Tribunale Roma: valenza dei Dpcm e inadempimento del conduttore
10 Gennaio 2022
Massima
Il conduttore che si oppone allo sfratto per morosità, sostenendo di non aver potuto corrispondere regolarmente il canone di locazione per l'esistenza di misure restrittive dettate con D.P.C.M. al fine di fronteggiare l'eccezionale situazione determinata dal diffondersi della pandemia da Covid-19, ha l'onere di provare il collegamento eziologico tra causa impossibilitante e l'inadempimento. Il rispetto delle norme di contenimento costituisce soltanto una astratta causa di forza maggiore, la cui incidenza deve essere dimostrata dal conduttore. I decreti ministeriali emergenziali adottati dal Governo non assurgono a fonte normativa.
Il caso
Una Società immobiliare concedeva in locazione un immobile nel comune di Roma a una Srl. Quest'ultima, qualche anno dopo, comunicava la cessione d'azienda e del contratto di locazione a una Srls. L'Immobiliare conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale capitolino, la suddetta Srls, intimandogli lo sfratto per morosità, essendosi questa resa morosa nel pagamento dei canoni di locazione da aprile 2020 in poi. La convenuta, esercente un'attività nel settore bar/ristorazione, si costituiva in giudizio - eccependo la sussistenza di una situazione eccezionale dovuta al diffondersi del virus da Covid-19 che imponeva, a suo dire, l'obbligo di rinegoziare il contratto secondo buona fede - e spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo il pagamento di alcuni presunti lavori di manutenzione straordinaria realizzati nell'immobile, riguardanti gli impianti idrico, elettrico e di scarico non conformi alla normativa vigente. Con ordinanza, veniva emesso ordine di rilascio dell'immobile e disposto il mutamento di rito. Con memorie integrative, parte attrice chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda riconvenzionale, nonché la condanna della Srls al pagamento dei canoni di locazione non corrisposti e di una indennità di occupazione maturata. La convenuta, dal suo canto, chiedeva che fosse rigettata l'intimazione di sfratto per morosità e accertata l'esistenza dei gravi motivi, di cui all'art. 665 c.p.c., ostativi alla pronuncia dell'ordinanza di convalida di sfratto, nonché della violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. Non avendo le parti formulato istanze istruttorie, la causa veniva discussa immediatamente. La questione
Si deve accertare se il conduttore di un immobile ad uso commerciale, moroso nel pagamento dei canoni di locazione, possa evitare lo sfratto per morosità adducendo l'esistenza di una situazione eccezionale dovuta alla diffusione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e, contestualmente, ridurre l'importo del canone di locazione mensile. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Roma dichiara risolto il contratto di locazione per grave inadempimento della conduttrice. Conferma l'ordinanza di rilascio dell'immobile e condanna la parte convenuta al pagamento della somma di denaro per i canoni di locazione non corrisposti e maturati fino al rilascio effettivo, nonchè alla rifusione delle spese di lite in favore dell'attrice. Rigetta, altresì, tutte le domande riconvenzionali spiegate dalla convenuta. Osservazioni
La diffusione del virus da Covid-19, oltre a problemi di carattere sanitario ed economico, ha comportato numerosi dubbi sul destino di alcuni contratti già in essere al momento del sorgere della situazione emergenziale. Sono state moltissime le attività commerciali costrette a chiudere i battenti per le evidenti e innegabili difficoltà legate al particolare momento storico e, nei confronti di quelle che sono riuscite a rimanere a galla, sono stati sempre più frequenti i procedimenti di intimazione di sfratto per morosità posti in essere dai proprietari degli immobili oggetto di locazione ad uso commerciale. Si fa frequentemente leva sul principio della buona fede contrattuale, contemplata agli artt. 1175 e 1375 c.c., che entrambi i contraenti sono tenuti a seguire sia nella fase negoziale, sia in quella dell'esecuzione del contratto. Si sta sempre più consolidando la convinzione che rientri nel concetto di buona fede contrattuale anche l'inesigibilità, da parte del creditore, di una prestazione ritenuta oggettivamente impossibile, qualora l'obbligazione vada a ledere in maniera concreta e apprezzabile la sfera patrimoniale e personale del soggetto. Si utilizza a proprio vantaggio il concetto di solidarietà sociale che, in definitiva, prescrive di salvaguardare l'interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico. Il Tribunale romano, ribadendo un principio giurisprudenziale assodato, afferma che il creditore che agisce per l'esatto adempimento dell'obbligazione contrattuale deve soltanto provare il fondamento - negoziale o legale - del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi