Il consenso alla deroga al regime legale di ripartizione delle spese deve rivestire forma scritta
10 Giugno 2022
Massima
La tabella millesimale, da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ha natura contrattuale e necessita di approvazione unanime, non desumibile da fatti concludenti. Il caso
Un condomino ricorreva dinanzi al Tribunale di Catania, ai sensi dell'art. 1137 c.c., chiedendo la sospensione dell'efficacia e l'annullamento di una delibera assembleare con la quale erano state approvate delle opere di risanamento dei prospetti di una delle tre palazzine facenti parte di un supercondominio. Il ricorrente invocava l'illegittimità della ripartizione delle spese secondo le tabelle millesimali generali. Sosteneva, infatti, che per la riparazione dei prospetti era esistente una tabella apposita che non prevedeva alcuna attribuzione millesimale per l'immobile di sua proprietà. Il condominio, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del ricorso, sostenendone l'infondatezza. Il giudice adito sospendeva l'efficacia della delibera impugnata con ordinanza che, successivamente, a seguito di reclamo promosso dal condominio, veniva revocata. Il Tribunale di Catania rigettava il ricorso, in mancanza di una prova circa l'approvazione all'unanimità della tabella millesimale apposita, invocata dall'attore. Avverso la sentenza veniva proposto ricorso in appello, dove il condominio si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del gravame. La questione
La carenza probatoria circa l'approvazione delle tabelle invocate dal condomino - da cui risulti una deroga convenzionale al regime legale di ripartizione delle spese - non è superabile neppure ricorrendo ad un ragionamento presuntivo. La deliberazione che approva tali tabelle millesimali necessita di un consenso unanime. Si tratta di verificare se esso possa discendere da facta concludentia. Le soluzioni giuridiche
La Corte d'Appello di Catania rigetta l'appello proposto dal condomino avverso la sentenza del giudice di prime cure, ritenendo legittima la delibera assembleare e infondati i motivi di ricorso. Conferma interamente la sentenza oggetto di impugnazione e condanna l'appellante a rifondere le spese processuali in favore del condominio. Osservazioni
Ai sensi dell'art. 1118 c.c. il diritto di ogni condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene. Nel regolamento condominiale, presente negli edifici il cui numero di condomini è superiore a dieci, sono contenute le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino. Il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare, ai sensi dell'art. 68 disp. att. c.c., è espresso in millesimi, in apposita tabella allegata al regolamento condominiale. In base alla modalità di formazione, le tabelle millesimali possono essere di natura contrattuale, se predisposte dall'originario proprietario/costruttore e richiamate nei singoli atti di compravendita e accettate dagli acquirenti in sede di rogito, o assembleare, se deliberate dall'assemblea. Se le tabelle derogano al regime legale di ripartizione delle spese comuni dovranno essere approvate all'unanimità dei condomini. L'art. 69 disp. att. c.c., modificato a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, recante modifiche alla disciplina condominiale, non prevede se per l'approvazione delle tabelle millesimali sia necessaria una maggioranza, seppur qualificata, oppure occorra un consenso unanime dei condomini. Il comma 1 disciplina soltanto la rettifica o la modifica dei valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nelle tabelle millesimali, stabilendo che ciò possa avvenire soltanto all'unanimità. Nulla si dice in merito all'approvazione ex novo delle stesse. La Suprema Corte ha sostenuto la tesi secondo la quale per l'approvazione delle tabelle millesimali sia sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., ossia un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio - Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2010, n. 18477; Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2018, n. 27159; Cass. civ., sez. VI, 9 febbraio 2021, n. 3041; Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2020, n.6735; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma 18 gennaio 2022, n. 672; Trib. Pisa 1° dicembre 2021, n. 1563; Trib. Nocera Inferiore 19 luglio 2021, n. 1036: Trib. Perugia 29 settembre 2020, n. 1019; Trib. Monza, 4 gennaio 2021 - al quale rinviava l'art. 1138, comma 3, c.c. dettato in tema di approvazione del regolamento di condominio, cui le tabelle devono essere allegate, secondo quanto previsto dall'art. 68 disp. att. c.c. - purché tale approvazione sia meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, e quindi dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso. Per parte della giurisprudenza l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali costituisce oggetto di un negozio di accertamento, non rientra nella competenza dell'assemblea e richiede il consenso di tutti i condomini. In mancanza di questo, compete al giudice, su istanza degli interessati e in contraddittorio con tutti i condomini, provvedere alla formazione delle tabelle (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2001, n. 13631; App. Napoli 26 maggio 2009, n. 1768; Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1974, n. 4274). Anche per parte della dottrina, con l'entrata in vigore della l. n. 220/2012 viene stabilito che solo all'unanimità possono essere modificate le tabelle millesimali, ma è ragionevole ritenere che, sempre con il consenso unanime di tutti i partecipanti, le stesse possano formarsi per la prima volta. È principio pacifico in dottrina che l'art. 1123 c.c. - che dispone espressamente che la ripartizione delle spese avvenga in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno “salvo diversa convenzione” - sia, in linea di principio, interamente derogabile da una volontà unanime dei partecipanti al condominio, i quali possono convenire diversi criteri di ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio. Si ritiene, dunque, legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale ovvero deliberata dall'assemblea con approvazione di tutti i condomini. È, infatti, considerata affetta da nullità la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17101). Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. La disposizione dell'art. 1123 c.c. si ritiene applicabile anche nell'ipotesi di cd. condominio minimo. Pertanto, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici, di cui all'art. 1123 c.c., e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall'art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9280). In giurisprudenza, si afferma che l'unità sistematica tra la disposizione dell'art. 1118, comma 1, c.c. - a norma del quale il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni dell'edificio è proporzionato al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene - e la disposizione del comma 1 dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di proprietà delle cose comuni o dall'uso (Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546). La Corte territoriale etnea si richiama ad un recente orientamento della Suprema Corte, per la quale l'atto di approvazione o di revisione delle tabelle, avendo veste di deliberazione assembleare, deve rivestire la forma scritta ad substantiam dovendosi escludere approvazioni per facta concludentia (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2019, n. 26042). Per il giudice distrettuale, anche se si volesse aderire a un differente e più risalente orientamento (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2009, n. 3245; Trib. Milano 26 ottobre 2012, n. 11784), secondo il quale il consenso alla deroga al criterio legale può essere manifestato anche per comportamenti concludenti, costanti ed inequivoci, di ciò non vi è prova agli atti. Non emerge l'esistenza di una concorde volontà di derogare al criterio previsto dalla legge per la ripartizione delle spese comuni. Conseguentemente, non può affermarsi un'unanime approvazione per fatti concludenti, i quali sono ravvisati in quei comportamenti interpretabili, inequivocabilmente, come un tacito consenso all'approvazione. Ad esempio, di recente, la Corte d'Appello di Roma (sent. 16 luglio 2021, n. 5290) ha rigettato l'appello proposto avverso una pronuncia del Tribunale capitolino, ritenendo che la doglianza dell'appellante - il quale lamentava tra i motivi di gravame la violazione degli artt. 1123 e 1136, comma 6, c.c. e 68 disp. att. c.c., non avendo il primo giudice ritenuto nulla la delibera impugnata nonostante con la stessa l'assemblea condominiale avesse adottato un criterio di riparto delle spese difforme da quello stabilito nella tabella allegata al regolamento di condominio regolarmente approvato, e chiedeva la rettifica dei valori proporzionali indicati nella tabella medesima in quanto affetti da errore ai sensi dell'art. 69, n. 1). disp. att. c.c. - fosse destituita di fondamento. Il giudice romano si richiamava a una pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2015, n. 2726), per la quale la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza rappresentata dalla concreta disapplicazione delle stesse tabelle per più anni, può assumere il valore di univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica dei criteri di ripartizione da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purchè inequivoco, dell'assemblea dei condomini. Dal riesame delle risultanze istruttorie, emergeva chiaramente la disapplicazione costante, da parte dell'assemblea condominiale, da numerosi anni, dei criteri di riparto delle spese previsti dalle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio. Dunque, i condomini, ritenendo che i vecchi valori millesimali non riproducessero più lo stato di fatto delle proprietà individuali, avevano di fatto abbandonato la vecchia tabella, aderendo implicitamente alle nuove. Conforme, invece, alla decisione della Corte di Appello catanese in esame - che trova d'accordo la scrivente - è una pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata (sent. 21 settembre 2020, n. 1330), per il quale, ai fini della modifica della tabella millesimale, è necessaria la forma scritta ad substantiam, non rilevando, ad esempio, il pagamento dei contributi per diversi anni da parte dei condomini in base alla tabella di fatto applicata, né la prolungata accettazione dei bilanci, né la partecipazione con voto favorevole a reiterate delibere di ripartizione delle spese condominiali straordinarie e neppure l'acquiescenza alla concreta attuazione di tali tabelle. Il giudice campano, in quell'occasione ha affermato altresì che il requisito della forma scritta ad substantiam deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio al quale sono allegate le tabelle millesimali. Riferimenti
Celeste, Modifiche dei valori millesimali: maggiori certezze dopo la riforma, in Immob. & proprietà, 2013, fasc. 5, 279; Triola, Le tabelle millesimali, in Giur. it., 2013, 1720; Triola, Modifica di tabelle millesimali per facta concludentia, in Giust. civ., 1995, I, 529; Scarpa, Natura e forma dell'atto di approvazione delle tabelle millesimali, in Immob. & proprietà, 2014, fasc. 7, 420. |