Sarà il giudice a dover rimediare alla violazione del bis in idem in materia fiscale

Ciro Santoriello
21 Febbraio 2022

Con riferimento ai rapporti tra il reato di dichiarazione infedele di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, e gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. n. 471/1997, non ricorre la violazione del divieto di bis in idem nei casi di litispendenza, quando cioè una medesima persona sia perseguita o sottoposta contemporaneamente a più procedimenti per il medesimo fatto storico e per l'applicazione di sanzioni formalmente o sostanzialmente penali...
Massima

Con riferimento ai rapporti tra il reato di dichiarazione infedele di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, e gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. n. 471/1997, non ricorre la violazione del divieto di bis in idem nei casi di litispendenza, quando cioè una medesima persona sia perseguita o sottoposta contemporaneamente a più procedimenti per il medesimo fatto storico e per l'applicazione di sanzioni formalmente o sostanzialmente penali, oppure quando tra i procedimenti vi sia una stretta connessione sostanziale e procedurale. Tuttavia, in questi casi deve essere garantito un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima così da evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata, applicando, quando la seconda sanzione sia applicata dal giudice penale e sempre che se la sanzione amministrativa non sia stata precedentemente pagata da persona diversa dal reo, il criterio di ragguaglio previsto dall'art. 135 cod. pen.

Il caso

In un procedimento per il delitto di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 d.lgs. n. 74/2000, la difesa deduceva la violazione dell'art. 649 c.p.p. e del divieto di bis in idem giacché nella pendenza del procedimento penale era intervenuta sentenza della locale Commissione Tributaria Regionale che aveva definitamente confermato la legittimità dell'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione i redditi non dichiarati ed ha applicato sanzioni pari ad euro 654.126,00, oltre l'aggio riconosciuto all'agente della riscossione (euro 110.561,97), per un totale di euro 1.492.586,63.

La Corte di appello, sollecitata sul punto, aveva escluso la violazione del divieto del bis in idem con motivazione palesemente contraddittoria e senza alcuna verifica sulla complessiva proporzionalità della sanzione, verifica che si rendeva vieppiù necessaria se si considera che la sola somma irrogata a titolo di sanzione, applicando i criteri di calcolo indicati dall'art. 135 c.p., corrisponde a circa sette anni di reclusione.

La questione

La decisione in commento si comprende alla luce di diverse decisioni rispettivamente della Corte europea dei diritti dell'Uomo, della nostra Corte Costituzionale ed infine della Corte di Giustizia UE*.

Iniziando dalla Corte Edu, va richiamata la sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia nella quale – superandosi la più severa impostazione precedente - si affermò che gli Stati possono legittimamente scegliere «risposte giuridiche complementari di fronte ad alcuni comportamenti socialmente inaccettabili» attraverso procedure diverse che formino «un insieme coerente in maniera tale da trattare sotto i suoi diversi aspetti il problema sociale in questione» e a condizione che «tali risposte giuridiche combinate non rappresentino un onere eccessivo» per la persona interessata: in sostanza, mentre in precedenza la giurisprudenza europea sembrava negare ogni possibilità di una duplicità di sanzioni penali per il medesimo fatto, dopo la sentenza del 15 novembre 2016 la Corte europea ha ammesso la doppia incriminazione quando tale scelta del legislatore sia il frutto di «un sistema integrato che permette di reprimere un illecito sotto i suoi vari aspetti in maniera prevedibile e proporzionata e che forma un insieme coerente, in modo tale da non causare alcuna ingiustizia all'interessato» (su tale decisione, Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio. Viganò, Una nuova sentenza di Strasburgo su ne bis in idem e reati tributari, tutti in www.dirittopenalecontemporaneo; BONTEMPELLI, Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee (fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale), in Arch. Pen., 2015, 118).

A questo orientamento si è prontamente adeguata la nostra Corte Costituzionale con la sentenza n. 43 del 2018 (su cui si veda, GALLUCCIO, Ne bis in idem e reati tributari: la Consulta restituisce gli atti al giudice a quo perché tenga conto del mutamento giurisprudenziale intervenuto con la sentenza A. e B. c. Norvegia, in www.dirittopenalecontemporaneo.it), nella quale si evidenzia come il ne bis in idem convenzionale ha cessato di essere una regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento del singolo giudice in ordine al nesso che lega i procedimenti, perché in presenza di una significativa connessione fra il giudizio amministrativo e quello penale è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell'altro. Inoltre la Corte ha sostenuto che criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata: se la prima sanzione è ritenuta modesta sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del predetto legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere all'applicazione di una sanzione che nella sua totalità non risulti sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante.

