La circolazione dei beni soggetti ad accisa in sospensione d'imposta e la frode del terzo: responsabilità dei soggetti coinvolti

06 Giugno 2022

Con la sentenza del 24 marzo 2022 resa nella causa C-711/20, la Corte di Giustizia UE chiarisce che costituisce circolazione di prodotti in regime di sospensione dei diritti di accisa una spedizione, da parte di un depositario autorizzato, di prodotti soggetti a tale imposta, sotto copertura di un documento di accompagnamento e di una garanzia obbligatoria, anche nel caso in cui tali prodotti non giungano mai a destinazione a causa di un comportamento fraudolento di un terzo ed il destinatario indicato in tale documento di accompagnamento ed in tale garanzia non sia a conoscenza del fatto che gli sono spediti tali prodotti. Resta ferma in ogni caso la responsabilità del depositario nel pagamento dell'accisa, se nel corso della circolazione di prodotti soggetti ad accisa è stata commessa o accertata un'irregolarità o un'infrazione che comporta l'obbligo di pagare l'imposta, compreso il caso di frode, essendo egli, in linea di principio, responsabile per tutti i rischi inerenti a tale regime.
Premessa

Con la sentenza del 24 marzo 2022 resa nella causa C-711/20, la Corte di Giustizia UE chiarisce che costituisce circolazione di prodotti in regime di sospensione dei diritti di accisa una spedizione, da parte di un depositario autorizzato, di prodotti soggetti a tale imposta, sotto copertura di un documento di accompagnamento e di una garanzia obbligatoria, anche nel caso in cui tali prodotti non giungano mai a destinazione a causa di un comportamento fraudolento di un terzo ed il destinatario indicato in tale documento di accompagnamento ed in tale garanzia non sia a conoscenza del fatto che gli sono spediti tali prodotti.

Resta ferma in ogni caso la responsabilità del depositario nel pagamento dell'accisa, se nel corso della circolazione di prodotti soggetti ad accisa è stata commessa o accertata un'irregolarità o un'infrazione che comporta l'obbligo di pagare l'imposta, compreso il caso di frode, essendo egli, in linea di principio, responsabile per tutti i rischi inerenti a tale regime.

Il caso

Il caso ha origine da un controllo dell'Ufficio doganale della Repubblica Ceca su tre autocisterne che, secondo i documenti di accompagnamento esibiti, trasportavano oli minerali provenienti da un deposito fiscale situato nel territorio polacco gestito dalla TanQuid e destinati alla Ekol Gas, società di diritto ceco, nel corso del quale si constatava la falsità delle menzioni che comparivano nei documenti di accompagnamento.

Nel corso delle indagini si verificava altresì che la presunta destinataria Ekol Gas non aveva alcun contatto commerciale con la TanQuid.

Di talchè a seguito di una richiesta di informazioni proveniente dall'amministrazione doganale ceca, l'autorità polacca inviava a quest'ultima diversi documenti di accompagnamento da cui risultava che altri quantitativi di oli minerali erano stati asseritamente spediti alla Ekol Gas.

Veniva altresì accertato sia che tali documenti di accompagnamento non erano stati presentati all'ufficio doganale ceco ai fini della verifica dell'esattezza e della validità dei dati e che i timbri di quest'ultimo ufficio erano falsificati, sia che gli oli minerali erano stati trasportati a destinazione di una persona sconosciuta e scaricati direttamente nella Repubblica ceca, circostanza che avviava un procedimento penale per condotte fraudolente di terzi, il quale era però chiuso per motivi procedurali.

L'Ufficio doganale ceco emetteva vari avvisi di accertamento delle accise a carico della TanQuid ed il giudice del rinvio successivamente rimetteva alla Corte UE chiedendo se i requisiti formali e sostanziali per iniziare la circolazione di prodotti in regime sospensivo dei diritti di accisa fossero soddisfatti qualora, da un lato, con un comportamento fraudolento, alcuni terzi si fossero fatti passare per il destinatario autorizzato stabilito in un altro Stato membro e, dall'altro, la garanzia costituita ai fini di tale circolazione non avesse la portata richiesta.

