La sorte dei “beni futuri” fra sequestro preventivo e confisca
22 Dicembre 2021
Massima
Il provvedimento di confisca può riguardare solo beni esistenti al momento della sua adozione, mentre il sequestro preventivo, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, può, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca (massima resa in tema di confisca per reati tributari). Il caso
A seguito di decreto penale di condanna divenuto esecutivo, all'imputato erano confiscate somme di denaro. Successivamente il condannato ne chiedeva la restituzione ma il giudice prima ed il tribunale poi ne rigettavano l'istanza. Nei confronti dell'ordinanza era avanzato ricorso per cassazione, avendo il tribunale ritenuto confiscabili per equivalente anche somme (ottenute a titolo di stipendio e pensione di invalidità e di risarcimento danni) entrate lecitamente nella disponibilità della ricorrente, dopo la data di irrevocabilità del provvedimento di confisca. In sostanza, secondo la difesa, nel caso in esame si sarebbe illegittimamente eseguita una confisca su "beni futuri", i quali però possono essere oggetto solo del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente; di contro, invece, tale confisca, data la sua natura sanzionatoria, potrebbe riguardare solo beni che al momento della sua adozione siano già nella disponibilità dell'imputato, posto che altrimenti il provvedimento di confisca determinerebbe l'insorgenza di una obbligazione in capo al soggetto attinto dalla stessa di cui questi sarebbe chiamato a rispondere, con il proprio patrimonio, comprensivo anche di beni futuri.
Secondo la difesa, la confisca per equivalente, quale misura ablatoria, non sarebbe assimilabile ad una obbligazione di natura civilistica, avendo natura anche reale e colpendo quindi i beni nella disponibilità del reo in modo da ripristinare un equilibrio violato.
Si contesta altresì, la ricostruzione in ordinanza della nozione di beni futuri. Per comprendere il perché di questa conclusione occorre considerare come la ricorrente ebbe l'esigenza di accendere un conto corrente nuovo in occasione dell'incasso del risarcimento conseguito alla morte della madre, peraltro successivo alla confisca, cosicché la giacenza ivi rinvenuta doveva ritenersi, rispetto alla predetta misura, quale "bene futuro", quale residuo di un risarcimento non solo erogato dopo l'adozione del provvedimento ablatorio ma anche scaturito da un fatto illecito posteriore a tale data. La decisione dei giudici al riguardo, di ritenere insufficienti le prove fornite, esprimerebbe un principio errato in diritto circa la nozione di "beni futuri", richiedente, in luogo della valutazione qualitativa della provenienza dei medesimi e della data di acquisto degli stessi, un più complesso raffronto qualitativo tra il valore attuale e quello storico del patrimonio del condannato. La questione
Contrariamente a quanto sostenuto dalla decisione in commento, sul tema della confiscabilità per equivalente di beni “futuri” si registra un contrasto in giurisprudenza. In particolare, secondo un orientamento i beni attinti dal provvedimento ablatoria non necessariamente devono essere “individuati” nel provvedimento, ma quanto meno devono essere “individuabili”: entrambe le locuzioni fanno riferimento a beni già presenti nella sfera di disponibilità del condannato al momento della statuizione, ancorché si rimette la loro compiuta identificazione alla fase dell'esecuzione della sanzione per cui vanno esclusi dall'ablazione i beni che entrano nel patrimonio del reo dopo detto provvedimento, definiti “futuri” (Cass., sez. III, 1 febbraio 2016, n. 4097; , Cass., sez. III, 27 febbraio 2013, n. 23649). In questo senso si pronuncia anche la dottrina, secondo cui l'istituto della confisca presenta sempre una fisionomia preminentemente ripristinatoria o riequilibratrice, più che punitiva, in quanto destinato alla mera rimozione del guadagno indebitamente locupletato (ricavi meno costi lecitamente sostenuti per il suo conseguimento) e ciò dovrebbe precluderne l'applicazione in relazione a beni di non è certo il pervenimento in capo all'imputato (MONGILLO, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall'incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2015, 716).
