Il controllo di legittimità della CGUE sul potere di emanare atti di esecuzione esplicativi dell'origine non preferenziale delle merci in dogana
07 Febbraio 2022
Massima
Con la sentenza del 20.5.2021 resa nella causa C-209/20, la Corte di Giustizia UE è intervenuta per chiarire i limiti del potere della Commissione UE nell'adozione di un atto di esecuzione (nel caso il Regolamento di esecuzione n. 1357/2013) finalizzato ad individuare i requisiti del concetto di “ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”, previsto dal CDU (art. 60 del Codice Doganale dell'Unione n. 952/13), teso a sua volta a rintracciare la cd “origine non preferenziale” di una merce ai fini doganali, ovvero il luogo “effettivo” (secondo i canoni del CDU) di produzione della merce e ciò per verificare l'eventuale ricorrenza ed applicabilità di “misure tariffarie” in dogana (dazi antidumping e compensativi) qualora i beni siano originari di paesi o territori diversi rispetto a quelli indicati nella dichiarazione doganale dall'operatore. Il caso
Il caso origina dall'importazione nel territorio UK di una partita di pannelli solari originari e provenienti dell'India, Stato nel quale si era proceduto all'assemblaggio delle celle solari che erano state prodotte in Cina. La società importatrice sosteneva che, ai fini dell'origine “non preferenziale”, i beni fossero originari del primo Stato e non già del secondo, contestando la legittimità del Reg. di esec. della Commissione UE 1357/2013 che aveva istituito dazi antidumping e compensativi definitivi su dette importazioni in UE. Le Dogane UK, con provvedimento del 28.12.2016, in applicazione del Reg. di esec. da ultimo citato, stabilivano che i moduli solari importati erano originari della Cina e non già dell'India con conseguente assoggettamento ai dazi antidumping e compensativi definitivi. Il giudice inglese ha rinviato alla Corte UE per chiedere di accertare la legittimità, sub specie di compatibilità, del Reg. di esec. 1357/2013, nella parte in cui prevede che i moduli solari alla cui produzione hanno contribuito più paesi devono essere considerati originari del paese da cui provengono le celle solari che li compongono, rispetto all'art. 24 del CDC - Codice Doganale Comunitario - n. 2913/92 vigente rationae temporis (attuale art. 60 del CDU), in base al quale “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione” (negli stessi termini anche l'art. 60 del CDU). La questione
Il quadro giuridico che sottende e precede l'intera vicenda processuale ci dice che la Commissione UE adottava il Reg. n. 513/2013, istitutivo di un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Cina. Il Consiglio dell'Unione europea istituiva, successivamente, un dazio antidumping definitivo ed un dazio compensativo definitivo sulle importazioni da ultimo indicate, rispettivamente con Reg. di esec. 1238/2013 e Reg. di esec. n. 1239/2013. A seguito di svariati ricorsi di annullamento proposti dinanzi al Tribunale dell'Unione europea avverso tali Reg. di esec., la Corte di Giustizia UE (sentenza del 27.3.2019C‑236/17) riconosceva la legittimità degli atti del legislatore unionale, il quale aveva legittimamente “attuato misure di difesa commerciale costituenti «un insieme o pacchetto» diretto a conseguire un risultato comune consistente nell'eliminare l'effetto pregiudizievole, sull'industria dell'Unione, del dumping cinese relativo ai moduli solari ed alle celle solari”. Con l'adozione del Reg. di esec. n. 1357/2013 del 17.12.2013, la Commissione UE completava detto “pacchetto” al fine di “precisare l'origine delle celle, dei moduli e dei pannelli solari alla cui produzione contribuiscono più paesi terzi”, con conseguente “assoggettamento dei moduli e dei pannelli solari prodotti in paesi terzi diversi dalla Cina, a partire da celle solari fabbricate in Cina, ai dazi antidumping ed ai dazi compensativi istituiti, rispettivamente, dal Reg. di esec. 1238/2013 e dal Reg. di esec.1239/2013”.