La questione

La Corte UE ha evidenziato e ribadito l'esigenza, come regola principale, che la circolazione in regime sospensivo dei prodotti soggetti ad accisa avvenga, in linea di principio, tra depositi fiscali gestiti dai depositari autorizzati e che, nel caso in cui nel corso della circolazione sia stata commessa o accertata un'irregolarità o un'infrazione che comporta l'obbligo di pagare l'accisa, compreso il caso di frode, il depositario autorizzato sarà ritenuto responsabile per il pagamento dell'accisa a meno che dimostri la presa in carico dei prodotti da parte del destinatario per mezzo del documento di accompagnamento previsto dalla Dir. 92/12 (idem per l'attuale Direttiva n. 118/18).

La soluzione giuridica

Le modalità di circolazione in sospensione di imposta dei prodotti soggetti ad accisa. L'immissione in consumo come fatto generatore dell'accisa

Appare utile sviluppare alcune considerazioni in tema di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa in sospensione d'imposta, le cui eventuali irregolarità hanno refluenza ai fini della garanzia prestata (dal depositario/speditore o, in deroga, dal trasportatore/vettore, dal proprietario, dal destinatario o congiuntamente da due o più di tali soggetti), oltre a richiedere sia l'individuazione del luogo (territorio o paese) di immissione in consumo sia, da ultimo, eventualmente, la disamina della procedura comunitaria di assistenza fra Stati in materia di recupero di crediti (v. Dir. 76/308 sostituita dall'attuale Dir. 2010/24).

Ai fini “sistematici” si evidenzia che, nonostante le disposizioni applicabili ratione temporis al caso odierno riguardino la Dir. 92/12, la questione proposta dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale rimane attuale, dal momento che la Dir. 2008/118 (relativa al regime generale delle accise e che abroga la Dir. 92/12) si fonda, in sostanza, sugli stessi principi della Dir. 91/12 (v. le conclusioni dell'Avv. Gen. in C‑95/19, punto 4).

Di rilievo la ricognizione “sistematica” dell'impianto complessivo della Dir. 92/12, operata dall'Avv. Gen. Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer nelle sue conclusioni alla causa 325/99 (nota 25 e ss.), per il quale i diritti d'accisa sono imposte indirette sul consumo che possono avere un doppio obiettivo, sia fornire incassi al Tesoro sia - cosa non meno importante - dissuadere dal consumo di certi prodotti.

Egli prosegue affermando che il panorama della direttiva è molto più ampio dal momento che il suo obiettivo è di contribuire alla realizzazione del mercato interno per la libera circolazione delle merci soggette ad accisa, per conseguire il quale essa impone il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri che disciplinano questi tipi d'imposizione al fine “di assicurare che l'esigibilità delle accise sia identica in tutti gli Stati membri”.

Il legislatore comunitario ha quindi elaborato un sistema che, senza impedire la libera circolazione delle merci, garantisce la riscossione dei diritti d'accisa che gravano su di esse 1) mediante l'instaurazione di regole comuni di esigibilità (uguaglianza quanto al fatto imponibile ed uniformità nell'esigibilità) nonchè 2) sottoponendo la circolazione intra-UE delle merci soggette ad accisa a condizioni e garanzie che, senza arrecare danno a queste, permettono d'identificare e di localizzare sul territorio comunitario i prodotti per i quali l'accisa non è ancora divenuta esigibile mentre il fatto imponibile si è già realizzato.

Dopo aver delimitato le merci alle quali essa va applicata e che sono suscettibili di essere oggetto di disposizioni comunitarie (i prodotti energetici, l'alcool, le bevande alcoliche ed i tabacchi lavorati), la direttiva istituisce come fatto imponibile la produzione e l'importazione sul territorio della Comunità dei prodotti citati.

Dal momento che si tratta d'imposte sul consumo, l'esigibilità deve situarsi il più vicino possibile al consumatore finale così che questa risulterà dalla loro immissione in consumo, la quale potrà evidenziarsi, cronologicamente, anche dopo un determinato lasso di tempo.

