Va negato il diritto del locatore di porre a carico del conduttore l'obbligo di rimborso delle tasse imu e tasi
28 Marzo 2022
Massima
Il locatore di un immobile adibito ad uso diverso dall'abitativo e locato a norma degli artt. 27 ss. della legge 392/1978 non può accollare all'inquilino imposte in maniera superiore a quanto previsto dalla normativa fiscale. Ed invero una clausola di questo tipo si porrebbe in aperto contrasto con l'art. 79 della richiamata legge, che vieta qualunque patto volto ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti o ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge. L'imposizione a carico del conduttore degli oneri accessori deve essere giustificata da una logica di sinallagmaticità (cioè corrispettiva), sicché egli può essere tenuto al pagamento dei soli costi dei servizi condominiali effettivamente fruiti (o quanto meno fruibili). Sebbene ai contraenti sia consentita la libera determinazione del canone iniziale, infatti, il locatore non può pretendere il pagamento di somme - diverse dal canone o dal deposito cauzionale - a fondo perduto o a titolo di buona entrata prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, sicché il relativo patto è nullo ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, tuttora vigente per le locazioni ad uso diverso di importo pari o inferiore ad € 250.000,00. Il caso
Una società divenuta proprietaria nel 2013 di un immobile in Milano - subentrata nel contratto di locazione stipulato dal precedente proprietario in data 30 settembre 2009 - ha chiesto giudizialmente alla società conduttrice il pagamento degli importi versati a titolo di IMU e TASI relativamente alle annualità comprese tra il 2013 e il 2019, per una somma complessiva di € 73.124,00. L'inquilino si è opposto alla richiesta, formulando un'eccezione preliminare (essendo intervenuta una cessione del contratto dal lato del locatore), ed eccependo nel merito che la tassa comunale sugli immobili (IMU) e la tassa sui servizi indivisibili del Comune (TASI) non sarebbero dovute in quanto non rientranti negli “oneri accessori” di cui al patto n. 6, commi 2 e 3, del contratto di locazione. Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di rimborso delle somme spese per IMU e TASI avanzata dal locatore. La questione
La questione della legittimità della clausola che accolla all'inquilino, nell'àmbito delle locazioni “commerciali” di cui agli art. 27 ss. della l. n. 392/1978, gli importi dovuti a titolo di IMU è già stata oggetto di pronunce giurisprudenziali. In particolare, da ultimo la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 8 marzo 2019, n. 6882 ha considerato valida la clausola di un contratto di locazione ad uso diverso da quello di abitazione che attribuiva all'inquilino l'assunzione di ogni tassa, imposta ed onere relativo al bene locato ed al contratto, con conseguente rimborso in favore del locatore della somma corrispondente al pagamento dell'IMU. Per la Cassazione, infatti, occorre distinguere tra rapporto privatistico (tra locatore e conduttore) e rapporto con il Fisco. In relazione al rapporto privatistico, il Legislatore ha limitato l'autonomia negoziale dei contraenti soltanto alla durata del contratto; alla tutela dell'avviamento ed alla prelazione, mentre l'ammontare del canone è stato lasciato alla libera contrattazione tra le parti che possono prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori, anche in deroga ai princìpi previsti dalla l. n. 392/1978 e al codice civile. In relazione al rapporto con il Fisco, non risultano pronunce giurisprudenziali che - in relazione alle imposte indirette - abbiano dichiarato la nullità di accordi in deroga, che prevedano l'accollo al conduttore di una somma di importo pari al tributo dovuto, con funzione di integrazione del prezzo della prestazione negoziale. Ed infatti una pattuizione di quel tipo non incide in termini fiscali sul soggetto passivo dell'obbligo contributivo, né incide sul principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. In tale contesto, non può non ritenersi interessante (e suggestiva) la pronuncia del Tribunale di Milano in commento, con cui - nell'àmbito di una locazione commerciale - pur nei limiti dell'interpretazione di uno specifico contratto di locazione, si è stabilito: a) che l'IMU non può che riguardare il proprietario del bene, trattandosi di una tassa che attiene alla proprietà; b) che una pattuizione in senso contrario sarebbe nulla a norma dell'art. 79 della l. n. 392/1978, recando un vantaggio ingiusto al locatore; c) che anche la TASI non può che riguardare il conduttore nei limiti delle disposizioni fiscali. Le soluzioni giuridiche
