Gli infermieri sbagliano il conto delle garze? Ne risponde il capo dell'équipe medica
08 Marzo 2022
Massima
“In tema di responsabilità del capo dell'équipe medica che ha eseguito un intervento chirurgico, non opera il principio di affidamento sull'operato degli altri membri dell'équipe e del personale infermieristico, essendo il primo operatore tenuto, in forza della sua posizione di garanzia verso il paziente, a vigilare sull'operato dei suoi sottoposti e quindi anche ad effettuare una verifica finale del campo operatorio. Conseguentemente, qualora al termine dell'intervento vengano lasciati all'interno del sito chirurgico garze o altri strumenti, il capo dell'équipe è responsabile dei danni subiti dal paziente, anche nel caso in cui il personale infermieristico abbia effettuato il conteggio nel rispetto delle procedure ministeriali, attestando erroneamente la rimozione di tutto il materiale utilizzato prima della chiusura”. Il caso
Tizia subisce un intervento chirurgico di asportazione dell'utero, al termine del quale viene dimenticata nel suo addome una garza. Questo le provoca un serio ascesso al colon, da cui deriva una malattia con prognosi superiore a 40 giorni. Il Dott. Caio, capo dell'équipe che l'ha operata, e l'infermiere Sempronio, che ha assistito l'équipe durante l'intervento, vengono rinviati a giudizio e condannati dal Tribunale di Palermo per il delitto di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), ritenutasi la sussistenza di colpa in capo a entrambi, sub specie di negligenza, imprudenza, imperizia, nonché di violazione della “raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all'interno del sito chirurgico” del Ministero della Salute n° 2/2008. Caio e Sempronio impugnano la sentenza di primo grado, ma la Corte d'appello rigetta il gravame. Ricorre, allora, per Cassazione il Dott. Caio, negando ogni ipotesi di colpa a suo carico in quanto: i. la citata raccomandazione n° 2/2008 porrebbe a carico esclusivo degli infermieri l'onere di verificare che il numero di garze immesse nel sito chirurgico coincida con quelle asportate; ii. la conta era stata effettivamente fatta dal personale infermieristico secondo le prescrizioni ministeriali e iii. non vi erano state discrasie nei conteggi tra garze entrate e garze uscite, talché egli non aveva alcun obbligo di effettuare ulteriori controlli, prima della sutura finale. La questione
Può, il capo dell'équipe chirurgica, fare affidamento sull'operato del personale infermieristico che abbia agito nel rispetto formale delle regole guida, per andare esente da colpa? Le soluzioni giuridiche
La questione affrontata dagli Ermellini riguarda, in nuce, la possibilità, per il capo équipe, di fare legittimo affidamento sull'operato degli altri membri dell'équipe e del personale infermieristico che li assiste. La Cassazione parte tratteggiando il ruolo dell'infermiere moderno, quale evincibile dalla normativa di settore (con particolare riferimento alla L. n. 43 del 2006, alla L. n. 251 del 2000 e al D.M. n. 739 del 14 settembre 1994, del Ministero della sanità, ancora vigente e parte integrante della disciplina, contenente il "Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere"). Da tale quadro normativo emerge che anche l'infermiere ha una sua specifica e autonoma posizione di garanzia verso il paziente, che cessa soltanto di fronte all'atto medico vero e proprio: talché oggi il rapporto fra medico e infermiere non può più dirsi improntato a mera subordinazione quanto, piuttosto, a una reciproca collaborazione nell'ambito delle rispettive sfere di competenza. La Raccomandazione del Ministero della Salute n. 2 del 2008 si inserisce in questo contesto: si prefigge proprio l'obiettivo di “prevenire la ritenzione di garze, strumenti e altro materiale estraneo nel sito chirurgico” (art. 2) e dev'essere applicata “da tutti gli operatori sanitari coinvolti nelle attività chirurgiche” (art. 3).
Per quanto d'interesse in questa sede, si prevede in particolare che “il conteggio ed il controllo dell'integrità dello strumentario deve essere effettuato dal personale infermieristico”, secondo modalità ben specificate, mentre il chirurgo “verifica che il conteggio sia stato eseguito e che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l'intervento”. È interessante notare come l'estensore della raccomandazione richiami espressamente l'orientamento giurisprudenziale prevalente e che “in tema di lesioni colpose conseguenti a omissione del conteggio o della rimozione dei corpi estranei all'interno del sito chirurgico, estende l'attribuzione di responsabilità a tutti i componenti dell'équipe chirurgica (Sentenze della Corte di Cassazione IV sezione penale: 26 maggio 2004 n. 39062; 18 maggio 2005 n. 18568; 16 giugno 2005 n. 22579)”.
