La Cassazione torna ancora sulla lista Falciani

17 Gennaio 2022

Il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che in tema di imposta sul valore aggiunto, consente che gli accertamenti fiscali si svolgano con l'utilizzo di elementi comunque acquisiti, e quindi anche con prove atipiche, quali le “liste” provenienti dalla collaborazione internazionale, o con dati acquisiti con forme diverse da quelle regolamentate.
Massima

Il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che in tema di imposta sul valore aggiunto, consente che gli accertamenti fiscali si svolgano con l'utilizzo di elementi comunque acquisiti, e quindi anche con prove atipiche, quali le “liste” provenienti dalla collaborazione internazionale, o con dati acquisiti con forme diverse da quelle regolamentate. Non è peraltro neppure necessario che gli indizi siano plurimi, in quanto anche un unico indizio, se dotato dei requisiti della gravità e della precisione, può fondare una legittima ripresa a tassazione. In ogni caso, in materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente in modo irrituale sono comunque pienamente utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, non vigendo, in tale sede, le preclusioni vigenti invece nell'ambito del processo penale.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 25818 del 23 settembre 2021, è ancora tornata sulla famosa lista Falciani.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l'appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall'Agenzia delle Entrate, per l'anno 2007, originato dall'acquisizione di dati dalla c.d. "lista Falciani", relativa ai contribuenti italiani detentori di disponibilità finanziarie presso la HSBC Private Bank di Ginevra (Svizzera).

In particolare, con riferimento a due conti correnti, il giudice di appello rilevava che i documenti potevano essere utilizzati, in quanto vi era stata una richiesta di accertamento presso l'amministrazione fiscale francese, attraverso i canali della collaborazione internazionale previsti dalla direttiva n. 77/799/CEE e dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia, stipulata il 5 ottobre 1989 e ratificata in Italia con la legge n. 20 del 7 gennaio 1992.

Vi era stato, dunque, lo scambio di informazioni tra Stati, in aderenza a quanto previsto dall'art. 31-bis del d.P.R. n. 600/1973.

Inoltre, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. n. 600/1973, in caso di omessa dichiarazione, l'Ufficio poteva determinare il reddito del contribuente in base ai dati ed alle notizie comunque raccolte, con facoltà anche di utilizzare presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, laddove, nel caso in esame, si trattava di documenti che comprovavano la costituzione di disponibilità all'estero con redditi sottratti in Italia ex art. 12 del d.l. n. 78 2009 e che si riferivano senza dubbio al contribuente, in ragione dell'esatta identificazione dello stesso a mezzo di carta d'identità come intestatario dei citati conti cifrati.

La documentazione della lista Falciani, sequestrata dalle autorità francesi era stata successivamente trasmessa ai Paesi interessati, laddove, quanto alla asserita mancata allegazione al processo verbale di contestazione dei documenti non conosciuti della contribuente, in realtà, rilevava la CTR, si trattava di ulteriori atti, rispetto alla scheda cliente ed ai saldi mensili, non riguardanti la posizione del singolo, ma relativi allo scambio di informazioni con le autorità francesi, che attenevano alla tutela della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali.

La questione

Secondo i giudici di appello, non vi era inoltre alcun contrasto con la normativa di cui all'art. 13-bis del d.l. 78/2009, cd. "scudo fiscale", in quanto preclusiva di un nuovo accertamento.

Infatti, tale normativa non consente l'accertamento per le somme o altre attività costituite all'estero e oggetto di rimpatrio. Ma, nel caso di specie, le attività di natura finanziaria "scudate" erano pari ad euro 1.750.337,00, mentre le disponibilità patrimoniali risultanti al 31 dicembre 2006 erano pari ad euro 2.169.005 86,30.

Avverso tale sentenza il contribuente proponeva ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione degli articoli 6, secondo comma, 10, primo comma, e 12, secondo comma, primo inciso, della legge n. 212/2000, nonché violazione dell'art. 31-bis del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 41 stesso decreto, oltre che violazione della direttiva n. 77/799/CE e della Convenzione tra Italia e Francia ratificata con legge n. 20/1992.

Affermava il ricorrente che l'Agenzia delle Entrate aveva sempre sostenuto che la scheda esibita sarebbe stata acquisita presso l'Amministrazione fiscale francese, attraverso i canali della cooperazione internazionale prevista dalla Direttiva n. 77/799/CEE del consiglio del 19 dicembre 1977 e dalla Convenzione contro la doppia imposizione stipulata il 5 ottobre 1989 tra Italia e Francia, ratificata con legge 7 gennaio 1992, n. 20.

In realtà, però, tale esibizione non aveva mai avuto luogo, neppure in sede contenziosa, ed era smentita dalla mancanza delle prescritte attestazioni nella copia autentica, che l'Amministrazione fiscale francese avrebbe dovuto apporre sulla scheda esibita al contribuente.

