Casapound in condominio: il regolamento non basta a bloccare l'insediamento di un'associazione caratterizzata da estremismo ideologico
20 Aprile 2022
Massima
In tema di condominio, l'adibizione di un locale ad attività di associazionismo politico, ma anche di somministrazione cibi e bevande, non può ritenersi ex se esclusa dal regolamento, se non espressamente vietata né preclusa da chiare e inequivocabili espressioni del regolamento stesso. Il caso
Tizio (condomino) aveva locato un immobile di sua proprietà all'associazione politica “Casapound”, anche se la notizia veniva poi smentita in quanto questa aveva preso il nome di associazione di promozione sociale “X”. Nonostante le preoccupazioni dei condomini, la sede dell'associazione veniva aperta al pubblico e presentata pubblicamente come sede provinciale “Casapound”. Il locale in esame era aperto tre sere a settimana con eventi di tipo musicale e elettorali; dalle indicazioni affisse sulla porta e, sempre dalla pagina Facebook, era emerso che all'interno dei locali vi era anche la sede di una ulteriore organizzazione denominata “Y”; quest'ultima, all'interno dei locali svolgeva attività di palestra e pub. Per le ragioni esposte, con delibera di febbraio 2018, il condominio deliberava di non approvare né consentire la variazione di destinazione d'uso dei locali in questione né l'installazione di pannelli antisfondamento. Con successiva delibera di maggio 2018, il condominio deliberava di promuovere azione legale. Invero, secondo il condominio, nei locali, a dispetto di quanto previsto dallo statuto, operavano tre distinte realtà: l'associazione “X”, l'associazione “Y” e l'associazione politica Casapound, con l'esercizio di numerose attività del tutto estranee alla locazione, arrecando disturbo e molestia alla tranquillità degli altri condomini. Inoltre, era stato arrecato danno all'estetica dell'edificio mediante l'installazione di barriere antisfondamento, con grossolane pannellature di legno che ricoprivano le vetrine dall'esterno, del tutto abnormi e indecorose. Abusiva era pure l'installazione di videocamere di sorveglianza in quanto non approvata dall'assemblea. Per le ragioni esposte, il condominio citava in giudizio Tizio (locatore) e l'associazione (conduttrice), contestando la violazione, da parte dei convenuti, della legge, del regolamento e delle delibere condominiali, con condanna alla cessazione delle attività poste in essere e non consentite. La questione
La questione in esame è la seguente: l'insediamento di un'associazione caratterizzata da estremismo ideologico è vietata in condominio? Le soluzioni giuridiche
Secondo l'attore, l'associazione aveva violato il regolamento di condominio. In particolare, l'art. 4 del regolamento prevedeva, per i negozi al piano terra, la destinazione a normale attività commerciale, studio o ufficio, con divieto in ogni caso di attività che provochino disturbo o che siano incompatibili con il decoro del condominio. Il successivo art. 8 delineava il procedimento previsto in caso di cambio sostanziale di destinazione d'uso, con il potere, per il condominio, di approvare o meno tale variazione. L'art. 12, poi, prevedeva tassativi divieti, fra cui il divieto di danneggiare l'estetica del fabbricato, il divieto di recare molestia ai condomini, il divieto di indire riunioni rumorose o produrre rumore che arrechi disturbo ai condomini. Orbene, ai fini di una corretta disamina della questione è opportuno analizzare i diversi aspetti: a) L'interpretazione del regolamento di condominio Come è noto, l'art. 1138 c.c., disciplinando il regolamento del condominio, stabilisce che esso “contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione”. Nel caso di specie, a parere del giudice, ciò che veniva contestato non riguardava l'utilizzo di parti comuni dell'edificio, ma la destinazione di una unità immobiliare di proprietà esclusiva per un utilizzo diverso da quelli consentiti dal regolamento. A tal proposito, i giudici di legittimità hanno sottolineato che i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307). Ciò implica - secondo la Cassazione - che nella ricerca della comune intenzione, o come nella fattispecie, nell'individuazione della regola dettata dal regolamento contrattuale, non possa prescindersi dall'univocità delle espressioni letterali utilizzate, dovendosi in linea di principio rifuggire da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto attiene all'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma ancor più per quanto concerne la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione circa le facoltà di destinazione di norma spettanti al proprietario. Dunque, alla luce di tale