La linea di confine tra condotta abusiva ed evasiva

Giancarlo Marzo
Pietro Falchini
20 Maggio 2022

Non può qualificarsi come meramente abusiva l'indebita qualificazione di un provento in una categoria reddituale diversa da quella prevista dalla normativa fiscale. Con sentenza n. 5147 depositata lo scorso 14 febbraio 2022, la Sezione Terza penale della Cassazione ha ritenuto integrante il reato di dichiarazione infedele, e non un'ipotesi meramente abusiva, l'indebita qualificazione dei redditi derivanti da operazioni in warrant come redditi finanziari anziché come redditi da lavoro dipendente.
Massima

Non può qualificarsi come meramente abusiva l'indebita qualificazione di un provento in una categoria reddituale diversa da quella prevista dalla normativa fiscale.

Con sentenza depositata lo scorso 14 febbraio 2022, la Sezione Terza penale della Cassazione ha ritenuto integrante il reato di dichiarazione infedele, e non un'ipotesi meramente abusiva, l'indebita qualificazione dei redditi derivanti da operazioni in warrant come redditi finanziari anziché come redditi da lavoro dipendente.

Il caso

Con ordinanza del 15 giugno 2021 il Tribunale di Milano ha accolto l'impugnazione proposta dal Pubblico Ministero nei confronti del decreto del 19 aprile 2021 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, di rigetto della richiesta di sequestro preventivo proposta in relazione a reati tributari contestati al contribuente, e ha quindi disposto il sequestro, in via diretta e per equivalente, del profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74/2000, art. 4, pari alla somma di Euro 4.399.370,57, già dedotta la somma di Euro 330.820,22 versata dallo stesso contribuente.

La questione

Con il primo motivo, l'indagato ha denunciato, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'errata applicazione del art. 51, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, art. 60, D.L. n. 50/2017, art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, e art. 10-bis, comma 13, L. n. 212/2000, trattandosi di norme di cui si deve tenere conto nell'applicazione della norma penale di cui al D.Lgs. n. 74/2000, art. 4 e anche del comma 1-bis di tale disposizione.

Dopo aver premesso che l'irregolarità delle operazioni oggetto delle contestazioni penali non aveva formato oggetto di alcun rilievo da parte della Agenzia delle Entrate, ha prospettato la errata applicazione da parte del Tribunale di Milano del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 1 e art. 60, D.L. n. 50/2017, per la qualificazione come redditi di natura finanziaria, nella dichiarazione annuale per l'anno d'imposta 2018, dei compensi percepiti a seguito della cessione di warrant instruments emessi a favore del ricorrente dalla ..ltd., nonché con riferimento alla omessa indicazione, nella dichiarazione relativa al medesimo anno d'imposta, dei redditi conseguiti dal ricorrente dalla società xyz S.r.l. a seguito della cessione delle partecipazioni detenute da tale società nella ... ltd..
La soluzione giuridica

I redditi derivanti da operazioni in warrant. Redditi finanziari o da lavoro dipendente?

I warrant sono strumenti finanziari quotati sui mercati azionari che conferiscono al titolare la facoltà di sottoscrivere l'acquisto o la vendita di una certa attività finanziaria sottostante ad un determinato prezzo e ad una scadenza prestabilita. L'imputato aveva acquistato i warrant di una società di cui era amministratore delegato con liquidità finanziata dalla stessa e che avrebbe restituito solo successivamente alla rivendita degli stessi. Successivamente, come pianificato, l'imputato aveva reimmesso sul mercato gli strumenti finanziari ricavandone gli ingenti profitti, poi fatti oggetto del sequestro.

In questo scenario, la provenienza del finanziamento e la circostanza che la restituzione dello stesso fosse subordinata alla liquidazione dei warrant, sono risultati dirimenti per l qualificazione dei proventi. Sulla base dell'art. 60, comma 1, lett. a), D.L. 50/2017, i proventi da partecipazione di dipendenti o amministratori al capitale di rischio della compagine sociale, sono qualificabili alla stregua del reddito da lavoro dipendente qualora l'investimento non comporti un reale rischio per l'investitore. Per essere rischioso, l'investimento complessivo dei dipendenti o degli amministratori deve comportare un esborso effettivo superiore all'1% del patrimonio netto della società. In caso contrario si dovranno considerare i proventi connessi come redditi da lavoro dipendente.