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte, la censura era infondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che in tema di imposta sul valore aggiunto, consente che gli accertamenti fiscali si svolgano con l'utilizzo di elementi comunque acquisiti, e quindi con "prove atipiche", o con dati acquisiti con forme diverse da quelle regolamentate, non essendo peraltro neppure necessario che gli indizi siano plurimi, in quanto anche un unico indizio, se dotato dei requisiti della gravità e della precisione, può fondare una legittima ripresa a tassazione (Cass., sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31779, proprio con riferimento alle uniche risultanze rappresentante dalla lista Falciani; Cass., sez. 5, 12 febbraio 2018, n. 3276).

La Cassazione conferma poi l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, per cui, in materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale sono inutilizzabili in tale sede, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., ma sono pienamente utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l'autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio, oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (art. 12 del d.l. n. 429/1982, successivamente confermato dall'art. 20 del d.lgs. n. 74/2000), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p. ed espressamente previsto dall'art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l'obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell'applicazione della legge penale (cfr., Cass., sez. 6, 28 maggio 2018, n. 13353; Cass., sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28060).

Rileva però la Corte come, in ogni caso, non devono essere violate, però, le disposizioni degli artt. 33 del d.P.R. 600/1973 e 52 e 63 del d.P.R. 633/1972 (cfr., Cass., sez. 5, 17 gennaio 2018, n. 959). Infatti, non qualsiasi irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento comporta, di per sé, l'inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi però i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l'inviolabilità della libertà personale o del domicilio (cfr., Cass., sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27149).

La Cassazione rileva poi che, come peraltro già affermato con le ordinanze gemelle nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 "... L'eventuale responsabilità penale dell'autore materiale della lista-questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (vedi art. 7 c.p. rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all'estero) e comunque, l'illiceità della di lui condotta nei confronti dell'istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l'inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi", laddove è stata infatti espressamente riconosciuta l'utilizzazione - persino in ambito penale- della lista in esame, sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non avevano comunque certo cooperato le autorità pubbliche.

In conclusione, afferma la Cassazione, sono pienamente utilizzabili nell'accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all'estero e ottenuti dal Fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l'eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l'istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono certo di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo.

Il principio di generale di inutilizzabilità degli elementi di prova irritualmente acquisiti, sancito dall'art. 191 c.p.p., costituisce dunque regola propria del solo procedimento penale e non è trasferibile in ambito tributario, neppure utilizzando il richiamo contenuto nell'art. 70 del d.P.R. 600/1973, stante la natura sussidiaria e residuale di tale disposizione, che legittima il ricorso alle norme del codice penale di rito nel solo caso in cui l'accertamento della violazione tributaria non trovi una specifica disciplina delle disposizioni del Tuir (cfr., Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, n. 29632; Cass., sez. 5, 17 gennaio 2018, n. 959); ipotesi che doveva essere esclusa nella fattispecie in esame, in cui l'esercizio dei poteri istruttori ai fini fiscali è compiutamente disciplinato dagli artt. 32 e ss. del d.P.R. 600/1973 e dall'art. 31-bis dello stesso decreto, con riferimento agli scambi di informazioni tra l'Amministrazione finanziaria italiana e le autorità competenti degli altri paesi dell'Unione europea, senza possibilità di ravvisare spazi residuali di ricorso alle norme del procedimento penale.

Nella specie, del resto, non poteva ritenersi illegittima l'attività posta in essere dall'Amministrazione fiscale, su impulso di quella francese, in forza della direttiva 77/799, tenuto conto che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma ci sono solo interessi patrimoniali ed istituzioni economiche (cfr., Cass., sez. 6-5, 18 settembre 2020, n. 19446), non rientrando, comunque, quale limite alla cooperazione informativa, il segreto bancario, come chiarito anche dalla direttiva 2011/16/UE, all'art. 18 ("...non può in nessun caso essere interpretato nel senso di autorizzare l'autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona"), laddove (cfr., Cass., 16950/2015, cit.) si è anzi precisato che, al dovere del segreto bancario, cui sono tradizionalmente tenuti gli istituti di credito, non corrisponde per i singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente circondati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all'obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali, che non può spingersi fino al punto di farne un ostacolo all'adempimento dei doveri inderogabili di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ai sensi dell'art. 53 della Costituzione (cfr., Corte Cost. 51/1992).

Pertanto, premesso che la c.d. scheda clienti non poteva essere valutata alla stregua di un foglio anonimo, l'onere di giustificare l'incoerenza tra l'ammontare delle disponibilità in paese estero a fiscalità privilegiata, secondo il Fisco facenti capo al contribuente sulla base delle risultanze della lista Falciani, incombeva al contribuente, stante la valenza presuntiva degli elementi desumibili dalla stessa lista (cfr., Cass., sez. 5, n. 4984/2020).