ricostruzione, secondo il giudice di Forlì, non sembra che l'adibizione ad attività di associazionismo politico, ma anche di somministrazione cibi e bevande, possa ritenersi ex se esclusa dal regolamento, in quanto non espressamente vietata né comunque preclusa da chiare e inequivocabili espressioni del regolamento stesso. b) La tranquillità dei condomini Oltre a quanto esposto, dalla lettura della clausola del regolamento, secondo il giudicante, mancava sia una qualche elencazione delle attività vietate, sia una chiara individuazione dei pregiudizi che si intendevano prevenire, non apparendo adeguato all'uopo, posta la potenziale compromissione della proprietà individuale che da tale previsione deriverebbe, il vago riferimento alla “tranquillità” dei condomini; mentre, per quanto concerne il “decoro”, la clausola probabilmente intendeva riferirsi al decoro architettonico, ovvero - al più - al decoro personale, nel senso di rispetto delle qualità morali, della rispettosità pubblica dei condomini, ostando ad eventuali attività che ripugnino al comune senso del pudore (Trib. Roma 23 maggio 2021, n. 8902). Del resto, era incontestato che l'immobile, prima, ospitava la sede di un'altra associazione. Quanto alle lagnanze relative al gran numero di soci, agli schiamazzi serali o disturbi, esse attenevano non alla identificazione di attività consentite o vietate, quanto piuttosto alle modalità concrete del loro esercizio, e dunque ad interessi tutelati e tutelabili con altre azioni (ad esempio, immissioni art. 844 c.c.). c) L'utilizzo delle videocamere In merito alle videocamere, il condominio contestava che i convenuti avevano violato l'art. 1122-ter c.c. Tuttavia, anche in tal caso, il giudicante ha ritenuto consentito l'uso di tali impianti di videoregistrazione nelle parti comuni: infatti, il singolo condomino può installare sistemi di videosorveglianza per uso privato nell'ambito delle sole aree di sua esclusiva proprietà (e relative pertinenze), non rientrando tale ipotesi nella disciplina dettata dal Codice della Privacy, in quanto le aree video sorvegliate non sono parti comuni, bensì zone di proprietà privata. In tale caso non è necessaria una previa autorizzazione del condominio o una delibera assembleare, ma sarà necessario informare gli altri condomini (Cass. pen., sez. V, 26 novembre 2008, n. 44156). Tuttavia, però, l'impianto eventualmente installato deve limitarsi a riprendere solo le predette aree di proprietà del condomino: le videoriprese si considerano di esclusivo utilizzo personale solo se l'angolo visuale della telecamera è limitato agli spazi di propria esclusiva pertinenza e non riprende le aree comuni oppure di esclusiva proprietà di altri condomini (Trib. Vicenza 18 ottobre 2019, n. 2143). Nel caso di specie, non era emersa dall'istruttoria di causa alcuna prova dell'installazione di videocamere su aree comuni. d) L'installazione di pannellature antisfondamento davanti alle vetrine Secondo l'attore detta installazione ledeva il decoro e l'estetica del condominio. Però, come visto in precedenza, il “decoro” menzionato dal regolamento si riferiva al decoro architettonico afferente al rispetto delle linee architettoniche, l'aspetto armonico dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2020, n. 18959); invero, secondo il giudice, più propriamente l'estetica è costituita dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio e imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica fisionomia (Trib. Trieste 29 aprile 2019, n. 256). Nel caso di specie, le pannellature ritratte (si legge nel provvedimento) “non sembravano lesive delle linee architettoniche dell'edificio, di cui riprendevano il colore senza soluzione di continuità, né indecorose o disarmoniche rispetto alla continuità della facciata”. In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, nonostante l'intervenuta riconsegna dei locali, il Tribunale ha deciso di non dichiarare la cessata materia del contendere in ragione della mancata adesione del condominio, ma di pronunciarsi comunque sull'esistenza del diritto azionato, tralasciando esclusivamente la domanda di condanna in quanto non più necessaria. A questo proposito, il Tribunale ha accertato la sopravvenuta carenza di interesse del condominio all'eventuale pronuncia di condanna dei convenuti alla cessazione di attività non consentite e, quanto al resto, ha dichiarato l'infondatezza delle pretese e delle lagnanze contestate. Infine, il condominio è stato condannato alle spese processuali. Osservazioni