Questo ridimensionamento della rilevanza del principio del bis in idem è proseguito poi con tre successive decisioni della Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea del 20 marzo 2018 (in proposito, Galluccio, La Grande Sezione della Corte di Giustizia si pronuncia sulle attese questioni pregiudiziali in materia di bis in idem, tutti in www.dirittopenalecontemporaneo.it) in cui viene ribadita la necessaria base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio e, segnatamente, la previsione dello stesso attraverso norme chiare e precise che consentano al singolo di prevedere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni; in secondo luogo è richiamata la necessaria complementarietà finalistica del cumulo sanzionatorio giacché un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato allorché detti procedimenti e dette sanzioni riguardino, in vista della realizzazione di un obiettivo di interesse generale, scopi complementari vertenti, eventualmente, su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata, circostanza che spetta al giudice verificare; infine, è necessario che gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo dei procedimenti siano limitati a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l'obiettivo di interesse generale richiamato e le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. In particolare, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che è consentito agli Stati membri prevedere un cumulo sanzionatorio, ma «nel caso in cui sia stata pronunciata una condanna penale… al termine di un procedimento penale, la celebrazione del procedimento riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccede quanto è strettamente necessario, qualora tale condanna penale sia idonea a reprimere l'infrazione commessa in modo efficace, proporzionato e dissuasivo».

* Più in generale, sulla tematica del ne bis in idem, con specifico riferimento all'ambito tributario, senza pretesa di completezza, DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: una questione ormai ineludibile, in www.penalecontemporaneo.it; ID., Ne bis in idem in materia tributaria: prove di dialogo fra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali, ivi; FLICK- NAPOLEONI, Ad un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in idem all'e pluribus unum?, in Riv. Soc., 2015, 8678; GALANTINI, Il principio del ne bis in idem fra doppio processo e doppia sanzione, in Giur. It., 2015, 216; SCAROINA, Costi e benefici del dialogo fra cortei in materia penale. La giurisprudenza nazionale in cammino dopo la sentenza Grande Stevens fra disorientamento e riscoperta dei diritti fondamentali, in Cass. Pen., 2015, 571; FADALTI, Ne bis in idem e reati tributari, in Riv. Pen., 2015, 1084; MAZZA, L'impossibile convivenza fra ne bis in idem europeo e doppio binario sanzionatorio per i reati tributari, in Rassegna. Trib., 2015, 1033; PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. Pen. Proc., 2016, 14.

La soluzione giuridica

Il ricorso è stato dichiarato fondato.

Dopo aver esclusa l'operatività dell'art. 19, d.lgs. n. 74/2000 in relazione al delitto di dichiarazione infedele ed alle violazioni tributarie di cui agli artt. 1, comma 2 e 5, comma 4, d.lgs. n. 471/1997, stante le differenze strutturali fra le varie contestazioni in tema di elemento soggettivo, di entità dell'imposta evasa ecc., la Cassazione riconosce comunque che in presenza di una tale duplice contestazione possa riscontrarsi una violazione del divieto del bis in idem, essendo il fatto addebitato lo stesso sul piano sostanziale/naturalistico anche se viola due disposizioni tra loro diversamente sanzionate.

Nel giustificare quest'ultima affermazione, la Corte di legittimità innanzitutto ribadisce che, ai fini dell'osservanza del principio in questione, ciò che rileva è l'identità dei fatti materiali di cui si discute - dovendosi intendere per fatto «l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale» - e non la loro qualificazione giuridica: solo assumendo questa impostazione consente all'autore del reato, una volta condannato o assolto, di non temere ulteriori procedimenti penali per la medesima condotta o il medesimo fatto (Cass., sez. un., 28 giugno 2005, n. 34655; Cass., sez. VII, 20 gennaio 2021, n. 42994). D'altronde, in questo senso si è espressa la stessa Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649, c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale (Corte Cost., n. 200/2016, secondo cui “solo un giudizio obiettivo sulla medesimezza dell'accadimento storico scongiura il rischio che la proliferazione delle figure di reato, alle quali in astratto si potrebbe ricondurre lo stesso fatto, offra l'occasione per iniziative punitive, se non pretestuose, comunque tali da porre perennemente in soggezione l'individuo di fronte a una tra le più penetranti e invasive manifestazioni del potere sovrano dello Stato-apparato”).

