Nelle locazioni di immobili ad uso non abitativo il versamento tardivo del canone non sana la morosità del conduttore

Luca Malfanti Colombo
Luca Malfanti Colombo
14 Gennaio 2022

La fattispecie sottoposta all'esame del giudice di merito aveva per oggetto la verifica della liceità della domanda, avanzata da parte attorea, di convalida di sfratto per morosità del conduttore e di contestuale emissione di ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile ex art. 665 c.p.c.; il tutto considerando che l'inquilino convenuto (pur trattandosi di locazione non abitativa, perciò estranea alla disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978) aveva comunque provveduto, successivamente alla notifica dell'intimazione di sfratto e davanti all'autorità giudiziaria, a versare al locatore non solo i canoni già scaduti (oggetto della detta intimazione), ma altresì quelli ancora in corso di scadenza.
Massima

In tema di locazione non abitativa, non è applicabile la disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, che prevede la concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti, sicché il versamento del canone, successivamente alla notifica di intimazione di sfratto, non vale a sanare l'inadempimento agli obblighi contrattuali da parte del conduttore. Quest'ultimo, per contro, in caso di previsione contrattuale di apposita clausola risolutiva espressa, dalla data della domanda di risoluzione che fosse eventualmente avanzata dal locatore (istanza che, di solito, coincide con quella già posta ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto) non può più adempiere ed il contratto di locazione deve intendersi perciò risolto ipso facto ai sensi dell'art. 1456 c.c.

Il caso

La controversia prendeva le mosse dall'azione, promossa dal locatore, volta ad ottenere ed a far dichiarare, a seguito di apposito atto di intimazione, la convalida di sfratto per morosità del conduttore e la contestuale emissione di ordinanza provvisoria di rilascio ai sensi dell'art. 665 c.p.c. Il tutto sulla base dell'inadempienza contrattuale dell'inquilino, che aveva omesso il pagamento di canoni di affitto ormai scaduti, nonché della conseguente inapplicabilità al caso di specie del disposto dell'art. 55 della l. n. 392/1978, trattandosi invero di locazione ad uso non abitativo. Il locatore proponeva, quindi, istanza citando in giudizio il conduttore, quale parte opposta, innanzi il Tribunale di Nocera Inferiore.

La questione

Si trattava, quindi, di stabilire la liceità del comportamento del conduttore quanto a modalità e termini di corresponsione di canoni locatizi ormai scaduti. Nello specifico, veniva demandato all'autorità giudiziaria di accertare se il pagamento dei predetti canoni, effettuato dal convenuto banco iudicis ben oltre il termine di relativa scadenza, potesse considerarsi come avente effetto sanante rispetto alla conclamata inadempienza previamente perpetrata dal medesimo soggetto. E ciò tanto da rendere contestualmente inoperativa l'istanza di risoluzione contrattuale nel frattempo avanzata dal locatore sulla base della clausola risolutiva espressa stabilita nell'atto di affitto. Istanza che coincide con quella già posta ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto effettuata dalla stessa parte attrice. Il tutto considerando che, trattandosi nel caso di specie di locazione a scopo non abitativo, non risultava comunque trovare applicazione l'art. 55 della l. n. 392/1978 con la relativa previsione circa la possibilità di concessione di un determinato arco temporale per la corresponsione di canoni locatizi scaduti.

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, il Tribunale di Nocera Inferiore aveva ritenuto fondata l'istanza presentata dal locatore - e, quindi, potersi dichiarare risolto il contratto per morosità del conduttore, con il conseguente rilascio dell'immobile da parte di quest'ultimo e il pagamento, fino a totale soddisfazione del credito, dei canoni sia scaduti che in corso di scadenza - in quanto era stata riscontrata l'intervenuta operatività della clausola risolutiva espressa (contrattualmente prevista e debitamente azionata dall'attore) di cui all'art. 1456 c.c.