La soluzione giuridica
La lettura della Corte UE Al punto n. 29 della sentenza in commento la Corte riferisce che la Commissione, per giustificare e ricollegare l'origine dei pannelli solari allo Stato di produzione delle celle solari, enuncia (considerando 6 e 7 Reg. di es. 1357/2013) che la trasformazione delle placchette di silicio in celle solari costituisce la fase «decisiva» e «la più importante» del processo di produzione dei moduli e dei pannelli solari, in quanto consente di ottenere prodotti configurati «in via definitiva» nella loro destinazione d'uso e dotati di «qualità specifiche», di modo che tale fase deve essere qualificata come ultima trasformazione sostanziale. In tal modo la Commissione pone per così dire in “secondo piano” due ulteriori fasi di lavorazione del modulo solare, una fase precedente, costituita dalla produzione delle placchette di silicio, ed una successiva alla realizzazione delle celle solari, costituita dall'assemblaggio di queste in moduli o pannelli solari, non ritenendo che le medesime possano costituire la c.d. ultima lavorazione sostanziale. Al fine quindi di verificare la correttezza del Reg. di esec. della Commissione, la Corte ripercorre la propria precedente giurisprudenza relativa all'interpretazione degli artt. 247 e 247-bis del CDC (v. attuali artt. 284 e 285 del CDU), per effetto dei quali la prima, assistita dal Comitato del Codice Doganale, è autorizzata (v. C-48/98 p. 35 e C-447/05 p. 23) a prendere tutte le misure necessarie o utili per l'attuazione del Codice doganale in uno all'adozione di atti di esecuzione finalizzati a precisare, per quel che qui riguarda, “il modo in cui i criteri astratti enunciati all'art. 24 del CDC (ora art. 60 del CDU) devono essere interpretati ed applicati in situazioni concrete” (v. sentenze C-162/82 punto 17, C-447/05 punto 25, C‑372/06 punto 35 e C‑661/15 punti 44 e 45). Emerge altresì, dalla giurisprudenza della Corte, che il potere di delega del Consiglio, il quale fissa nel Regolamento la disciplina base essenziale della materia in esso contenuta, può consistere anche nel consentire alla Commissione di adottare le modalità di attuazione della norma base “senza dover precisare gli elementi essenziali delle competenze delegate”, non ostando alla legittimità della delega una disposizione redatta in termini generici (C-48/98 p. 34). La Corte di giustizia riferisce che la Commissione, in merito alla specificazione del concetto di lavorazione o trasformazione sostanziale, “dispone di un margine discrezionale che le consente di precisare le nozioni astratte di questa disposizione in considerazione delle peculiarità delle trasformazioni o delle lavorazioni specifiche” (v. C-372/06 al punto 35). Ai punti 34 e ss. della sentenza in commento, la Corte prosegue in argomento specificando che il potere della Commissione è però soggetto a determinati limiti, nella misura in cui gli atti da quest'ultima adottati siano giustificati da obiettivi quali la garanzia della certezza del diritto e dell'applicazione uniforme della normativa doganale dell'UE (v. C‑447/05 p. 36 e 39 e C‑372/06 p. 45 e 48), non si pongano altresì in contrasto con la disciplina del Codice o con le norme d'attuazione stabilite dal Consiglio (v. C-121/83 punto 13; C-478/93 punto 31, C-9/95 punto 37, C-48/98 punto 36), non essendo concesso alla Commissione “di andare al di là dei poteri a questa conferiti dal Consiglio” (C-162/82 punto 15; v. anche C-34/78 e C-114/78) e, inoltre, tali atti siano motivati “in modo da consentire ai giudici dell'UE, investiti della questione, di controllarne la legittimità, nell'ambito di un ricorso diretto, o di valutarne la validità, nell'ambito di un rinvio pregiudiziale” (v. 162/82 punti 20 e 21 e C‑372/06 punto 44). La Corte si dedica qui ad accertare se la Commissione, nell'emanazione del Reg. di esec. 1357/2013, sia incorsa in un errore manifesto di valutazione nel procedere a tale attuazione, tenuto conto della situazione di fatto concreta (v. C‑447/05 p. 45), esaminando altresì gli obiettivi perseguiti e l'obbligo di motivazione insito del Reg. di esec., oltre a stabilire se le valutazioni della Commissione in merito alla determinazione del paese di origine siano viziate da un errore di diritto o da un errore manifesto di valutazione in relazione all'art. 24 del CDC (art. 60 CDU). La CGUE ribadisce quindi che il criterio primario per