Secondo altro orientamento invece 'debito sanzionatorio del condannato' non può essere vanificato dalla momentanea incapienza del debitore. Il perimetro patrimoniale all'interno del quale deve essere soddisfatto, di conseguenza, è costituito non solo dai beni “già individuati” nella disponibilità dell'imputato, ma anche da «quelli che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell'importo determinato” (Cass., sez. VI, 30 luglio 2015, n. 33765; Cass., Sez. V, 28 giugno 2013, n. 28336). Pur concordando con l'impostazione vista in precedenza - secondo cui il provvedimento ablatorio deve indicare con precisione l'entità del profitto, del prezzo o del prodotto del reato, aggiungendo che i beni colpiti devono essere “individuati” o “individuabili”, anche nella fase dell'esecuzione della pronuncia – si ritiene che possano considerarsi come individuabili non solo i beni di cui il reo già dispone al tempo della statuizione della confisca, ma anche quelli che fossero acquisiti dopo detta pronuncia. In questo modo si valorizza la fisionomia ripristinatoria o riequilibratrice della misura, che si affianca a quella punitiva.
La soluzione giuridica
Il ricorso è stato accolto, con una articolata motivazione che solo in parte accoglie le osservazioni della difesa. In effetti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, avendo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, a differenza del sequestro preventivo "impeditivo", natura sanzionatoria, non possono essere sottoposti a tale vincolo i beni meramente futuri, non individuati e non individuabili (Cass., sez. III, 1 febbraio 2016, n. 4097, Cass., sez. III, 31 maggio 2013, n. 23649). Fermo questo principio, la pronuncia fa due precisazioni che in qualche modo ampliano lo spettro dei beni che possono essere oggetto di ablazione. In primo luogo, si distingue tra beni futuri solo perché non ancora percepiti ma fin d'ora individuabili (come possono essere ad esempio i canoni di locazione derivanti da un bene comunque già nella disponibilità dell'indagato) e beni futuri proprio in quanto non individuati e non individuabili: È solo nel secondo caso che manca il presupposto di determinatezza dell'oggetto della misura. che imporrebbe di avere riguardo, secondo l'indirizzo appena ricordato, al principio di "non ultrattività" derivante dalla natura sanzionatoria della misura.
In secondo luogo, si afferma che se è certamente necessario che la confisca riguardi solo beni esistenti al momento della sua adozione, non così può accadere per il sequestro, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, e che può invece, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca. La distinzione fra confisca e sequestro preventivo, con riferimento alla possibilità di apprendere beni futuri, è motivata osservando come gli effetti del sequestro (che non è una sanzione, a differenza della confisca) sono di per sé inevitabilmente proiettati anche in una dimensione futura, essendo funzione di tale provvedimento quello di impedire che i beni confiscabili non possano più essere reperiti: assoggettare a sequestro per equivalente un bene "futuro" per un fatto comunque commesso prima del provvedimento cautelare non significa disattendere il principio di legalità, tanto più ove si consideri che nessuna pertinenza tra bene e reato è, nel caso della confisca per equivalente, richiesta, né, per la stessa ragione, può ritenersi fondata l'obiezione secondo cui, assoggettandosi a sequestro beni non ancora nella disponibilità dell'indagato ma che potrebbero un giorno ricadervi, si finirebbe per aggredire beni acquisiti del tutto lecitamente (Cass., sez. III, 25 maggio 2017, n. 37454).
Sulla scorta di queste osservazioni, la Cassazione annulla il provvedimento impugnato per due ragioni.
Da un lato, viene negata validità alla ricostruzione della confisca per equivalente quale titolo fondante una obbligazione che vincola a rispondere con i beni presenti e futuri.
Dall'altro, la Cassazione censura anche l'asserzione dei giudici di merito circa la rilevata insufficienza delle produzioni offerte dal ricorrente, posto che in tema di esecuzione - come si ricava dall'art. 666 co. 5 c.p.p. - non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, un dovere cioè di prospettare e di indicare al giudice ì fatti sui quali la sua richiesta si basa, ancorchè illustrati fornendo indicazioni specifiche e non astratte sulla loro sussistenza, come tali funzionali ad attivare seriamente i poteri officiosi del giudice, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti. In senso contrario, non può invocarsi il principio per cui il giudice dell'esecuzione non è tenuto a sostituirsi alla parte inerte per acquisire documentazione o informazioni utili a suffragare l'istanza, operativo nei diversi casi in cui emerga l'iniziativa del tutto inconcludente e astratta dell'interessato, persino a fronte della concessione di un termine per l'espletamento di quanto ritenuto utile ai fini decisori (Cass., sez. III, 12 giugno 2013, n. 2583) Osservazioni
La sentenza della Cassazione aderisce, fra le posizione in commento, a quella che sembra la tesi più apprezzabile, circoscrivendo l'area dei beni confiscabili a quelli che sono già presenti nella sfera giuridico-patrimoniale dell'interessato.