Il giudice di merito, aderendo a prevalente giurisprudenza, aveva confermato in particolare che nelle locazioni di immobili diversi dalle abitazioni non può trovare applicazione l'art. 55 della l. n. 392/1978. E così anche la relativa previsione circa la concessione di un termine dilatorio per la corresponsione di canoni locatizi già scaduti. Il che significa che qualora questi dovessero essere offerti o pagati al locatore in un momento successivo al termine prestabilito - quale, ad esempio, quello della notifica dell'intimazione di sfratto - tale fatto non varrebbe tuttavia a sanare il previo inadempimento agli obblighi contrattuali da parte del conduttore moroso. Oltretutto, la tardiva corresponsione dei canoni scaduti, pur quanto effettuata ex post (o meglio, come nel caso di specie, banco iudicis), non inciderebbe qui negativamente neppure sulla validità ed efficacia della clausola risolutiva espressa che fosse altrimenti prevista nella tipologia contrattuale in oggetto. Il tutto con la conseguente possibilità, per il locatore, di procedere comunque alla sua attivazione anche in un giudizio a cognizione piena conseguente ad un eventuale intimazione di sfratto dal medesimo all'uopo richiesta. Tale clausola, infatti, attribuisce ai contraenti la facoltà di prevedere l'immediato scioglimento del rispettivo contratto qualora “una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove (rectius, in ogni momento in cui) il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, (oltretutto) senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte” (Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2014, n. 20854). Quindi, in caso di vertenza giudiziaria, nonostante l'offerta o il pagamento tardivo dei canoni scaduti non consenta al giudice “l'emissione (…) del provvedimento interinale di rilascio (…)” degli immobili de quibus “(…) per l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, comma 3, c.c.”, la costante operatività della summenzionata clausola comporta (se attivata dal locatore) che il conduttore (pur quanto non più in mora) non possa comunque essere ritenuto assolvente alla propria obbligazione pecuniaria e il contratto di affitto debba perciò considerarsi automaticamente risolto ai sensi e per gli effetti dell'art. 1456 c.c. In altre parole, secondo l'orientamento della prevalente giurisprudenza, qualora il locatore azioni la clausola risolutiva espressa (contrattualmente prevista) in ambito processuale, “(…) ai sensi dell'art. 1453, comma 2, c.c., (già) dalla data della domanda (risolutoria dallo stesso proposta) - che è quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto - il conduttore non può più adempiere” e la risoluzione del contratto avviene ipso iure (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13248).

In conclusione, nelle locazioni riguardanti immobili non abitativi, alcuna incidenza positiva ha la posticipata corresponsione dei canoni di affitto sulla stabilità del contratto. Questo per contro, in caso di previsione del ritardato pagamento del canone quale clausola risolutiva espressa, dovrà intendersi immediatamente risolto al solo verificarsi della detta situazione. Il tutto indipendentemente sia dalla tardiva offerta o pagamento del canone da parte del conduttore sia dall'arco temporale in cui il locatore decida di attivare la citata clausola nei confronti dell'inquilino moroso (come, ad esempio, nel corso di un giudizio). Ovviamente, fatte salve diverse intese che dovessero intercorrere nel frattempo tra le stesse parti contrattuali.

Da quanto sopra, emerge dunque che per l'organo giudicante il contratto di locazione oggetto della vertenza in commento doveva ritenersi risolto già dal momento della relativa istanza avanzata dal locatore a mezzo dell'intimazione di sfratto. La mancata puntuale corresponsione dei canoni da parte del conduttore (posta a fondamento della domanda risolutoria attorea) configurava invero, per espressa pattuizione contrattuale, un'ipotesi di inadempimento grave producente per ciò stessola risoluzione del contratto. Ipotesi che, proprio in quanto già prevista dalle parti nel contratto, non poteva certo divenire oggetto di ulteriore valutazione da parte dell'autorità giudiziaria. Del resto, come è stato sostenuto anche in ambito giurisprudenziale, “la pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell'inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti” (v., oltre alla sentenza in esame, Cass. civ., sez. VI/III, 12 novembre 2019, n. 29301). Il contratto di affitto prevedeva, quindi, una clausola risolutiva espressa, così detta in quanto collegante il proprio effetto risolutorio all'inadempimento di una particolare obbligazione (quale appunto quella del pagamento delle rate del canone). Il tutto in accordo, tra l'altro, con quanto sottolineato dalla stessa Suprema Corte, per cui, per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate. Oltretutto, trattandosi nel caso di specie di locazione ad uso non abitativo, il tardivo pagamento del canone di affitto implicava già di per sé (proprio per l'inapplicabilità del richiamato art. 55 della l. n. 392/1978) un inadempimento contrattuale impossibile da sanare. Un inadempimento che, come emerge dalla sentenza in commento, era stato tra l'altro ripetuto e protratto nel tempo dal convenuto tanto da presentare le caratteristiche della “non scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse (del locatore), ai sensi dell'art. 1455 c.c.”.

Il Tribunale di Nocera Inferiore - come più sopra anticipato - aveva poi condannato il convenuto al pagamento anche dei canoni locatizi in corso di scadenza. A tal proposito, il giudice di merito, aderendo a consolidata giurisprudenza, aveva ribadito che, “nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato ex art 665 c.p.c. determina la conclusione di un procedimento a carattere sommario e la instaurazione di uno nuovo e autonomo a cognizione piena, sicché è consentito al locatore domandare” la corresponsione dei canoni tanto pregressi quanto maturati dopo l'intimazione di sfratto per morosità (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2017, n. 7430).