In secondo luogo, la Cassazione afferma che il diritto di non essere punito due volte (e quindi il divieto di ne bis in idem) si estende a quello di non essere perseguito o giudicato due volte (Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, §§ 110-111), sempre che però sia intervenuta una sentenza di condanna. In sostanza, divenuta irrevocabile una pronuncia di condanna, il soggetto non può essere (non solo punito, ma anche semplicemente) processato nuovamente per lo stesso fatto, mentre il divieto del bis in idem non si applica ai casi di litispendenza, quando cioè una medesima persona sia perseguita o sottoposta contemporaneamente a più procedimenti penali per il medesimo fatto (Corte EDU, Sez. I, 3 ottobre 2002, caso Zigarella c. Italia) e d'altronde la Convenzione EDU non proibisce che per un medesimo fatto, qualificabile come reato secondo i propri canoni, vengano instaurati processi diversi, contemporaneamente o successivamente definiti con sentenza; da questo punto di vista gli Stati possono legittimamente adottare risposte complementari per sanzionare il medesimo fatto (convenzionalmente definibile come reato) attraverso procedimenti che, formando un insieme coerente, diano una risposta a tutti gli aspetti del problema, purché ciò non si traduca in un onere eccessivo per l'individuo interessato.

In terzo luogo, la sentenza in commento, posto che il problema del ne bis in idem si pone solo con riferimento a procedimenti aventi natura "penale", ricorda, ribadendo principi ormai indiscussi, che non è sufficiente la qualificazione formale del fatto-reato data dall'ordinamento interno dovendosi aver riguardo criteri elaborati dalla Corte EDU in sede di interpretazione della parola "reato" contenuta negli artt. 6 e 7 della Convenzione, in particolare ai cd. "Engel criteria" e cioè

  1. la qualificazione dell'illecito in base all'ordinamento interno;
  2. la natura in sé dell'offesa;
  3. il grado e la severità della sanzione prevista (Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, caso Engel ed altri c. Paesi Bassi, § 82), per cui anche le sanzioni amministrative previste per il mancato pagamento delle tasse possono avere natura sostanzialmente penale quando abbiano un'evidente componente dissuasiva (in sede di previsione astratta) e afflittiva (in sede concretamente applicativa), non essendo finalizzata al risarcimento/indennizzo del danno cagionato dal contribuente.

Infine, avviandosi verso la conclusione del proprio ragionamento, la Cassazione, pur avendo in precedenza escluso che la semplice litispendenza di due procedimenti nei confronti del medesimo soggetto cui viene contestato il medesimo fatto storico, riconosce che può parlarsi di violazione del divieto di bis in idem quando vi sia una discontinuità fra i due procedimenti di cui si discute ovvero quanto fra gli stessi manchi una stretta connessione sostanziale e temporale.

Il concetto di "stretta connessione sostanziale e temporale" tra procedimenti è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui è onere dello Stato dimostrare, in modo convincente, l'esistenza di tale connessione. Quando si discuta della “connessione sostanziale” occorre considerare vari fattori tra i quali (congiuntamente):

a) il perseguimento di finalità complementari e la valutazione, non solo in astratto ma anche in concreto, dei diversi aspetti della condotta illecita oggetto di scrutinio;

b) la prevedibilità che la medesima condotta dia origine, sia giuridicamente che di fatto, a due diversi procedimenti;

c) la minimizzazione del rischio, per quanto possibile, di duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, in particolare attraverso un'adeguata interazione tra le varie autorità competenti per determinare che l'accertamento dei fatti in uno dei due procedimenti venga utilizzato anche nell'altro;

d) l'esistenza di un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima così da evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata. Nell'ambito della giurisprudenza nazionale, invece, si è ritenuto sussistere la connessione in parola quando il provvedimento amministrativo viene adottato ex lege, in conseguenza della condanna penale, senza una apprezzabile soluzione di continuità, sulla base degli stessi fatti così come accertati in sede penale, quando cioè presupposto e condizione per l'adozione del provvedimento amministrativo sia esclusivamente la condanna inflitta in quella sede.

