recesso unilaterale disciplinato dall'art. 1373 c.c., ed inquadra il recesso unilaterale non convenzionalmente convenuto come deroga eccezionale al principio secondo il quale tale rapporto può essere sciolto solo per concorde volontà delle parti.

Condizioni di questa deroga sono, in particolare, la presenza di “gravi motivi” che investano la posizione del conduttore ed il preavviso anteriore di sei mesi.

L'atto di recesso del conduttore, anche se condizionato da una giustificazione obbiettiva, produce l'effetto di sciogliere il rapporto di locazione attraverso il meccanismo proprio degli atti unilaterali descritto dall'art. 1334 c.c. (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2015, n. 6895): quest'ultima norma dispone che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona cui sono indirizzati.

Nella normativa della c.d. legge dell'equo canone richiamata, è contenuto, quindi, un principio di vincolatività della dichiarazione, la quale non può essere più revocata dopo la conoscenza da parte del destinatario; in tal modo, la legge ha voluto stabilire uno specifico requisito di certezza dell'atto unilaterale, il cui contenuto non può essere affidato alle mutevoli determinazioni del dichiarante.

Trasportato nel campo del recesso unilaterale nel rapporto di locazione, questo significa che, una volta espressa la volontà di recesso, il conduttore non può affidarne l'effetto ad elementi causali non contenuti nell'atto di preavviso richiesto dai ricordati articoli della l. n. 392/1978; ne consegue che il giudice chiamato a verificare la legittimità del recesso del conduttore, deve verificare anche che questo corrisponda ai motivi - che devono essere, per esplicita previsione normativa, “gravi” - espressi nell'atto di preavviso.

La giurisprudenza di vertice ha, altresì, precisato che l'onere, per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso in parola, ancorché non espressamente previsto dalla normativa, deve ritenersi insito nella facoltà di recesso, la cui comunicazione, in quanto trattasi di recesso “titolato”, non può prescindere - in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum - dalla specificazione dei motivi, che valgono a dare alla dichiarazione di recesso la precisa collocazione nell'àmbito della fattispecie normativa in parola, sicché tale specificazione inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi di recesso addotti sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10677; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7241; Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2002, n. 16676).

In proposito, gli ermellini hanno, più volte, precisato che, ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, ai sensi della normativa citata, è sufficiente che egli manifesti, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, al locatore il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l'onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, né di darne la prova perché queste attività devono esser svolte in caso di contestazione da parte del locatore (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 549; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2006, n. 6095; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2003, n. 17042).

Infatti, il recesso del conduttore, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce effetto - come già osservato - ex art. 1334 c.c. per il sol fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest'ultimo, circa l'esistenza o rilevanza dei motivi addotti.

L'eventuale contestazione del locatore circa l'esistenza o la rilevanza dei “giusti motivi” invocati dal conduttore non introduce un'azione costitutiva finalizzata ad una sentenza, che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giusti motivi invocati dal conduttore (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2015, n. 6895; Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2009, n. 16110; Cass. 20 febbraio 1993, n. 2070).

I magistrati del Palazzaccio rimarcano che il recesso di cui qui si discute è un recesso “titolato”, che non può prescindere dalla specificazione dei motivi, la quale inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso, e risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato.

Alla necessità dell'indicazione, nella dichiarazione di recesso, dei motivi posti a fondamento dello stesso dalla parte conduttrice non può non corrispondere l'onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica degli stessi, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.

Osservazioni

Il legislatore ha dettato una disciplina speciale per il recesso dalle locazioni urbane: tale disciplina concerne il recesso “convenzionale” del conduttore (artt. 4, comma 1, e 27, comma 7, l. n. 392/1978) ed il recesso dello stesso soggetto per “gravi motivi” (art. 3, comma 6, l. n. 431/1998, per le locazioni abitative - che ha sostituito l'art. 4, comma 2, l. n. 392/1978, preso in esame dalla sentenza in commento - e art. 27, comma 8, l. n. 392/1978, per le locazioni ad uso diverso), recesso che, in tutte le suddette ipotesi, va comunicato al locatore con preavviso sempre di sei mesi.

I gravi motivi che autorizzano il conduttore a recedere dal contratto di locazione devono essere imprevedibili, sopravvenuti alla conclusione del contratto e determinati da fatti estranei alla volontà del locatario, tali da rendere oltremodo gravosala prosecuzione del rapporto (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2011, n. 26711; Cass. civ., sez. III, 21 aprile 2010, n. 9443; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2006, n. 6089; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15215; cui adde Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2014, n. 12291, ad avviso della quale i gravi motivi possono consistere anche in molestie di fatto da parte di un terzo, in presenza delle quali il conduttore ha unicamente la facoltà, e non l'obbligo, di agire personalmente contro il terzo stesso ai sensi dell'art. 1585 c.c.: nella specie, si è ritenuta corretta l'applicazione di tali principi fatta nella sentenza impugnata, secondo cui la dismissione della detenzione dell'immobile era legittimamente dipesa dal disturbo della quiete e del riposo notturno arrecato al conduttore dal continuo abbaiare di un cane).

Sul punto, si è sottolineato che il recupero della “estraneità” rispetto alla volontà del conduttore afferisce alle circostanze che rendano oltremodo gravosa per lui la persistenza del rapporto e non alle determinazioni che il conduttore medesimo, in dipendenza di tali circostanze, venga ad adottare (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10980); in altri termini, il motivo non deve essere avulso dal processo decisionale del conduttore, ma è necessario, e anche sufficiente, che la scelta di tale soggetto si innesti su una situazione sopravvenuta idonea ad alterare radicalmente lo stato di fatto che, a suo tempo, venne tenuto in considerazione nella scelta di prendere in locazione l'immobile.

Secondo la dottrina, i gravi motivi possono essere, poi, di natura soggettiva, interessando la persona del conduttore (si pensi, per le locazioni abitative, al sopraggiungere di una grave malattia del conduttore, tale da indurlo a trasferirsi in altra località, all'aumento del nucleo familiare del locatario o al peggioramento delle condizioni economiche dello stesso, o, in materia di locazioni non abitative, a evenienze che possano interessare l'attività imprenditoriale del conduttore stesso); possono essere anche di natura oggettiva, e quindi attinenti alla cosa locata.

La giurisprudenza esclude, tuttavia, che il recesso possa essere esercitato facendo valere situazioni che integrano un vero e proprio inadempimento del locatore, come la non conseguita disponibilità dell'immobile locato, da porre invece a fondamento della domanda di risoluzione del contratto (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2011, n. 5911; Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2005, n. 15620; Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2003, n. 11075).

Il termine prescritto per il preavviso, come per il recesso convenzionale, è - come sopra rilevato - di sei mesi.

Il preavviso deve inviarsi con lettera raccomandata (o con altro mezzo equipollente: Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4238); esso deve contenere la specifica enunciazione dei gravi motivi posti a fondamento del recesso (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13368; Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2008, n. 15058; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10677), e ciò al fine di consentire al locatore la precisa e tempestiva conoscenza degli stessi, la valutazione circa l'idoneità dei detti motivi a legittimare lo scioglimento del vincolo e la conseguente eventuale loro contestazione.

Riferimento

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