Osservazioni

L'art. 55 della l.n. 392/1978 dispone circa il termine per il pagamento di canoni locatizi già scaduti. Esso invero stabilisce per il conduttore la concessione di una dilazione temporale (c.d. termine di grazia) al fine di sanare la morosità dallo stesso accumulata nella corresponsione, totale o parziale, del proprio canone di affitto. La norma in oggetto consente, in particolare, all'inquilino (qualora intimato comparso all'udienza stabilita per la convalida di sfratto) di sanare il ritardo collezionato nella corresponsione del proprio affitto alla prima udienza o, in caso il pagamento ivi non avvenga per comprovati impedimenti dello stesso conduttore, di risolvere la morosità entro il termine all'uopo assegnatogli dall'autorità giudiziaria. Il tutto al fine di evitare l'immediata risoluzione del contratto locativo da parte del locatore. L'obiettivo della disposizione normativa in commento è quello di garantire sempre maggior tutela giuridica al soggetto ritenuto più debole (i.e. l'inquilino) nell'ambito della materia locativa. E ciò introducendo oltretutto una deroga alla disciplina generale già fissata dall'art. 1453, comma 3, c.c. per cui, dalla data della domanda giudiziale di risoluzione del contratto, l'inadempiente non ha più possibilità di ottemperare alla propria obbligazione.

Nel caso di specie, tuttavia, alcuna particolare afferenza risulta rintracciabile fra la situazione in vertenza e la disciplina di cui al menzionato art. 55, trovando invero questa applicazione solo in caso di controversie inerenti locazioni di immobili ad uso abitativo (Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2014, n. 21836; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2009, n. 24223; Cass. civ., sez. civ., 28 aprile 1999 n. 272). L'esclusione del sopra descritto procedimento di sanatoria giudiziale (previsto dalla citata norma) dalle altre forme locatizie deve essere necessariamente ricercata nella prioritaria esigenza di assicurare “i soggetti che assumono in locazione un immobile per adibirlo ad abitazione principale, (e) dunque al soddisfacimento di primarie esigenze di vita (…)”. Come è stato infatti osservato dalla Suprema Corte, consentire ad un inquilino di immobili produttivi o commerciali “(…) comportamenti consistenti nel rinviare a piacimento il pagamento del canone (…), costringendo il locatore a reagire attraverso il processo per ottenere l'adempimento, non vale ad eliminare il contenzioso ma a favorirlo e può determinare conseguenze economiche di non indifferente rilievo” (Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, n. 12121). In conclusione, l'art. 55 della l. n. 392/1978 (in accordo con l'art. 5 stessa legge) permette sì all'inquilino di sanare la propria morosità ma solo con riferimento a canoni non pagati di locazioni abitative. La disposizione de qua non risulta perciò applicabile alle altre tipologie locative, le quali rimangono invece soggette ad una disciplina totalmente autonoma a cui “possono essere estese solo le norme sulle locazioni abitative espressamente richiamate, tra le quali non rientra quella dell'art. 55” citato (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1428; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2005, n. 9878; Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 1992, n. 2496). Nello specifico, nelle locazioni ad uso diverso dall'abitativo appare piuttosto operare l'assunto della non scarsa importanza fissato dall'art. 1455 c.c. Per cui, “in tale tipo di locazioni nulla impedisce (…) che il mancato pagamento del canone (…) possa, per il concorso di determinate circostanze, da apprezzare discrezionalmente dal giudice di merito, essere valutato ai sensi dell'art. 1455 c.c. come un inadempimento di scarsa importanza, (e) come tale non idoneo a provocare la risoluzione” del contratto locativo (Cass. civ., sez. III, 4 agosto 2000, n. 10239). La ratio dell'assunto in oggetto consiste nell'escludere che un inadempimento di minima importanza possa incidere nell'ambito dell'economia contrattuale tanto da essere impiegato quale pretesto, dalla parte che lo ha subìto (i.e. il locatore), di liberazione da un vincolo contrattuale ritenuto ormai non più conveniente. La non scarsa importanza costituisce, dunque, non solo una cautela a vantaggio dell'inadempiente al contratto rispetto ad abusi eventualmente perpetrati a suo danno a cura della controparte ma anche un elemento di concreta stabilità al rapporto contrattuale e ai relativi effetti, qualora tuttavia non siano le stesse parti a non volervi più adempiere in modo effettivamente rilevante.