Relativamente alla “connessione temporale”, invece, pur non essendo necessario che i due procedimenti debbano essere condotti simultaneamente dall'inizio alla fine, occorre però che la vicinanza fra gli stessi sia comunque tale a non provocare alla persona interessata un pregiudizio sproporzionato, tutelandolo dall'incertezza e dai ritardi e dall'eccessivo protrarsi del procedimento nel tempo.

Sulla base di questi principi, la Corte decide la censura formulata dalla difesa osservando che nel caso di specie si è in presenza di una, iniziale, litispendenza fra i procedimenti amministrativi e penali (essendosi il primo concluso antecedentemente), ma si tratta di due giudizi legati da connessione temporale essendo stati avviati “pressoché contemporaneamente, hanno impiegato un tempo complessivo di sei anni "viaggiando" in parallelo per più di quattro anni, nel corso dei quali le pronunce che hanno definito le singole fasi si sono accavallate tra di loro”. Sotto questo aspetto, dunque, non si rinvengono ragioni per constatare l'esistenza di un bis in idem.

Tuttavia, la Cassazione ritiene di dover comunque intervenire non confermando tout court la decisione poiché – detto in breve – la pena complessiva applicata al contribuente infedele (considerando cioè tanto le sanzioni applicate in sede penale che quelle comminate al termine del procedimento amministrativo) appare eccessivamente onerosa e non proporzionata alla gravità del fatto. Premesso che la sanzione prevista dagli articoli presente nel d.lgs. n. 471/1997 ha, sulla base degli Engel criteria sopra menzionati, natura sostanzialmente penale, la considerazione unitaria di tale sanzione unitamente alla pena comminata dalla decisione impugnata conduce a ritenere eccessivamente severa la risposta dell'ordinamento al comportamento del contribuente infedele.

Tale conclusione, che ovviamente non opera nei casi in cui la sanzione amministrativa sia stata pagata da un soggetto diverso dall'autore del reato (art. 11, commi 5 e 6, d.lgs. n. 472/1997), avrebbe dovuto indurre il giudice di merito (non a modificare la sanzione amministrativa irrevocabilmente e separatamente già irrogata, ma) a tenerne conto ai fini della applicazione della sanzione penale per meglio adeguare la sanzione al fatto. Per giungere a tale soluzione, il giudice di merito avrebbe potuto applicare le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p., che consentono di determinare la pena in misura inferiore al minimo edittale previsto per lo specifico reato o tenere conto anche delle condizioni economiche del reo affinché il trattamento sanzionatorio fosse, nel suo complesso, dissuasivo-rieducativo (non solo meramente retributivo).

Osservazioni

La sentenza della Cassazione conferma che l'applicazione di sanzioni amministrative e penali per una medesima violazione fiscale può violare il principio del ne bis in idem e compete al giudice di merito evitare che ciò si verifichi mediante una valutazione della compatibilità con il suddetto principio del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'autore della violazione fiscale ed una valutazione della connessione temporale e materiale dei rapporti fra i due procedimenti, penale ed amministrativo (in precedenza nello stesso senso, Cass., sez. III, 3 dicembre 2018, n. 53980).

In particolare, il principio nel ne bis in idem impone la considerazione – oltre che del profilo relativo al nesso che lega il procedimento penale e quello solo formalmente amministrativo (la connessione sostanziale e temporale di cui parla a lungo la decisione in commento) - dell'entità della sanzione complessivamente irrogata in sede penale ed amministrativa: il giudice dunque deve verificare se la disciplina sanzionatoria in tema di reati tributari che deve essere applicata nel singolo processo da lui deciso possa dirsi o meno conforme alla disciplina della Carta europea dei diritti dell'uomo e al diritto dell'Unione europea e quando si riscontri che, nonostante la astratta possibilità di un legittimo cumulo di sanzioni amministrative e penale per il medesimo fatto di reato previsto nel d.lgs. n. 74/2000, nel caso concreto si sia verificata una violazione del divieto di ne bis in idem per un mancato collegamento fra i procedimenti o (soprattutto) per l'eccessiva severità nel trattamento sanzionatorio dovrà disapplicare, se necessario e, naturalmente, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio (in questo senso già Cass., sez. III, 3 dicembre 2018, n. 53980 in tema di abusi di mercato e secondo cui in presenza di una sanzione irrevocabile idonea, da sola, ad "assorbire" il complessivo disvalore del fatto, dunque, il giudice dovrà disapplicare in toto la norma che commina la sanzione non ancora irrevocabile, così escludendone l'applicazione).