a) Le spese per l'IMU. Il Tribunale di Milano ha ritenuto - in assenza di una “…chiara e specifica pattuizione…” sul soggetto sul quale avrebbe dovuto gravare l'imposta municipale unica (all'epoca di sottoscrizione del contratto, ICI) - che l'intenzione delle parti fosse quella di far ricadere sul conduttore solamente gli oneri accessori connessi all'utilizzo e al godimento del bene (e non anche quelli connessi alla titolarità). Ciò risulta dal nomen della rubrica di cui all'art. 6 del contratto di locazione, che richiama quello dell'art. 9 della l. n. 392/1978. Con l'espressione “oneri accessori”, infatti, ci si riferisce generalmente a tutte le spese connesse all'utilizzo ed al godimento del bene. Da queste ultime esulano pacificamente i tributi imposti per legge al soggetto titolare di un diritto reale sul bene. Ciò risulta anche dalla lettura integrale dell'art. 6 commi 2 e 3, che si riferisce a tutte le spese, ai costi e/o agli oneri connessi relativi all'immobile ed al suo utilizzo. Tra questi - in mancanza di una previsione espressa - non si ritiene possano includersi anche le imposte connesse al diritto di proprietà. Tanto più che il comma 3 del medesimo articolo, nell'elenco delle spese, si riferisce a mero titolo esemplificativo a quelle connesse a servizi fruibili dal conduttore. A ciò si aggiunga che - quando le parti avessero voluto accollare una tassa all'inquilino - lo avrebbero fatto espressamente. Si veda, in questo senso, il richiamato patto 6 del contratto di locazione per il quale le tasse relative al servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani sono a carico del conduttore. Il Tribunale di Milano ha ritenuto che anche la c.c. nuova IMU - che ha assorbito la TASI (il cui presupposto d'imposta come ammesso dal locatore è il possesso) - non possa essere ricompresa nell'art. 6. Tanto più che il conduttore ha la detenzione e non il possesso del bene locato. Deve, pertanto, ritenersi - anche in considerazione del complessivo comportamento delle parti (art. 1362, comma 2, c.c.) ed in particolare del fatto che il “primo” originario locatore tra il 2009 e il 2013 non abbia mai richiesto alla società conduttrice alcun rimborso di somme a titolo di ICI - che l'effettiva volontà delle originarie parti contrattuali fosse quella di far gravare l'ICI sul soggetto proprietario del fabbricato. Secondo il Tribunale di Milano - che sul punto si contrappone dunque all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite di cui alla ricordata pronuncia n. 6882/2019 - una clausola che ponesse a carico del conduttore l'IMU sarebbe contraria al divieto di far assumere al locatore un vantaggio ingiusto previsto dall'art. 79 della l. n. 392/1978 (tuttora vigente per le locazioni ad uso diverso relative a contratti di importo pari o inferiore a € 250.000,00). L'imposizione a carico del conduttore degli oneri accessori deve essere giustificata da una logica di “sinallagmaticità” (cioè di corrispettività), con la conseguenza che egli può essere tenuto al pagamento dei soli costi dei servizi condominiali effettivamente fruiti o quantomeno fruibili sebbene ai contraenti sia consentita la libera determinazione del canone iniziale (v. Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2005, n. 680; Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25274; Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20551; Cass. civ., sez. III, 8 marzo 2017, numero 5795). Se si dovesse ritenere l'IMU ricompresa negli oneri accessori, ciò equivarrebbe ad attribuire al locatore una sorta di “extra canone” di importo indeterminato al momento della stipula, non giustificato dal sinallagma contrattuale e come tale affetto da nullità. b) Le spese per la TASI. Il presupposto impositivo della TASI è, invece, il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati e di aree edificabili. L'art. 1, comma 681, della l. 147/2013 - abrogato dalla l. 27 dicembre 2019, n. 160, con decorrenza dal 1° gennaio 2020 - prevede che, nel caso in cui l'unità immobiliare sia occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull'unità