La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito ai limiti del regolamento condominiale. A questo proposito, con riferimento alla presenza di associazioni e organizzazioni all'interno di un condominio, si osserva che oltre alla questione del Tribunale di Forlì, in altro precedente è stato affrontato un problema simile afferente alle organizzazioni benefiche. In tal vicenda, una Fondazione aveva acquistato un immobile all'interno di un condominio e, al fine di attuare i propri scopi statutari, aveva ceduto l'immobile in comodato ad una Onlus, la quale lo aveva ristrutturato e adibito ad ambulatorio medico per extracomunitari privi del permesso di soggiorno. A seguito di ciò, il condominio si era imposto e aveva deciso di vietare lo svolgimento di tale attività in quanto il regolamento prevedeva espressamente che “è vietata qualsiasi attività dei condomini nelle proprietà esclusive che sia incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell'edificio e con la sua sicurezza”. A seguito di impugnativa, nel giudizio di primo grado, il Tribunale accoglieva la tesi difensiva della Fondazione (regolamento non trascritto che non poteva essere fatto valere nei confronti della Fondazione quale terzo acquirente). Nel successivo giudizio, invece, la Corte territoriale ribaltava l'esito del giudizio; invero, secondo la Corte d'Appello, il regolamento di condominio, anche se non trascritto, può essere fatto valere indirettamente attraverso una clausola contenuta nell'atto di acquisto con cui si attribuisce all'acquirente “la proporzionale quota di comproprietà condominiale nelle parti comuni dell'edificio, come per legge e regolamento” nonché del richiamo all'atto di acquisto in cui il precedente proprietario aveva dichiarato “di ben conoscere ed accettare il regolamento condominiale indicato in tutti i suoi estremi formali”. Di conseguenza, l'ambulatorio è stato considerato vietato poiché lesivo delle esigenze di tranquillità dei condomini. Nel successivo giudizio di legittimità, i giudici hanno accolto le tesi della Fondazione ritenendo che l'argomentazione della Corte territoriale contrastava con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio volte a vietare lo svolgimento di determinate attività costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini; mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione. Di conseguenza, in assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica, nel medesimo contratto d'acquisto, del vincolo reale gravante sull'immobile (in tal senso, Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2022, n. 6357). Premesso quanto innanzi esposto, confrontando le due vicende (associazione di estremismo ideologico e organizzazioni benefiche), il problema resta il regolamento di condominio. Invero, oltre al problema della trascrizione (come per le organizzazioni benefiche), ulteriori questioni possono sorgere in riferimento all'interpretazione delle clausole (come per l'associazione estremista). Difatti, in quest'ultimo caso, per evitare ogni possibilità di equivoco in una materia atta ad incidere pesantemente sulla proprietà del singolo condomino, i divieti ed i limiti in parola devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentate intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2014, n.19229; Cass. civ., sez. II, 1° ottobre 1997, n. 9564). In conclusione, l'insediamento di un'associazione caratterizzata da estremismo ideologico (o un ambulatorio medico per extracomunitari privi del permesso di soggiorno) può essere fonte di preoccupazione per l'ordinato svolgimento della vita in condominio. In buona sostanza, il condominio può fare cessare una destinazione contraria alla tranquillità dei condomini adottando le iniziative legali occorrenti a fare osservare il regolamento, ma non può aggiungere altri divieti a quelli già previsti, non essendo consentito al giudice di merito di interpretare in senso estensivo le clausole del regolamento condominiale (Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2019, n. 27257), dando un'interpretazione della tranquillità e del decoro dello stabile condominiale che surrettiziamente modifica il contenuto del regolamento, estendendo ulteriormente i limiti al godimento delle proprietà esclusive in esso già contenuti (App. Genova 13 gennaio 2017). Pertanto, non sempre è sufficiente appellarsi al regolamento condominiale. Riferimenti
Palombella, Quando valgono i vincoli contenuti nel regolamento di condominio?, in Dirittoegiustizia.it, 28 febbraio 2022; Amendolagine, La destinazione a luogo di culto dell'immobile contrasta con il divieto di attività lesive di igiene, decoro dell'edificio e tranquillità dei condomini? in Condominioelocazione.it, 17 novembre 2020; Celeste, Regolamento di condominio (limiti), in Condominioelocazione.it, 29 novembre 2019. |