l'individuazione dell'origine delle merci va comunque determinato in funzione del principale parametro discriminante, costituito “dall'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale” delle medesime (fuori dei casi di merci ottenute interamente in un unico paese o territorio - art. 60 par. 1 CDU), declinabile nei suoi “tre stadi” del processo di produzione, nel corso del quale tali merci acquisiscono la loro destinazione d'uso, le loro proprietà e composizioni specifiche, non possedute in precedenza e per le quali non sono previste modifiche qualitative importanti in futuro (v. C-26/88 p. 19, 22 e 25 e C‑372/06 p. 36). Così, ad esempio, nel precedente C-162/82, la Corte afferma (richiamando C-49/76 che fa da apripista nella materia in commento) che ai fini della corretta individuazione dell'origine delle merci non ci si può limitare a ricercare i suoi criteri di determinazione con un semplice riferimento alla classificazione doganale dei prodotti trasformati, dal momento che “la Tariffa doganale comune è stata concepita in funzione di esigenze specifiche, non già al fine di consentire la determinazione dell'origine delle merci”. La corretta individuazione dell'origine va quindi rintracciata “in base ad una distinzione oggettiva e concreta fra prodotto base e prodotto trasformato, tenendo conto in sostanza delle caratteristiche specifiche di ciascuno dei suddetti prodotti”, da questi non posseduti prima di essere sottoposti a tale trasformazione o lavorazione, con esclusione di tutte quelle operazioni che si limitano a modificare l'aspetto esteriore del prodotto ai fini della sua successiva utilizzazione (es. le operazioni minime di cui all'art. 34 del Reg. Del. 2446/2015), lasciandone sostanzialmente inalterate, sotto il profilo qualitativo, le caratteristiche essenziali (v. C-49/76 p. 6). La Corte UE conclude per la conformità del Reg. di esec. rispetto all'art. 24 del CDC sia per aver fornito la Commissione una “motivazione che dà sufficientemente conto del ragionamento da questa svolto”, onde garantire la corretta ed uniforme applicazione dei dazi antidumping e dei dazi compensativi istituiti dall'UE, in ordine all'applicazione del criterio normativo principale della trasformazione/lavorazione sostanziale legato, nell'intenzione della Corte, alla trasformazione delle placchette di silicio in celle solari quale “fase decisiva e più importante” del processo di produzione dei pannelli solari, rispetto al “semplice” assemblaggio, sia per non essere incorsa la Commissione in un errore di diritto facendo ricorso ad un criterio diverso da quello previsto da tale articolo. La Commissione, quindi, ha legittimamente considerato che la trasformazione delle placchette di silicio in celle solari rivestisse un'importanza al contempo sostanziale e superiore rispetto ai miglioramenti apportati nella fase successiva di detto processo di produzione, nel corso della quale viene assemblato un numero più o meno elevato di celle solari in seno a moduli o a pannelli solari. Preme qui riferire, per inciso, che in tema di assemblaggio (che rientra tra le operazioni “minime” irrilevanti ai fini dell'attribuzione dell'origine ai sensi dell'art. 34 lett. f) Reg. Del. 2446/2015), quale processo produttivo potenzialmente molto complesso in sé e con riflessi anche ai fini dell'individuazione dell'origine, la Corte, correttamente, ha anche affermato che tale operazione “è idonea ad essere considerata come conferente l'origineallorché rappresenta, sotto un profilo tecnico e rispetto alla definizione della merce in questione, lo stadio produttivo determinante durante il quale si concretizza la destinazione dei componenti utilizzati e nel corso del quale sono conferite alla merce in questione le sue proprietà qualitative specifiche”. La Commissione, quindi, è tenuta a considerare la complessità dei processi produttivi, la loro varietà, lo stato attuale della tecnica industriale nonché il “tempo della situazione complessiva di un settore industriale”, sul quale può influire la situazione particolare, in un determinato momento, di altre imprese del settore. In altre parole occorre valutare “la grande varietà di operazioni che rientrano nella nozione di montaggio nel complesso del settore industriale di cui trattasi” (C-447/05 p. 36 e ss. e C-260/08; v. al riguardo anche M. Scuffi e F. Vismara, Il Codice Doganale dell'Unione, Milano, 2021, pag. 182).