Diversamente da quanto si può leggere nella decisione in commento (in cui l'intervento del singolo giudice sull'entità della sanzione penale da applicare è presentato come non problematico), in altre pronunce (cfr. la citata Cass., sez. III, 3 dicembre 2018, n. 53980) la disapplicazione della normativa sanzionatoria è riferita essenzialmente alla disciplina amministrativa, sulla scorta del presupposto che sia già divenuta irrevocabile quella penale; nel caso opposto in cui la sanzione divenuta irrevocabile sia quella irrogata dall'amministrazione finanziaria (che, in realtà, è quanto si verifica con maggiore frequenza), la disapplicazione in toto della norma sanzionatoria penale può venire in rilievo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui la sanzione amministrativa - evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di gravità, sotto il profilo penale, affatto contenuta - risponda, da sola, al canone della proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti: fuori da tale ipotesi, l'accertamento dell'incompatibilità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato rispetto alla garanzia del ne bis in idem comporta, nel caso di sanzione amministrativa già divenuta irrevocabile, esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette pene.

Insomma, nessuna paura deve provare il giudice nel formulare un comando che sembra in deciso contrasto con la ratio stessa del suo potere ovvero dichiarare che l'imputato ha commesso il reato ma che, ciò nonostante, lo stesso deve andare esente da sanzione in ambito penale essendo stato già adeguatamente punito con altri strumenti disciplinati dall'ordinamento (TORTORELLI, L'illecito penale tributario e il suo doppio. Dal dialogo (mancato) tra le Corti ad un auspicabile intervento legislativo, in Arch. Pen., 2018, 304). Si tratta di una conclusione inquietante posto che d'ora in poi ogni processo sarà sottoposto alla spada di Damocle della discrezionale decisione del singolo giudice circa la severità del trattamento punitivo che nel caso di specie viene riservato al singolo (COLAIANNI – COLOMBO, Doppio binario sanzionatorio e proporzionalità della sanzione complessivamente irrogata. La Cassazione detta i criteri per la commisurazione della pena, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 1) e non può sostenersi che al problema si possa porre rimedio – come suggeriscono i giudici di legittimità con la decisione in commento -utilizzando, quali strumenti per garantire la proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivo, gli artt. 135 (relativo al ragguaglio tra somma di denaro e pena detentiva), 62-bis (circostanze attenuanti generiche) e 133-bis (condizioni economiche del reo) del codice penale.

Infatti, il richiamo all'art. 135 c.p. per operare l'aritmetica compensazione delle sanzioni (ossia per scomputare dalla pena detentiva il tempo ricavato dalla conversione in giorni di detenzione della sanzione pecuniaria già irrogata) porta a risultati paradossali, come può registrarsi nel caso di cui al presente procedimento in cui la sanzione amministrativa è tanto elevata che la sua conversione in giorni di detenzione conduca a un valore eccedente la pena che, nel caso concreto, il giudice penale valuti adeguato irrogare, con la conseguenza che in tale ipotesi la compensazione delle sanzioni impedirebbe la comminatoria della pena detentiva, svuotandosi così il senso della celebrazione del processo penale ed alterando la previsione edittale della sanzione (COLAIANNI – COLOMBO, Doppio binario sanzionatorio, cit., 6 secondo cui “paradossalmente, illeciti di maggiore gravità, sanzionati amministrativamente in maniera più severa, garantirebbero una significativa riduzione della pena detentiva anche oltre i minimi edittali, mentre violazioni minori, riguardate da sanzioni più miti, non assicurerebbero lo stesso beneficio”).

Quanto al riferimento all'art. 133-bis c.p., non se ne comprende la ratio posto che non si comprende come la valutazione delle condizioni economiche del reo possa influenzare la determinazione di una irroghi la pena detentiva e considerazioni analoghe possono essere condotte in relazione alla sollecitata applicazione dell'art. 62-bis c.p. posto che – a prescindere dal fatto che l'applicazione di tale disposizione esalta in massimo grado la discrezionalità del giudice nella definizione del trattamento sanzionatorio e quindi non risponde certo all'esigenze di certezza che si intende soddisfare – non si vede per quale ragione la circostanza di essere stati condannati in sede amministrativa dovrebbe indurre a riconoscere all'imputato le attenuanti generiche.

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