ad allegare la condotta inadempiente della controparte, mentre compete al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo della pretesa altrui, costituito dall'avvenuto adempimento. La convenuta non contesta la morosità ma si limita a sostenere che la stessa è dovuta all'esistenza di misure restrittive adottate in materia di Covid-19 dai D.P.C.M. governativi durante l'emergenza sanitaria, al fine di fronteggiarla. Tuttavia, i decreti ministeriali non si atteggiano a fonte normativa dell'ordinamento giuridico, avendo la stessa natura delle ordinanze contingibili e urgenti, le quali possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari e si qualificano come provvedimenti amministrativi generali, privi di valenza normativa. Come sancito anche dalla Corte di Cassazione, la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali osta all'applicabilità del principio iura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c., da coordinare con l'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile che non li comprende tra le fonti del diritto. Ne consegue che spetta alla parte interessata l'onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Cass. civ., sez. V, 15 ottobre 2019, n. 25995). Nel caso di specie nessun D.P.C.M. è stato prodotto in giudizio dalla parte convenuta, la quale, peraltro, non ha prodotto alcun elemento per poter valutare concretamente l'incidenza effettiva e reale dell'emergenza pandemica sulla situazione contrattuale e, in particolare, sullo svolgimento della propria attività. La convenuta ritiene, inoltre, che l'Immobiliare abbia violato il dovere di buona fede che imporrebbe la rinegoziazione del contratto. Il magistrato capitolino evidenzia, invece, come l'attrice abbia cercato, inutilmente, di addivenire ad una composizione bonaria della situazione attraverso la stipula di un piano di rientro che, tuttavia, non risulta essere stato rispettato dalla Srls. La mancanza di buona fede della locatrice, invocata dalla parte conduttrice, secondo il giudice capitolino non è riscontrabile nel caso in esame. Infatti, la clausola generale di buona fede nell'esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta, da un lato, ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l'utilità della controparte, e, dall'altro, a tollerare anche l'inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Nel caso de quo non può certamente pretendersi che la locatrice rinunci a un proprio diritto contrattuale per giungere ad un accordo che comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico. In merito, poi, alle spese straordinarie che la conduttrice afferma di aver sostenuto nell'immobile - e delle quali chiede il rimborso - per il rifacimento dell'impianto idrico, elettrico e di scarico, non conformi alla normativa vigente, esse non potevano essere realizzate senza il preventivo consenso scritto del proprietario. Manca, inoltre, a tal proposito, una qualsiasi dimostrazione circa la tempestiva denuncia dei vizi da parte della conduttrice. Sostiene, infatti, la giurisprudenza di legittimità che costituisce ius receptum il fatto che il conduttore ha diritto al rimborso delle spese per le riparazioni eccedenti la normale manutenzione se, avendo il carattere dell'urgenza, egli ha avvisato il locatore e, nell'inerzia di questi, ha provveduto direttamente ai lavori (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4064; Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2002, n. 10742; Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16136). In altre parole, il conduttore può chiedere il rimborso delle spese sostenute per le riparazioni straordinarie soltanto nell'ipotesi in cui abbia avvisato tempestivamente il locatore del vizio e questi sia rimasto colpevolmente inerte. Nella fattispecie all'esame del Tribunale romano, però, la conduttrice non ha fornito alcuna dimostrazione, limitandosi semplicemente a produrre in giudizio dei fogli in bianco nei quali, peraltro, non vengono esplicitati i presunti lavori autorizzati, né le fatture prodotte recano la prova dell'avvenuto pagamento. Per il giudicante, dunque, non è facile capire se nell'immobile sono state realizzate delle migliorie o semplicemente delle riparazioni, se queste erano state autorizzate e in cosa realmente siano consistiti i lavori eseguiti. Pertanto, la domanda riconvenzionale della convenuta non merita accoglimento. Riferimenti
Gnes, Le misure nazionali di contenimento dell'epidemia da Covid-19, in Giornale dir. amm., 2020, fasc. 3, 282; Cirla, La ripartizione delle spese tra locatore e conduttore, in Immob. & proprietà, 2015, fasc. 1, 63; Magli, Emergenza sanitaria, obbligo di rinegoziazione e buona fede integrativa, in Corr. giur., 2021, fasc. 6, 807; Masoni, Locazione e Covid-19: obbligo di negoziazione e percorsi alternativi, in Immob. & proprietà, 2021, fasc. 5, 318. |