Come correttamente indicato in motivazione, il problema della confiscabilità dei beni “futuri” non è dato dalla circostanza che ammettendo tale possibilità il singolo verrebbe privato di disponibilità che, in quanto ottenute dopo l'illecito, ha acquisito lecitamente: la confisca per equivalente, infatti, riguarda sempre beni che sono entrati legittimamente nel patrimonio della persona colpita ed in ciò è il suo elemento differenziale rispetto alla confisca in via diretta. Piuttosto, occorre considerare che non confiscabilità dei beni acquistati dall'interessato dopo la pronunciaderiva effettivamente della natura sanzionatoria della misura: se, dunque, tale provvedimento è una pena applicata al condannato e consiste nell'espropriazione di denaro o di altro bene di natura patrimoniale nella disponibilità di quest'ultimo pare conseguenziale se ne debba escludere la natura di obbligazione risarcitoria e quindi, da un lato, non può ritenersi che il provvedimento giudiziario dia luogo ad un “debito” del condannato, quantunque avente una fonte sanzionatoria e dall'altro può essere sottratto al reo solo ciò che rientra nel suo patrimonio al momento della sentenza.
Come è stato detto, se la confisca per equivalente, quale sanzione, non può essere retroattiva, “analogamente, alla sua natura consegue che non possa essere una sanzione patrimoniale “ultra-attiva”, nel senso di trovare applicazione per un'epoca successiva alla sua adozione in modo da colpire beni di cui il condannato non disponeva quando ha commesso il fatto e perfino quando la sentenza è divenuta definitiva” (GIORDANO, In tema di confisca per equivalente di beni “futuri”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it). D'altronde, ove si ammettesse che la sanzione possa riguardare anche per i beni acquistati dal reo in epoca successiva alla sentenza, del resto, si precluderebbe al condannato per un reato per cui è stata disposta una simile misura di procurarsi, anche dopo la condanna, un qualsiasi bene, con mezzi leciti come ad esempio il lavoro.
Su questa base va poi inquadrata la questione inerente alla sorte dei vantaggi patrimoniali derivanti dalla gestione dei beni medio tempore maturati – come, ad esempio, i canoni di locazione. Alcune pronunce hanno sostenuto che la natura sanzionatoria del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato non impedisce al custode, nominato per l'amministrazione dei cespiti sottoposti a vincolo, di percepire i frutti o le altre utilità future, come i canoni di locazione e vantaggi patrimoniali accessori, in analogia con la previsione dell'art. 2912 c.c. riguardante l'estensione del pignoramento agli accessori e alle pertinenze della cosa pignorata (Cass., sez. VI, 30 luglio 2014, n. 33861), mentre altre decisioni affermano che i canoni e i frutti dei beni esulano dai beni sequestrabili e confiscabili perché la natura sanzionatoria dell'istituto della confisca di valore esclude una sua proiezione sul futuro (Cass., sez. III, 27 febbraio 2013, n. 23649).
A nostro parere occorre distinguere – come fa la pronuncia in esame – il caso in cui si proceda in via cautelare a sequestro prodromico all'ablazione di valore dal provvedimento di confisca. Il sequestro dei frutti dei beni, infatti, deve considerarsi ammissibili perché non si tratta di beni “futuri” rispetto al provvedimento di confisca, ma ciò tuttavia impone – come sottolineato in dottrina (GAITO, Il sequestro per equivalente di beni immobili e la sorte dei canoni di affitto, in Giur. it., 2008, 1) – che si presti attenzione alla circostanza che, nel porre a sequestro tali valori, non si ecceda l'ammontare del profitto o del prezzo confiscabile così come determinato nel provvedimento cautelare; di conseguenza, occorre riconoscere che quando si proceda a confisca di valore di beni solo “individuabili” vada riconosciuto all'interessato di ricorrere al procedimento di esecuzione proprio per ottenere una riduzione di quanto confiscato. |