Anche nelle accise è evidente un presupposto soggettivo ed uno oggettivo ed il dato normativo interno di riferimento (art. 2 del TUA - Testo Unico Accise - d.lgs. 504/95) collega il fatto generatore al momento della fabbricazione, compresa l'estrazione dal sottosuolo, nonché all'importazione delle merci soggette ad accisa, per poi “relegare” il momento esigibile alla sola immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato (v. l'art. 7 della Dir. 118/08), la quale può avvenire in caso di svincolo, anche irregolare, di prodotti soggetti ad accisa in sospensione d'imposta, oltre che di ammanco di prodotti, di fabbricazione irregolare, di importazione, anche irregolare, di detenzione fuori da un regime sospensivo ed infine in assenza delle condizioni per poter beneficiare di un'aliquota ridotta o di una esenzione (art. 2 c. 3 del TUA).

Ai fini dell'individuazione del presupposto oggettivo, attenta dottrina (v. M. Trimeloni, in Abbuono e sgravio delle imposte di fabbricazione: una terminologia ambigua, in Dir. e prat. trib., 1976, II, pag. 1119 e ss., richiamato da ultimo da C. C. Oliva, in Il presupposto di dazi ed accise doganali, Milano, 2018, pag. 24; v. anche, nel senso di sostenere la teoria del presupposto complesso a formazione complessiva, C. Verrigni, in Le accise nel sistema dell'imposizione sui consumi, Torino, pagg. 176 e ss.) ha correttamente valorizzato non tanto il consumo in sé quanto la produzione di beni destinata al consumo, elevando la destinazione al consumo a condizione qualificante il bene prodotto, evidenziando una sorta di vincolo di destinazione del bene affinché esso possa effettivamente essere assoggettato ad imposta e determini l'obbligo del pagamento, addivenendo così ad “integrare funzionalmente” la destinazione al consumo nel presupposto dell'imposta di fabbricazione quale componente endemica ovvero quale condizione di esigibilità del medesimo.

Tale integrazione del “momento” di immissione in consumo nel presupposto oggettivo trae origine dalle sostanziali riforme interne in materia di accise la cui origine, discutendo di tributi armonizzati, deriva dall'evoluzione normativa unionale.

È stato correttamente osservato (v. C. C. Oliva, op. cit. pag. 26; v. anche M. Cerrato, in Spunti intorno alla struttura e ai soggetti passivi delle accise, in Riv. Dir. trib., 1996, I, pagg. 215-219, nonché G. M. Cipolla, Le accise, in M. Scuffi, G. Albenzio, M. Miccinesi, in Diritto doganale delle accise e dei tributi ambientali, 2014, Milano, pagg. 641-648) che la disciplina di quelle che sono ora conosciute come accise, quale insieme di tributi una volta qualificati come imposte di fabbricazione, di consumo e (in parte) sovraimposte di confine, ha evidenziato un primo cambiamento nel corso degli anni 70', con l'avvento dell'IVA, ed ha richiesto un coordinamento dovuto tra le due imposte, aspetto che generò la scomparsa di un numero considerevole di imposte sui consumi.

Un ulteriore riduzione avvenne ad opera del processo europeo di armonizzazione delle accise, necessario a seguito delle Direttive 92/12, (ora 118/08), 92/82, 92/83 e 92/84, confluite infine internamente nel TUA del 1995, e consequenziale all'eliminazione delle frontiere interne europee dal 1993, processo che, per quel che qui riguarda, implementò fortemente il principio della tassazione nel Paese di destinazione al consumo ed il cui logico e conseguente corollario fu la valorizzazione, nella struttura delle accise, del momento di immissione in consumo quale loro tratto qualificante.

Quanto al presupposto soggettivo, nel settore delle accise la nozione di soggetto passivo, la cui analisi origina dall'art. 2 comma 4 del TUA, è estremamente ampia e ricomprende al suo interno tutti i soggetti coinvolti nella fabbricazione e nella circolazione dei beni soggetti ad accisa, ovvero tutti quei soggetti (figure professionali) tenuti a rispondere “verso l'ente creditore di adempimenti a rilevanza tributaria, siano essi di natura sia sostanziale che meramente formale” (v. M. Cerrato, op. cit., pag. 215).

