Crediti inesistenti e non spettanti: il punto di svolta della Cassazione

Matteo Dellapina
04 Aprile 2022

In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”...
Massima

In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dell'art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del d. lgs. n. 158/2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972.

Il caso

La vicenda trae origine dall'utilizzo in compensazione di un credito IVA, maturato nel 2008 e pari ad € 381.339,00, da parte di una società agricola.

L'Agenzia delle Entrate, ritenendo un utilizzo indebito di tale credito in compensazione e la natura di società di comodo della contribuente, ex art. 30, L. 724/1990, procedeva alla notifica di un avviso di recupero nei confronti della predetta compagine societaria.

La società impugno l'avviso innanzi alla CTP di Pavia che lo accolse, rilevando che la società operava in modo continuativo e nella specie, non trattandosi di crediti inesistenti, non poteva trovare applicazione il termine decadenziale di otto anni ex art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, conv. in L. 2/2009, bensì quello ordinario quadriennale, nella specie non rispettato.

Avverso detta sentenza, l'Ufficio proponeva appello innanzi alla CTR della Lombardia che rigetto il ricorso, sulla scorta della motivazione che segue.

I giudici di appello evidenziarono che, per effetto della novella apportata all'art. 13 d.Lgs. n. 471/1997 dal D. Lgs. n. 158/2015, si era al cospetto di una compensazione di un credito “non spettante” e non già di un credito “inesistente”, come pure implicitamente ritenuto dalla stessa Agenzia, laddove aveva comminato una sanzione del 30% del credito utilizzato, ex art. 13, comma 4, d.Lgs. n. 471/1997, invece di quella prevista dal comma 5, nella misura che va dal 100% al 200% del credito.

L'Agenzia delle entrate ricorreva per cassazione, sulla scorta di un unico motivo, con il quale si duole dell'erroneità della decisione di appello, nella parte in cui si è distinto, ai fini della verifica della tempestività dell'azione di recupero, tra l'ipotesi della inesistenza del credito d'imposta indebitamente portato in compensazione, e quella della mera non spettanza del credito. A parere della ricorrente, una tale distinzione, valevole solo in ambito sanzionatorio e solo dal 2015 per effetto delle modifiche apportate all'art. 13 del d.Lgs. n. 471/1997 dal D. Lgs. n. 158/2015, non abbia ragion d'essere ai fini del calcolo del termine per l'accertamento, che deve ritenersi, in ispecie, soggetto al raddoppio ex art. 26, comma 16.

Di conseguenza, l'Ufficio ritenne che la CTR avrebbe errato nel rilevare l'intervenuta decadenza per superamento del termine quadriennale.

La questione

La vicenda in esame, sottoposta ai giudici di Cassazione, che si innesta in un trittico di procedimenti, riguarda la distinzione tra il credito inesistente e quello non spettante, originatasi dall'utilizzo in compensazione, da parte del contribuente, di un credito fiscale. La centralità della questione sottoposta al vaglio della Corte è assai significativa, posto che i giudici di legittimità si son trovati a superare un contrario (seppur consolidato) orientamento giurisprudenziale, grazie ad una puntuale pronuncia della CTR.

La questione vagliata dal collegio di legittimità ha assunto particolare valenza in quanto tale distinzione comporta un diverso termine decadenziale: ossia se il credito fosse inesistente, il termine decadenziale sarebbe pari ad otto anni (art. 27, comma 16, D.L. 185/2008, conv. in L. n. 2/2009). Mentre nel caso del credito non spettante (o indebitamente utilizzato) si applicherà quello ordinario di quattro anni.

Credito inesistente e non spettante

La definizione, prettamente normativa, di credito inesistente va ricercata nell'art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.Lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del d.Lgs. n. 158/2015), ove si fa riferimento a quel credito in relazione al quale manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia propriamente riscontrabile mediante i controlli previsti dagli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. 600/1973 e dall'art. 54-bis del d.P.R. 633/1972.

Ecco che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” qualora ne manchi il presupposto costitutivo, ossia quando la situazione giuridica creditoria non emerga dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso oppure in possesso dell'anagrafe tributaria, quale banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controllo siano fondati.

Di conseguenza, se l'Agenzia delle entrate, in seguito all'attività di controllo, dovesse accertare che un determinato credito utilizzato in compensazione fosse inesistente, notificherà un atto di recupero (art. 1, c. 421, L. n. 331/2004), a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.

Quanto al concetto di credito non spettante, si deve invece far riferimento a quei crediti utilizzati in compensazione in misura superiore al limite previsto dalla legge, ma comunque esistenti (cfr. Corte di Cassazione, Sez. trib., Sent., 21 aprile 2017, n. 10112; Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 452/E del 27.11.2008). Qui si applicherà il termine breve per l'accertamento, pari a quattro anni, disciplinato dall'art. 43 del d.P.R. 600/1973.