Tale orientamento non è cambiato dal 2008 a oggi. Secondo Cass. penale, sez. IV, 15 novembre 2018, n. 53453, in tema di responsabilità di equipe medica, “l'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio”.
Mantenendo tale prospettiva, Cass. n. 392/2022, oggi in commento, ribadisce che l'onere di assicurarsi dell'assenza di garze o strumenti prima di procedere alla chiusura del sito chirurgico non si limita affatto al controllo dell'esecuzione del conteggio da parte dell'infermiere e del dichiarato risultato di parità. Ogni chirurgo dell'équipe, in forza della posizione di garanzia che assume verso il paziente con l'atto operatorio, deve, invece, compiere tutto quanto sia ragionevolmente esigibile per evitare le conseguenze dannose connesse alla ritenzione di materiale nel corpo del paziente: il che include, secondo il Supremo Collegio, una verifica finale del campo operatorio. A maggior ragione, tale dovere grava sul soggetto che dirige l'azione operatoria, il quale è tenuto a una costante e diligente vigilanza sul progredire dell'operazione e sui rischi ad essa connessi. La posizione di garanzia del capo dell'équipe medica, infatti, include l'obbligo di coordinare e dirigere i medici specialisti, gli infermieri e, in generale, chiunque intervenga nell'esecuzione dell'intervento, onde far convergere l'attività dell'équipe verso l'obiettivo ultimo, costituito dalla migliore guarigione del paziente. Orbene, tale obiettivo impone al capo équipe di assolvere anche a doveri di vigilanza (e, se del caso, di intervento) volti a contenere il pericolo derivante da tutti quegli errori che abbiano il carattere della riconoscibilità e della interdisciplinarietà. Doveri che, all'evidenza, non consentirebbero di disinteressarsi dell'attività degli altri terapeuti e degli infermieri e di fare affidamento sul loro operato, fatte salve le sole ipotesi di questioni altamente specialistiche esulanti dalle competenze professionali del capo équipe (nelle quali egli deve, giocoforza, potersi rimettere alle conoscenze specifiche dello specialista: cfr. Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2015, n. 33329).
È chiaro, però, che tra queste ultime ipotesi non rientra quella, piuttosto banale, di accertarsi dell'effettivo sgombero del sito chirurgico da garze e altri strumenti usati durante l'operazione; così che il mancato accertamento, anche se dovuto al risultato di parità della conta delle garze in entrata e in uscita attestato dagli infermieri, costituisce comportamento negligente e imprudente, in quanto idoneo a compromettere l'obiettivo della miglior guarigione del paziente. Osservazioni
A parere di chi scrive, imputare al capo équipe la responsabilità della dimenticanza di una garza, dopo che il personale infermieristico ha effettuato la conta secondo le raccomandazioni ministeriali e ha accertato la totale rimozione delle garze utilizzate, rischia davvero di tradursi in una condanna fondata su responsabilità oggettiva per fatto altrui, come peraltro aveva evidenziato anche la difesa del Dott. Caio. La Suprema Corte giunge a negare la natura oggettiva di una responsabilità penale così concepita escludendo l'applicabilità del principio di affidamento sull'operato degli infermieri e facendo rientrare (abbastanza apoditticamente, a parer nostro) nella posizione di garanzia del capo équipe un generico quanto onnicomprensivo “dovere di controllo finale”: sofisma, questo, che tra l'altro poco sembra conciliarsi con la premessa motivazionale secondo cui “il rapporto fra infermiere e medico non sì esprime più in termini di subordinazione, ma in chiave di collaborazione nell'ambito delle rispettive sfere di competenza”.
Mi sorge spontaneo un parallelo con il codice civile: l'art. 2049 c.c. (“responsabilità dei padroni e dei committenti”) consente di addebitare al preponente la responsabilità per l'operato del preposto in presenza di un rapporto effettuale che leghi due soggetti dei quali l'uno esplichi, in posizione di subordinazione, una attività per conto dell'altro, il quale conservi un potere di direzione e di sorveglianza sulla condotta del primo: e nessuno oggi dubita che l'art. 2049 c.c. delinei una fattispecie di responsabilità oggettiva per fatto altrui. Vien da chiedersi, allora, come mai, se la giurisprudenza civile è costante nel ritenere oggettiva la responsabilità di chi risponda per il fatto commesso da soggetti che egli deve dirigere e controllare (il che, a ben vedere, è esattamente quanto accade per il capo équipe nei confronti del personale infermieristico), in ambito penale, dove la c.d. responsabilità oggettiva "da posizione" è inammissibile, quella stessa responsabilità venga ritenuta personale. Sarebbe così azzardato ipotizzare che, in fattispecie come quella oggi considerata, il capo dell'équipe chirurgica risponda solo in sede civile? |