In maniera più specifica si è espressa l'Agenzia delle Dogane (v. Circ. n. 7/D del 18.2.2004) osservando che in materia di accise il quadro normativo fa riferimento a figure professionali, in generale titolari di impianti di produzione e di deposito, che in virtù di particolari autorizzazioni, rilasciate dai competenti uffici finanziari sulla scorta di criteri soggettivi ed oggettivi, divengono responsabili dell'imposta, determinando in tal modo la neutralità della proprietà della merce rispetto all'obbligazione fiscale.

In sostanza, prosegue l'Agenzia, diventa irrilevante ai fini tributari il rapporto civilistico rispetto alla merce, mentre viene data preponderanza al rapporto tributario, rilevante essendo la circostanza che in ogni momento sia individuato, senza equivoci, il soggetto che deve rispondere del carico fiscale, evitando quindi che si creino soluzioni di continuità che possano interrompere il regolare flusso dell'imposta, che ha il suo esito naturale a) con il pagamento del tributo, a seguito dell'immissione in consumo, b) con il trasferimento del prodotto e del relativo carico fiscale ad altro deposito fiscale, c) con l'avvio dei prodotti ad usi esenti, come nel caso dell'esportazione o dell'imbarco quale provviste di bordo.

Da tale osservazione discende che, nei casi di trasferimenti tra impianti in regime sospensivo, ovvero dai depositi alla dogana di esportazione, qualunque sia la clausola contrattuale della cessione (condizioni di resa Incoterms o altre individuate dalle parti), incombe sul depositario la responsabilità del carico fiscale (accise) sul prodotto trasferito, sino al buon esito della spedizione.

Per tali motivi né il proprietario, né il vettore che entra nella materiale disponibilità del prodotto durante il trasporto, rilevano quali responsabili del carico fiscale per accisa; il proprietario, quindi, ha la disponibilità civilistico-giuridica della merce mentre “la disponibilità fiscale resta in capo al depositario che in realtà non pone in essere il presupposto ma collabora a far sì che la merce sia immessa in consumo” (v. C. Verrigni, op. cit., pag. 209).

Per effetto dell'art. 2 comma 4 del TUA, è obbligato al pagamento dell'accisa: a) il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l'immissione in consumo e, in solido, i soggetti che si siano resi garanti del pagamento ovvero il soggetto nei cui confronti si verificano i presupposti per l'esigibilità dell'imposta; b) il destinatario registrato che riceve i prodotti soggetti ad accisa alle condizioni di cui all'articolo 8; c) relativamente all'importazione di prodotti sottoposti ad accisa, il debitore dell'obbligazione doganale individuato in base alla relativa normativa e, in caso di importazione irregolare, in solido, qualsiasi altra persona che ha partecipato all'importazione.

Ai sensi dell'art. 6 comma 4 del TUA i soggetti che possono porsi in rapporto di garanzia (che deve avere validità in tutti gli Stati UE) con il depositario possono essere il proprietario, il trasportatore o il vettore della merce o, in solido, più soggetti tra quelli ora menzionati e, in alternativa, il destinatario dei prodotti, in solido con il depositario autorizzato mittente o con lo speditore registrato.

Come osservato in dottrina, la figura del garante è scevra dalle ipotesi tipiche di realizzazione del presupposto oggettivo del tributo (fabbricazione, estrazione, importazione ed immissione in consumo), essendo la sua una vera e propria figura di responsabile d'imposta (in qualità di condebitore solidale dipendente) che si affianca, come tale, al soggetto che pone in essere il presupposto del tributo (v. G. M. Cipolla, in Presupposto, funzione economica e soggetti passivi delle accise nella cessione di oli ad intermediari commerciali, in Rass. Trib., 2003, I, pag. 1865).

Nell'ambito della circolazione intra-UE dei prodotti in sospensione da accisa in relazione alla quale insiste la garanzia, alla figura dello speditore registrato che per espressa disposizione normativa (art. 9 c. 2 del TUA) non può detenere prodotti in sospensione d'imposta bensì solo spedirli, si affianca l'ulteriore figura del destinatario registrato che al contrario può solo ricevere o detenere i prodotti (entrambi soggetti introdotti con il d.lgs. 48/2010 di recepimento della Dir. 118/08), per i quali il TUA richiede il rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività da parte della Dogana che attribuisce loro un codice di accisa, oltre al dovere di prestare una garanzia, di iscrivere nella propria contabilità i prodotti non appena ricevuti e di sottoporsi a qualsiasi eventuale controllo o accertamento.