La disposizione dell'art. 1455 c.c., tuttavia, non può trovare applicazione nella locazione di immobili non abitativi qualora, all'interno del contratto, sia già stato contemplato (come nella causa in trattazione) il mancato pagamento, totale o parziale, del canone di affitto quale inadempimento grave avente efficacia risolutoria dell'atto negoziale stesso. Ci si riferisce, invero, qui alla clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c., che consente agli interessati di stabilire l'immediata risoluzione del contratto, tra gli stessi stipulato, al mero verificarsi dell'inadempimento di una determinata obbligazione (i.e. la corresponsione del canone locativo) secondo le modalità e i termini prefissati. In tal caso, infatti, la rilevanza dell'inadempimento (sottratta alla valutazione dell'autorità giudiziaria, come invece richiede la sopracitata norma) viene stabilita direttamente dalle parti contrattuali, che optano apriori per la risoluzione stragiudiziale del contratto ancorandola al mero realizzarsi di uno o più inadempimenti tassativi entro un tempo (da ritenersi essenziale) all'uopo appositamente determinato. È, però, da notare che l'elemento rilevante ai fini dell'operatività della clausola in argomento consiste nella previsione, da parte di quest'ultima, di specifiche elencazioni cui riferire l'effetto risolutivo del contratto, non potendosi infatti attribuire validità ad una “generica elencazione e indicazione di tutte le obbligazioni scaturenti da tale contratto (…)”. Locatore e inquilino dovranno quindi preoccuparsi, preventivamente alla stipula dell'affitto, di valutare a fondo “(…) tutti quei comportamenti (…)”, come appunto il mancato pagamento del canone, “(…) che, patologicamente, potrebbero comportare la risoluzione del rapporto” (Putignano).

In conclusione, alla luce delle precedenti considerazioni, qualora all'interno di un contratto di locazione di immobili non abitativi dovesse essere previsto dalle parti, quale clausola risolutiva espressa, il mancato pagamento, anche solo parziale, del canone, non solo sarebbe inapplicabile (in caso di verificazione del medesimo) la disciplina di cui agli artt. 1455 c.c. e 55 della l. n. 392/1978, ma la gravità (rectius, importanza) del detto inadempimento rimarrebbe estranea alla valutazione del giudice. Questi, infatti, “non è tenuto ad effettuare alcuna indagine (…), giacché, avendo le parti preventivamente valutato che (…)” l'omessa o la tardiva corresponsione del canone “(…) comporta l'alterazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto, non vi è più spazio (…) per un diverso apprezzamento” (Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3343). A ciò è oltretutto da aggiungere che l'operatività della menzionata clausola, (lo si ripete) ove contrattualmente prevista, comporterebbe, in tal caso, anche l'immediata risoluzione del contratto di affitto, con la conseguente impossibilità, per la parte inadempiente, di sanare comunque la morosità accumulata in un qualsiasi termine posteriore (anche se assegnato dall'autorità giudiziaria) a quello già contrattualmente previsto. Nelle locazioni di immobili non abitativi (con clausola risolutiva espressa incorporata), resta perciò valido il combinato disposto degli artt. 1456 e 1453, comma 3, c.c. per cui (stante la verificazione dell'inadempimento contrattualmente previsto) dalla data della domanda giudiziale di risoluzione del contratto, l'inadempiente non ha più possibilità di assolvere a quanto richiestogli ed il contratto di affitto deve considerarsi perciò ipso facto risolto. È da notare che la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva è una manifestazione volontaria recettizia, che non opera automaticamente, ma solo nel momento in cui il contraente nel cui interesse è stata pattuita la detta clausola comunica alla controparte inadempiente l'intenzione di avvalersene. Infatti, “tale clausola non comporta l'automatica risoluzione dell'accordo al mero verificarsi dell'inadempimento da essa previsto, ma, fondandosi sulla libera volontà negoziale, lascia al creditore la scelta di avvalersi della medesima o meno, secondo quanto avviene per i diritti potestativi” (Zaccaria).

È, infine, da ricordare che, da una parte della dottrina, viene ritenuto comunque possibile l'inserimento, nel contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo, l'istituto della sanatoria della morosità (disciplinato dall'art. 55 l. n. 392/1978) per non più di tre volte, escludendo dunque l'incidenza delle “precarie condizioni economiche” del conduttore di cui al comma 4 stesso articolo (Giordano, Grasselli).

Riferimenti

Zaccaria, Art. 55 l. 392/1978, in Commentario breve alla disciplina delle locazioni immobiliari, Breviaria Iuris fondato da Cian e Trabucchi, Padova, 2021, 619;

Giordano, Sanatoria della morosità, in, De Stefano [et al.], Locazione immobiliare, 2019, 253;

Grasselli, Il rito prescelto e l'applicazione della sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, in, Condominioelocazione.it, 2018;

Putignano, Clausola risolutiva espressa e risoluzione del contratto di locazione immobiliare, in Contratti, 2016, fasc. 2, 113;

Magini - Zerauschek, La clausola risolutiva espressa nel contratto di locazione, in, Immob. & proprietà, 2016, fasc. 8-9, 519;

Cirla, La sanatoria della morosità nei contratti per l'uso diverso, in, Immob. & diritto, 2010, fasc. 7, 46.