Origine preferenziale e non preferenziale delle merci in sede di dichiarazione doganale L'Origine rappresenta, insieme alla Classificazione ed al Valore, uno dei tre elementi fondamentali ai fini del calcolo dell'imposizione daziaria delle merci in dogana (da cui va tenuta debitamente distinta la “provenienza” delle merci in quanto semplice espressione del luogo/paese di spedizione delle stesse), le cui “regole” sono necessarie per individuare il luogo di origine di produzione delle merci al fine di applicare, in sede di importazione, misure daziarie (dazi pieni o agevolati) piuttosto che di politica commerciale (dazi antidumping o compensativi) piuttosto ancora che consentire al consumatore finale di individuare lo Stato di produzione del bene (Made in). L'origine non preferenziale è strettamente legata al concetto basilare del prodotto “interamente ottenuto”, concetto espresso dall'art. 60 par. 1 del CDU (ad es. gli animali vivi, i prodotti minerali o i prodotti del regno vegetale, etc.), dal quale si distingue l'ipotesi “sussidiaria”, prevista dal par. 2 dell'art. 60 del CDU, in cui alla realizzazione del bene hanno partecipato due o più paesi o territori, nel qual caso viene in rilievo il criterio “dell'ultima lavorazione o trasformazione sostanziale economicamente giustificata, effettuata presso un'impresa attrezzata a tale scopo, che ha portato alla creazione di un prodotto nuovo o che ha rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”, la cui finalità, come correttamente osservato (F. Vismara in L'obbligazione doganale nel diritto dell'Unione europea, Torino, 2020, pag. 64), è quella di contrastare l'utilizzo in chiave abusiva di lavorazioni o trasformazioni nella sostanza solo apparenti o che non trovano giustificazione sul piano economico, finalizzate altresì a creare l'apparenza di un'origine non preferenziale non corrispondente alla realtà (v. l'art. 33 del Reg. Del. 2446/2015 ed il suo Allegato 22-01). Le regole sull'origine non preferenziale, di valenza commerciale oltre che doganale, applicate alle merci dichiarate per l'immissione in libera pratica nell'UE per l'applicazione della tariffa doganale comune, si riferiscono a quei beni originari di Stati con i quali l'UE non ha concluso accordi commerciali specifici e sono funzionali all'applicazione (v. al riguardo anche le Linee guida in materia di regole sull'origine non preferenziale della DG TAXUD della Commissione europea del 2018 - non aventi valore giuridico) sia delle misure tariffarie della Tariffa doganale UE, quali i dazi autonomi o convenzionali, dazi antidumping o compensativi (art. VI del GATT 1994), sia delle misure non tariffarie di politica commerciale (non preferenziali) quali ad esempio le restrizioni quantitative ed i contingenti tariffari (art. XIX del Gatt 1994), le misure di salvaguardia e gli embarghi commerciali, le statistiche commerciali, sia anche ai fini dell'applicazione delle norme relative all'etichettatura d'origine delle merci (c.d. “Made in”). Ove richiesto dall'operatore in fase di esportazione dall'Italia, la prova dell'origine non preferenziale viene fornita dalla Camera di Commercio. Per individuare l'origine non preferenziale, nelle ipotesi di due o più paesi coinvolti nella fabbricazione del prodotto di cui al par. 2 dell'art. 60 del CDU, sulla cui condivisione di regole comuni a livello internazionale si continua a discutere in sede WTO, occorre riferirsi al contenuto dell'All. 22-01 al Reg. Del. 2446/2015 (che contiene le note introduttive e l'elenco delle operazioni di lavorazione o trasformazione che conferiscono un'origine non preferenziale per i soli prodotti indicati in tale allegato), richiamato espressamente dall'art. 32 del Reg. Del. 2446/2015, secondo cui “Si considera che le merci di cui all'allegato 22-01 abbiano subito l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, che ha come risultato la fabbricazione di un prodotto nuovo o che rappresenta una fase importante della fabbricazione, nel paese o territorio in cui le norme contenute in tale allegato sono soddisfatte o che è identificato da tali norme”. L'All. 22-01 contiene due tipi di regole, quelle primarie e quelle residuali, la cui applicazione pratica viene fornita dalle note introduttive di detto allegato. Tra le regole primarie per i prodotti inclusi nell'allegato vi sono quelle che identificano direttamente il paese d'origine e quelle che conferiscono l'origine dell'ultimo paese di produzione, tra le quali coesistono tre tipi di norme relative, rispettivamente, al cambio di voce o sottovoce tariffaria, al criterio del trattamento specifico ed infine al criterio relativo al valore aggiunto (criteri indicati dalla Convenzione di Kyoto del 1973 rivista nel 1999; v. al riguardo anche le Linee guida in materia di regole sull'origine non preferenziale della DG TAXUD 2018 nonché l'Origin Compendium 2017 della WCO in tema di ROO - rules of origin). Qualora, infine, una regola primaria non abbia consentito di determinare l'origine non preferenziale delle merci, o se la trasformazione effettuata non è economicamente giustificata (art. 33 del Reg. del. 