Ulteriore menzione è per la figura del rappresentante fiscale (ai fini accise), accostabile a quella di un responsabile d'imposta (v. C. C. Oliva, op. cit., pag. 103), quale soggetto deputato a immettere in circolazione i prodotti, soggetti ad accisa in regime sospensivo, previo pagamento dell'imposta in luogo del cedente estero ed assolvimento delle formalità, destinati ad un deposito fiscale o ad un destinatario registrato o ad un luogo da cui verranno esportati.

Si aggiunga che, mentre le merci ricevute dal destinatario registrato sono nella sua disponibilità materiale, tant'è che può detenerle una volta assolta la relativa accisa dal momento che l'immissione in consumo si verifica alla ricezione della merce, lo speditore registrato non viene materialmente in contatto con i prodotti i quali, successivamente alla loro immissione in libera pratica, saranno da lui spediti, occupandosi egli di tutti gli adempimenti fiscali correlati.

Si giunge così al concetto di circolazione delle merci, in particolare in sospensione d'imposta (prodotti soggetti ad accisa), che ha luogo con un documento amministrativo elettronico (e-AD, v. art. 21 della Dir. 118/08 e 6 c. 5 del TUA) ed inizia o nel momento in cui le merci lasciano il deposito fiscale o all'atto della loro immissione in libera pratica e si conclude o con la presa in consegna delle stesse da parte del destinatario o con la loro esportazione (v. artt. 6 commi 3 e 6 del TUA e 10 della Dir. 118/08).

La circolazione delle merci in sospensione ruota intorno alla nozione di deposito fiscale ed alla figura del depositario autorizzato il quale, ai sensi degli artt. 4 della Dir. 118/08 e 5 del TUA, è quel soggetto autorizzato dalle autorità competenti di uno Stato membro, nell'esercizio della sua attività, a fabbricare, trasformare, detenere, ricevere o spedire prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall'accisa in un deposito fiscale.

L'accisa, quindi, diventa esigibile solo al momento dell'immissione in consumo, alla quale la norma equipara (artt. 7 della Dir. 118/08 e 2 del TUA), come sopra riportato, lo svincolo irregolare, l'ammanco oltre i limiti concessi, l'importazione e la fabbricazione irregolare nonché la detenzione al di fuori del regime del deposito fiscale (v. anche i punti 38 e 44 delle conclusioni dell'Avv. Gen. Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer in C-325/99), ovvero irregolarità per le quali tanto la Dir. 912/12 quanto la successiva Dir.118/08 (e di conseguenza anche il TUA) richiedono l'individuazione del luogo esatto di immissione in consumo ai fini del pagamento dell'accisa.

Dal momento che entrambe le direttive sulle accise, considerate nel loro complesso, prevedono un regime uniforme dei prodotti soggetti ad accisa da parte degli Stati membri, fondato sul principio secondo il quale i diritti di accisa sono esigibili una sola volta, ed altresì che l'infrazione o l'irregolarità può aver luogo in ogni Stato in cui circolano i prodotti, sia l'art. 20 della vecchia Dir. 92/12 sia gli artt. 10 e 38 della Dir. 118/08 (v. i correlativi artt. 7 e 10-ter del TUA), mirano a prevenire i conflitti di competenza tra Stati membri che intendano tassare i prodotti oggetto dell'infrazione o dell'irregolarità, con il fine, in linea di principio, di evitare le doppie imposizioni nelle relazioni tra Stati membri (v. CGUE caso Prankl, C‑175/14, punto 20 e giur. cit.).

Entrambe le norme unionali mirano, in particolare, a determinare lo Stato membro che è il solo autorizzato a riscuotere i diritti di accisa sui prodotti interessati qualora siano state commesse, nel corso della circolazione, un'irregolarità o un'infrazione (v. CGUE caso Cipriani, C‑395/00, p. 46, e BATIG, C‑374/06, p. 44), ciò che comporta la responsabilità del depositario autorizzato speditore, la quale viene meno solo con la prova della presa in carico dei prodotti da parte del destinatario.