In passato, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 10112/2017) ha ritenuto che non esisteva una distinzione tra credito inesistente e non spettante, sottolineando che “la distinzione basata sulla diversa definizione terminologica del credito d'imposta, oltre a non avere base normativa, si appalesa speciosa in quanto la ratio della norma di cui all'articolo 27, comma 16, del decreto-legge 185/2008, convertito dalla legge numero 2/2009, che prevede il termine di otto anni per il recupero dell'imposta, è volta a consentire all'ufficio di compiere gli accertamenti, talvolta complessi, riguardanti la natura dell'investimento che ha generato il credito di imposta”.

Decisione che poi è stata ripresa nella pronuncia n. 19237/2017, ove i Giudici di legittimità avevano ribadito come non operava alcuna distinzione tra credito inesistente e non spettante, in quanto la previsione del termine maggiore per la notifica dell'atto di recupero del credito “inesistente” (art. 27, comma 16, D.L. 185/2008, conv. in L. n. 2/2009), non è stata prevista dal legislatore al fine di distinguere in due categorie i crediti, ma per il solo scopo di garantire un maggior margine di tempo che risulti adeguato per le verifiche, talora complesse, riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta (confermata di recente da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021).

In conclusione, si era così formato un orientamento giurisprudenziale in forza del quale si riteneva non operante la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti, con conseguente applicazione del medesimo termine di otto anni per la notifica dell'avviso di recupero.

Cambio di rotta della Cassazione: sentenze n. 34443/2021 e 34444/2021 (e 34445/2021)

Il 16 novembre 2021, la V Sez. Civile della Corte di Cassazione ha pronunciato tre sentenze significative con le quali ha superato il precedente orientamento formatosi.

Nel primo caso (Cass. n. 34443/2021) la Corte ha sancito che il discrimine ai fini dell'applicazione o della sanzione del 30% oppure di quella dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato, come previsto dall'art. 13, commi 4 e 5, del D. Lgs. n. 471/1997, debba individuarsi rispettivamente nell'utilizzo di un credito non spettante ovvero di un credito inesistente: per tale ultimo caso, si deve intendere (ex art. 13, comma 5, terzo periodo, D. Lgs. n. 471/1997), il credito in relazione al quale manca, totalmente o parzialmente il presupposto costitutivo, ossia il credito che non sia reale, e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli previsti dagli artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. 600/1973 e dall'art. 54 bis del D.P.R. 633/1972.

Dello stesso tenore anche l'altra pronuncia (Cass. n. 34444/2021), ove i giudici di legittimità hanno ritenuto che il precedente orientamento giurisprudenziale dovesse essere superato, per far posto al nuovo indirizzo, volto a distinguere le due categorie, di credito inesistente e non spettante, sottolineando che nel primo caso la definizione positiva potesse rinvenirsi già dall'impianto normativo originario relativo alla riscossione dei crediti di imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l'emissione del cd. atto di recupero ex art. 1, comma 421, L. n. 311/2004. Infatti già a livello normativo, era prevista una prima distinzione in quanto il termine di decadenza del potere di accertamento era esteso ad otto anni per i crediti inesistenti, ossia ad una fattispecie necessariamente più ristretta di quella generale in quanto ritenuta più grave. Poi con la novella del 2015 (art. 15 del D. Lgs. n. 158/2015) è stato rideterminato il quadro sanzionatorio dell'indebita compensazione, con l'introduzione del nuovo articolo 13, comma 5, terzo periodo, del D. Lgs. n. 471/1997 che ha dettato una definizione normativa di credito inesistente, ossia quello in relazione al quale manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli ex artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. 600/1973 e art. 54-bis d.P.R. 633/1972). Tale definizione è stata così ancorata ad una dimensione “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (Cfr. Relazione illustrative al D.L. n. 185/2008).

Infine si segnalano le recenti pronunce della Cassazione, Sez. penale (n. 7613/2022 e n. 7615/2022), ove è stato affermato che un credito non possa essere al contempo non spettante e inesistente, in quanto o esso è inesistente oppure è non spettante. Per la Corte, la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente) incide anche sul piano dell'elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal primo e dal comma secondo dell'art. 10-quater, d.Lgs. n. 74/2000, atteso che “l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa”.

Le soluzioni giuridiche

Nel trittico di decisioni pronunciate dalla Cassazione (n. 34443/2021, n. 34444/2021 e 34445/2021), i giudici di legittimità hanno voluto così superare il precedente orientamento giurisprudenziale, per introdurre un nuovo indirizzo volto a confermare la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti, con le conseguenti differenze in relazione al termine decadenziale del potere di accertamento (8 anni e 4 anni).