2446/2015), o se l'operazione effettuata non va oltre le operazioni minime di cui all'articolo 34 del Regolamento citato, si applicano le regole residuali. Dalle regole di individuazione dell'origine non preferenziale, qui brevemente trattata, vanno tenute distinte le regole di origine preferenziale, individuate principalmente negli accordi commerciali sottoscritti dall'UE con paesi terzi, le quali trovano una loro collocazione “di principio” nel CDU (art. 64) il quale testualmente rinvia, per un'applicazione “specifica” delle regole in questione, ai singoli accordi commerciali, disponendo che “Per le merci che beneficiano di misure preferenziali contenute in accordi che l'Unione ha concluso con alcuni paesi o territori non facenti parte del suo territorio doganale o con gruppi di tali paesi o territori, le norme sull'origine preferenziale sono stabilite da tali accordi. … Tali norme sono basate sul criterio secondo cui le merci sono interamente ottenute o sul criterio secondo cui le merci risultano da sufficiente lavorazione o trasformazione”. Come correttamente riferito (P. Bellante in Il Sistema Doganale, Torino, 2020, p. 607), le regole per l'attribuzione dell'origine preferenziale individuano i criteri che consentono di concedere trattamenti tariffari più favorevoli (riduzione o esenzione daziaria) rispetto ai trattamenti previsti nella tariffa doganale applicabile in un dato territorio e ciò in deroga alla clausola della nazione più favorita (MFN clause) di cui all'art. I GATT 1994. Similmente a quanto previsto nel caso dell'origine non preferenziale, anche qui è prevista come regola principale quella dell'”interamente ottenuto” della merce, a cui si affianca quella relativa alla merce alla cui produzione abbiano contribuito due o più paesi, ciò al fine dell'individuazione del trattamento daziario più favorevole (dazio ridotto o nullo), con la differenza che qui, nel caso di prodotto non interamente ottenuto in un solo paese, è richiesto che la lavorazione o trasformazione sia sufficiente, non già sostanziale. Qui l'origine è condizionata dalla destinazione finale della merce in quanto strettamente legata alle regole rinvenienti in accordi commerciali bilaterali o multilaterali stipulati tra l'UE e i paesi terzi; in caso di richiesta dell'operatore in sede di export, la prova dell'origine preferenziale che accompagna la merce viene rilasciata dall'autorità doganale, in assenza di un autonomo potere in tal senso da parte dell'esportatore.
Si aggiunga che la dichiarazione di origine può essere redatta direttamente:
Aspetti sanzionatori dell'errata qualificazione in Dogana in tema di Origine Brevemente si riferisce che sono di rilievo, dal punto di vista sanzionatorio, le conseguenze relative all'errata indicazione in dogana dell'Origine delle merci (analogo discorso è sviluppabile anche in tema di Classificazione e Valore), in relazione ad una dichiarazione in linea di dogana da cui emerga un dazio inferiore a quello “reale” dovuto, ciò anche a seguito dell'entrata in vigore, dal 30 luglio 2020, del D.Lgs. n. 75/2020 in materia di lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'UE, di recepimento della Direttiva n. 1371/2017 (c.d. Dir. PIF - Protezione Interessi Finanziari), con il quale, per quel che qui interessa, sono state inasprite le pene per i delitti di contrabbando aggravato (modifiche all'art. 295 del TULD), sono stati “ricriminalizzati” i reati di contrabbando semplice (artt. da 282 a 294 del TULD, depenalizzati con l'art. 1 d.lgs. 8/2016) qualora i diritti di confine dovuti siano superiori alla soglia di 10 mila euro, e sono stati inclusi i reati doganali (tra cui il contrabbando) tra i reati presupposto del d.lgs. 231/2001 ai fini della responsabilità delle persone giuridiche.
Osservazioni
La disciplina delle violazioni doganali va letta in maniera coordinata con le norme in materia previste dal Testo unico delle leggi doganali d.P.R. 43/1973 (TULD), dal d.lgs 472/1997, dall'art. 70 del d.P.R. 633/1972 e dall'art. 7 del d.lgs. 471/1997 in tema di esportazione, nonché con la disciplina sanzionatoria in tema di accise contenuta nel TUA (Testo Unico Accise d.lgs. 504/1995). Se l'ammontare dei diritti di confine dovuti risulta superiore a 100.000 euro, è prevista la pena della reclusione da 3 a 5 anni, in aggiunta alla multa prevista per le singole fattispecie; nel caso in cui sia superiore a 50.000 euro (ma inferiore a 100.000 euro) alla multa è aggiunta la reclusione fino a tre anni. Si riferisce, infine, dell'inserimento dell'art. 25-sexiesdecies nel D.Lgs. n. 231/2001, mediante il quale sono stati inclusi i reati doganali tra quelli che danno luogo alla responsabilità amministrativa dell'ente, mediante la previsione della sanzione pecuniaria fino a 200 quote (una quota va da 258 euro a 1.549 euro) in caso di commissione dei reati previsti dal TULD (se i diritti di confine dovuti superano i 100.000 euro la sanzione può raggiungere le 400 quote), con l'aggiunta delle sanzioni interdittive per l'ente quali il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi ed infine il divieto di pubblicizzare beni o servizi. |