Tale responsabilità, come ribadito ai punti 43 e 48 della sentenza qui in commento è, inoltre, di tipo oggettivo e si basa non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositario, bensì sulla sua partecipazione a un'attività economica e vincola il depositario autorizzato, quale responsabile del pagamento dell'accisa, in tutti i casi di irregolarità o di infrazione, compreso il caso di frode (v. anche CGUE caso Silcompa SpA, C-95/19, punto 52, e Kapnoviomichania Karelia, C‑81/15, punti 31 e 32).

Qualora un'irregolarità o un'infrazione sia stata commessa nel corso della circolazione e comporti l'esigibilità dell'accisa, la direttiva attribuisce la facoltà di riscossione dei diritti di accisa, in via principale, allo Stato membro del luogo in cui l'irregolarità o l'infrazione è stata commessa e nel caso in cui il luogo ove l'infrazione o l'irregolarità è stata commessa non possa essere stabilito, sono previste delle presunzioni riguardo la determinazione di tale luogo, rispettivamente, a favore dello Stato membro in cui l'infrazione o l'irregolarità è stata accertata o, allorché i prodotti soggetti ad accisa non giungono a destinazione e non è possibile stabilire il luogo in cui l'irregolarità o l'infrazione si è verificata, a favore dello Stato membro di spedizione e nel momento in cui è iniziata la circolazione, a meno che, entro un termine di quattro mesi dalla data in cui ha avuto inizio la circolazione, sia fornita la prova, ritenuta soddisfacente dalle autorità fiscali, o della conclusione della circolazione o del luogo in cui si è verificata l'irregolarità.

La direttiva prevede poi un meccanismo detto “correttivo”, per i casi in cui, successivamente, la presunzione venga meno a causa di circostanze di fatto che consentono di stabilire la competenza di uno Stato membro diverso da quello designato in applicazione di detta presunzione, qualora prima della scadenza di un termine di tre anni dalla data del rilascio del documento amministrativo elettronico (DAA), si determini lo Stato membro nel quale l'irregolarità si è effettivamente verificata, spettando in tal modo a tale Stato membro procedere alla riscossione dell'accisa dovuta all'aliquota in vigore alla data di spedizione delle merci.

In tal caso, fornita la prova di detta riscossione, l'accisa inizialmente riscossa da un altro Stato membro viene rimborsata.

Pertanto, sebbene, in pratica, più infrazioni o irregolarità successive possano aver luogo in diversi Stati membri, nel corso della circolazione dello stesso prodotto soggetto ad accisa, solo la prima di esse, vale a dire quella che ha avuto come conseguenza lo svincolo dei prodotti in corso di circolazione dal regime sospensivo dei diritti di accisa, ha valore giuridico ai sensi della direttiva, nella misura in cui una siffatta infrazione ha avuto l'effetto di immettere verosimilmente i prodotti in consumo (v. le conclusioni dell'Avv. Gen. punto 56 in C-95/19).

Come osservato (v. C-95/19 p. 56) tale meccanismo correttivo riguarda non già la situazione di un conflitto di competenze tra uno Stato membro in cui l'irregolarità è stata commessa nel corso della circolazione di prodotti per i quali l'accisa è esigibile ed un altro Stato membro in cui, successivamente, ha avuto luogo un'immissione in consumo di tali prodotti, bensì l'ipotesi in cui è chiaro che il luogo in cui l'irregolarità o l'infrazione è stata effettivamente commessa si trova in uno Stato membro diverso da quello inizialmente determinato.

Osservazioni

In chiusura di commento, nonostante sia un tema non evidenziato qui dalla Corte UE in quanto non rilevante dalla narrativa, si ritiene utile riferire brevemente in merito all'ipotesi di assistenza reciproca tra Stati membri UE in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed accise, di cui alla Dir. 76/308, abrogata e sostituita dall'attuale Dir. 2010/24, nel caso in cui l'autorità dello Stato richiedente chieda assistenza a quella dello Stato adito al fine del recupero dei crediti sorti nel primo, al fine di notificare al debitore tutti gli atti provenienti dallo Stato membro richiedente e relativi a tali crediti.