immobiliare, quest'ultimo e l'occupante sono titolari ciascuno di un'autonoma obbligazione tributaria. L'occupante versa la TASI nella misura stabilita dal Comune nel Regolamento compresa fra il 10% e il 30% dell'ammontare complessivo della TASI, calcolato applicando l'aliquota di cui ai commi 666 e 677. La restante parte è corrisposta dal titolare del diritto reale sull'unità immobiliare. Anche a voler ritenere che la TASI possa essere ricompresa negli oneri accessori di cui all'articolo 6 del contratto di locazione, l'entrata in vigore della l. n. 147/2013 successiva alla conclusione del contratto di locazione, comporta che le somme versate dalla proprietaria a titolo di TASI per gli anni di imposta dal 2014 al 2019 sono quelle relative alla sola aliquota per gli immobili locati, (corrispondente dunque all'autonoma obbligazione tributaria). Osservazioni
Il tema di indagine consiste nell'interpretazione dell'articolo 6 del contratto di locazione che sotto la rubrica “oneri accessori” prevede: “salvo gli oneri posti espressamente a carico del locatore dal presente contratto o da norme inderogabili di legge, tutte le spese, i costi e/o gli oneri di qualsiasi genere in qualsiasi modo relativi e/o connessi all'immobile e al suo utilizzo saranno a carico della conduttrice … a mero titolo esemplificativo sono da includersi tra gli oneri accessori … nei limiti consentiti dalle norme applicabili, tutte le altre tasse, imposte, oneri e/o contributi anche locali dovuti in relazione alla disponibilità, uso e/o possesso dell'immobile”. Secondo la società locatrice, l'IMU e la TASI dovrebbero ritenersi ricomprese nella previsione dell'art. 6 del contratto, in quanto dalla lettura della clausola risulterebbe la volontà delle parti di porre a carico della conduttrice qualsiasi spesa, onere o costo di qualsiasi natura ed a qualsiasi titolo connesso al complesso immobiliare. Secondo la resistente, invece, tra gli oneri accessori elencati nei citati articoli non rientrerebbero né l'IMU, né la TASI, trattandosi, quanto alla prima di una tassa svincolata dall'utilizzo e dal godimento del bene immobile in quanto tributo locale gravante sul soggetto titolare del diritto di proprietà (ovvero sul titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie in forza della formulazione prevista dall'art. 9 del d.lgs. n. 23/2011) e quanto alla seconda perché entrata in vigore successivamente alla stipula del contratto di locazione. Tra l'altro è impensabile che una tassa possa rientrare nella rubrica avente ad oggetto gli oneri accessori che si riferisce alle spese di consumo per servizi di cui l'inquilino usufruisce. Resta da chiarire - non parlandone espressamente il Tribunale di Milano nella sentenza in commento - se essa abbia inteso porsi in senso contrario e in quali termini all'orientamento giurisprudenziale espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella pronuncia 8 marzo 2019, n. 6882, secondo cui è valida la clausola di un contratto di locazione ad uso diverso da quello di abitazione che attribuisca al conduttore l'assunzione di ogni tassa, imposta ed onere relativo al bene locato ed al contratto con conseguente rimborso in favore del locatore. Nella richiamata pronuncia 6882/2019, la Suprema Corte si chiede se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo (nel senso di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva) oppure anche soggettivo (nel senso che l'adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma anche dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo, escludendosi quindi il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso). Le Sezioni Unite risolvono la questione confermando il principio per il quale sussiste “negoziabilità” del debito d'imposta, con l'unico limite posto dall'impossibilità di liberare l'originario contribuente verso il Fisco. D'altra parte, i due precedenti richiamati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6882/2019 - costituiti dalle pronunce a Sezioni Unite n. 5/1985 e n. 6445/1985 - pur confermando che l'art. 53 Cost. debba qualificarsi come norma precettiva, (cioè rivolta anche ai comportamenti dei privati), mettono in dubbio l'applicabilità dell'art. 1418, comma 1, c.c. ai patti di traslazione dell'imposta per impossibilità di desumere dall'impianto costituzionale un divieto generalizzato al trasferimento dell'onere del tributo a terzi. |