Nel caso di specie il Tribunale di Milano, al pari di quanto asserito dalla Suprema Corte, ha ritenuto che il finanziamento, all'apparenza oneroso, fosse in realtà volto a far conseguire al ricorrente redditi da lavoro dipendente sotto forma di rendite finanziarie, non prevedendo una reale partecipazione al capitale di rischio. Oltretutto la retribuzione ufficiale del ricorrente risultava essere modesta rispetto alla posizione ricoperta di amministratore delegato, elemento da cui poter desumere che il finanziamento della società finalizzato all'acquisto di warrant ed alla successiva rivendita fosse in realtà una forma di incentivo salariale.

L'erronea qualificazione dei redditi tra elusione fiscale e dichiarazione infedele

L'imputato mediante il ricorso in opposizione al sequestro preventivo riteneva, in sostanza, che le condotte addebitate fossero penalmente irrilevanti, potendo, semmai, essere qualificate alla stregua di comportamenti elusivi ai sensi dell'art. 10-bis, comma 1, dello Statuto del contribuente secondo cui “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Tuttavia al riguardo è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2017, n. 38016) che l'istituto dell'abuso del diritto ha applicazione residuale rispetto alle disposizioni che sanzionano comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione ed all'utilizzo di documentazione falsa, cosicché è esclusa l'elusione qualora i fatti in sé costituiscano già un illecito. In sostanza l'abuso del diritto non è configurabile in presenza di condotte che comportino una diretta violazione delle norme in materia tributaria, siano esse di natura strettamente tributaria o penale tributaria. Nello specifico la condotta risultava contraria al disposto dell'art. 60, d.l. n. 50/2017.

Il ricorrente richiamava l'art. 4 d.lgs. 74/2000 che, al comma 1-bis, esclude la punibilità in caso di errata classificazione delle componenti reddituali. La Cassazione, al contrario, ha escluso l'applicabilità di tale previsione in considerazione della finalità evasiva emersa dalle comunicazioni intercorse con i consulenti tributari circa le modalità per evitare che i proventi fossero tassati come redditi da lavoro dipendente.

Una seconda ipotesi di dichiarazione infedele: la società interposta

In ultima analisi, la Cassazione si è espressa in merito all'imputazione ad una società, sotto forma di ricavi, di proventi derivanti da attività e partecipazioni dell'imputato ritenendo integrata la fattispecie penale di dichiarazione infedele. La società, holding partecipata quasi interamente dall'imputato, era statautilizzata fraudolentemente al solo scopo di evasione. Rappresentava un soggetto interposto creato appositamente per consentire al ricorrente di sottrarre all'imposizione i proventi personali. Prova ne era l'utilizzo delle finanze della società per scopi del tutto estranei rispetto all'oggetto sociale, quali l'acquisto di un immobile di ingente valore destinato all'uso personale dell'imputato.

L'interposizione della compagine sociale, non rispettando neppure formalmente le norme fiscali, al pari del complesso di operazioni in warrant non può configurare un'ipotesi di abuso del diritto bensì una violazione diretta della normativa tributaria, riconducibile al reato di dichiarazione infedele.

Osservazioni

Concludendo, dunque, per l'insussistenza dei presupposti per poter qualificare come meramente abusive le condotte dell'imputato e la conseguente conferma del sequestro preventivo dei profitti.

In tal modo, quanto ai limiti di operatività della disciplina dell'abuso del diritto in materia tributaria, la Suprema Corte ha chiarito univocamente che non sussistono i presupposti per poter qualificare come meramente abusive le condotte dell'imputato, trattandosi di operazioni che non hanno rispettato, neppure formalmente, le norme fiscali.

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