La Dir. 2010/24, la quale non si occupa delle ipotesi in cui ad esempio vengono fatti valere da due Stati membri due crediti concorrenti fondati sulle stesse operazioni di esportazione, l'uno accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita e l'altro accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l'autorità richiedente (le norme sulla ripartizione delle competenze sono infatti previste nella direttiva accise), mira ad attuare il principio di fiducia reciproca facilitando l'assistenza al recupero dei crediti tra Stati membri, prevedendo tre forme separate e particolari di assistenza reciproca che l'autorità adita è tenuta a prestare su domanda di un'autorità richiedente (v. C-95/19 p. 75).

Tali forme riguardano la richiesta di informazioni, la domanda di notifica al destinatario dei documenti concernenti un credito emanati dallo Stato membro in cui ha sede l'autorità richiedente e la domanda di recupero dei crediti oggetto di un titolo che ne permetta l'esecuzione.

La direttiva, nell'art. 14, contiene poi disposizioni specifiche relative alla ripartizione della competenza tra gli organi dello Stato membro in cui ha sede l'autorità richiedente e quelli dello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita, delle competenze a conoscere delle controversie vertenti, rispettivamente, sul credito o sul titolo che consente il suo recupero e sui provvedimenti esecutivi stessi (v. C-95/19, p. 70 e C‑233/08, p. 37).

Aspetto di rilievo della Dir. 2010/24, evidenziato anche dall'Avv. gen. Bobek (v. concl. in C‑695/17, p. 40), è l'applicazione, quale regola generale, della lex auctoritatis, secondo cui gli atti compiuti dalle autorità di uno Stato membro sono disciplinati (e la loro validità dipende quindi) dalla legge di detto Stato membro, con la conseguenza che l'organo competente di ciascuno Stato membro esamina unicamente la legittimità degli atti compiuti e delle misure adottate dalle autorità di detto Stato membro alla luce della relativa normativa interna.

Le domande di recupero da parte dello Stato richiedente, il quale in linea di principio non può presentare una domanda di recupero se e finché il credito e/o il titolo sono contestati in tale Stato membro, sono accompagnate da un titolo uniforme che consente l'esecuzione nello Stato membro adito, titolo che non richiede alcun atto di riconoscimento, completamento o sostituzione nello Stato membro adito.

In base all'art. 14 sopra richiamato, qualora un credito o il titolo che ne permetta l'esecuzione siano contestati nel corso della procedura di recupero, è adito l'organo competente dello Stato membro richiedente; qualora, invece, la contestazione riguardi i provvedimenti esecutivi o la validità della notifica adottati nello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita, l'azione andrà esperita davanti all'organo competente di questo Stato membro.

In tali casi l'autorità adita sospende la procedura di esecuzione non appena sia stata informata che è pendente nello Stato richiedente una controversia vertente sulla contestazione del credito o del titolo che ne permette l'esecuzione, in attesa della decisione dell'organo competente dello Stato membro richiedente.

Il titolo esecutivo per il recupero del credito è riconosciuto direttamente e trattato automaticamente come un documento che consente l'esecuzione di un credito dello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita, il che costituisce l'espressione del principio di fiducia reciproca, non potendo tale organo rimettere in discussione la valutazione delle autorità dello Stato membro richiedente relativa al luogo in cui l'irregolarità o l'infrazione è stata commessa, poiché una siffatta valutazione fa parte dell'oggetto stesso del credito di cui lo Stato membro richiedente chiede il recupero e rientra quindi nella sua esclusiva competenza (v. concl. Avv. gen. in C-95/19 p. 70).

È però possibile che la sua esecuzione sia rifiutata e l'assistenza negata, a norma dell'art. 18 della direttiva, se ad esempio il recupero del credito è di natura tale da provocare, a causa della situazione del debitore, gravi difficoltà di ordine economico o sociale nello Stato membro adito o tale titolo risale a più di cinque anni prima (v. C-34//17 p. 47 e C‑233/08 p. 42).

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