La Corte, dopo aver ripercorso il concetto di credito inesistente, come contenuto nel nuovo articolo 13, comma 5, terzo periodo, del d.Lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del d.Lgs. n. 158/2015), ha chiarito che vada superato l'orientamento giurisprudenziale formatosi sino a quel momento (che non distingueva tra crediti inesistenti e non spettanti, siccome nella definizione positiva di credito inesistente si rinviene la conferma della dignità della distinzione delle due categorie, in considerazione dell'impianto normativo originario relativo alla riscossione dei crediti di imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l'emissione dell'atto di recupero ex art. 1, comma 421, L. n. 311/2004. Tale ultima disposizione si riferisce alla “riscossione dei crediti indebitamente utilizzati, in tutto o in parte, anche in compensazione, ex art. 17 d.Lgs. n. 241/1997, mentre l'art. 27, comma 16, che estende il termine di decadenza all'ottennio dal relativo utilizzo, riguarda la sola “riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ex art. 17, D. Lgs. n. 241/1997, ossia ad una fattispecie necessariamente più circoscritta rispetta quella generale, considerata molto più grave. Si aggiunga poi che, con l'intervento modificativo del 2015, si va a specificare ancor più il contenuto del precetto originario, ancorando la nozione di “credito inesistente” ad una dimensione “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza.

Successivamente la Corte ha ritenuto l'infondatezza del ricorso proposto dall'Amministrazione, in quanto la tesi seguita dalla CTR, laddove distingue tra credito inesistente e non spettante e/o non utilizzabile, risulta corretta e conforme all'impianto normativo violato.

Infatti, come evidenziato dal giudice di appello, non si può rivelare come tale distinzione finisca con l'essere corroborata dalla stessa attività di recupero realizzata dall'Agenzia che ha inflitto alla contribuente la sanzione di cui all'art. 13, comma 4, del D. L.gs. n. 471/1997, concernente appunto l'indebito utilizzo di “crediti non spettanti” e non quella di cui al comma 5, relativa ai “crediti inesistenti”.

Da qui la Cassazione, ha enucleato un principio di diritto di notevole spessore, ritenendo che: “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dell'art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del d. lgs. n. 158/2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972”.

In conclusione, i giudici di Cassazione hanno rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia.

Osservazioni

L'eco delle tre sentenze pronunciate dalla Cassazione a metà novembre 2021 è assai “risonante”.

Infatti i giudici di legittimità hanno deciso di invertire la rotta rispetto ad un indirizzo formatosi sul punto che era abbastanza rischioso.

La novità portata dalle pronunce in esame, accomunate dal principio di diritto espresso, ma dissimili per le questioni fattuali sottese, non possono essere circoscritte alla semplice distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti in quanto c'è qualcosa di più sottile.

Infatti, ciò che va preliminarmente chiarito, è che in passato si riteneva che se un contribuente avesse utilizzato in compensazione un credito, se il fisco lo avesse ritenuto inesistente o non spettante, poteva notificare un avviso di recupero entro otto anni, ossia un termine maggiore rispetto a quello ordinario di quattro.

Secondo l'orientamento precedente, era indifferente che si trattasse di credito inesistente o non spettante, siccome ai fini dei termini decadenziali, in entrambi i casi l'Ufficio poteva notificare l'avviso entro il termine “lungo”.

Ma, come sottolineato nelle ultime pronunce, la distinzione tra le due fattispecie era marcata, portando così a considerare distinti anche i termini decadenziali. Infatti, già dal dettato normativo si poteva “leggere” tale distinzione siccome veniva data una descrizione di credito inesistente, proprio per calcare la gravosità di tale casistica: il credito era tale se mancante del presupposto costitutivo e la sua inesistenza non poteva essere accertabile con i controlli ordinari previsti sia dagli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. 600/1973 e neppure dall'art. 54-bis del d.P.R. 633/1972. Quindi un credito privo del suo presupposto costitutivo.

Infine, quanto al caso concreto, la Cassazione ha posto attenzione al fatto che l'Ufficio, nell'infliggere la sanzione al contribuente, ha comminato quella prevista per l'indebito utilizzo di “crediti non spettanti” (art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1997) e non quella contenuta nel 5° comma, ossia relativa ai “crediti inesistenti. Escludendo così l'inesistenza del credito IVA portato in compensazione dalla Società Agricola.

In conclusione, la novità risonante delle pronunce è assai notevole: non si potranno più assimilare le categorie di crediti inesistenti e non spettanti, in quanto sono distinti in modo marcato già a livello normativo (proprio perché la categoria dell'inesistenze è assai grave e circoscritta a fattispecie stringenti).

Da qui ne deriva che il cd. termine lungo per l'accertamento dal parte del Fisco, pari ad otto anni, potrà essere applicato esclusivamente al caso dei crediti inesistenti. Mentre per quelli non spettanti, il termine sarà ridotto a quattro.