Osservazioni

In conclusione, giova anche evidenziare le seguenti osservazioni.

L'Ufficio può provare l'esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti, laddove, peraltro, in tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non devono essere più di uno, ben potendo il giudice, come visto, fondare il proprio convincimento anche su uno solo di essi, purché grave e preciso.

E se dunque risulta che il contribuente, come era nella specie, è intestatario di un conto corrente in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui non abbia fatto denuncia ai fini fiscali e sul conto sono state fatte movimentazioni nell'anno oggetto di contestazione, è corretto ritenere provata la pretesa tributaria.

Non esiste peraltro, come ampiamente dedotto dalla Corte, nell'ordinamento processuale tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite e pertanto gli organi di controllo tributario possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo la verifica dell'attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi.

Tale principio esiste invece nel codice di procedura penale (art. 191 c.p.p.). L'inutilizzabilità è dunque categoria giuridica valida solo per il processo penale.

Per questo motivo, nei processi penali che si sono instaurati sulla Lista Falciani, i contribuenti sono stati di solito assolti, dato che la documentazione acquisita dall'Amministrazione Finanziaria da quella francese, grazie alle procedure comunitarie di cooperazione internazionale, è stata ritenuta non utilizzabile, in quanto viziata ab origine dal fatto che era stata sottratta da un dipendente della banca (il Sig. Falciani appunto), grazie ad un atto illecito di pirateria informatica, o comunque di accesso abusivo al sistema informatico della banca presso cui erano custoditi i nomi di cittadini (anche) italiani, poi risultati detentori di capitali e disponibilità mai dichiarati ai fini fiscali.

Secondo i giudici penali, in sostanza, la documentazione in esame rappresentava un corpo di reato e non era pertanto utilizzabile a sostegno dell'accusa.

Il fenomeno della globalizzazione ha del resto comportato la necessità per i governi e le Amministrazioni finanziarie dei vari Paesi di intensificare il contrasto congiunto all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale.

In tal senso lo stesso Consiglio dell‘Unione europea, nelle premesse alla direttiva n. 2011/16/UE del 15 febbraio 2011, emanata in materia di cooperazione amministrativa nel settore fiscale, ha rilevato che “Nell‘era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più pressante. (...) Per questo motivo uno Stato membro non può gestire il proprio sistema fiscale interno, soprattutto per quanto riguarda la fiscalità diretta, senza ricevere informazioni da altri Stati membri. Per ovviare agli effetti negativi di questo fenomeno è indispensabile mettere a punto una nuova cooperazione amministrativa fra le amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri. È necessario disporre di strumenti atti a instaurare la fiducia fra gli Stati membri mediante l‘istituzione delle stesse norme e degli stessi obblighi e diritti per tutti gli Stati membri”.

L'Amministrazione Finanziaria italiana, nel caso della Lista Falciani, ha dunque legittimamente acquisito e legittimamente utilizzato inequivocabile documentazione trasmessagli dall'Amministrazione Finanziaria francese sulla base di apposite direttive comunitarie.

E, come concluso anche dalla sentenza in commento, nessuna illegittimità, neppure derivata, dell'avviso di accertamento era quindi invocabile. Non derivata dall'utilizzo dell'Amministrazione Finanziaria italiana, in quanto, come visto, legittimo e corretto.

Non derivata dall'utilizzo dell'Amministrazione Finanziaria Francese, in quanto, come visto, legittimo e corretto e non integrante alcun reato. Derivata, forse, laddove il comportamento sarà accertato come reato con sentenza (di una giurisdizione straniera) passata in giudicato, dall'illecita acquisizione da parte del Sig. Herve Falciani?

Anche se fosse, staremmo parlando di illegittimità (potenzialmente) derivata di terzo grado.

E comunque, anche se qualche irregolarità fosse stata commessa nella procedura di acquisizione di detta documentazione, questo, come visto, non avrebbe alcuna influenza sull'utilizzabilità delle prove nel giudizio, dato che le stesse prove vanno valutate solo nella loro attendibilità.

In sostanza, il meccanismo presuntivo tratteggiato dal legislatore si presenta del resto in realtà assai semplice: l'Amministrazione finanziaria, che abbia intercettato presso una delle giurisdizioni black list consistenze patrimoniali riferibili ad un contribuente residente in Italia e dotate delle caratteristiche fissate ex lege, si trova, per ciò stesso, nelle condizioni di procedere immediatamente ad accertare, in capo al contribuente suddetto «redditi non dichiarati» di pari ammontare e a contestarne le relative sanzioni per l'omessa indicazione nel quadro RW.

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