Sufficiente la volontà del locatore al diniego di rinnovo del contratto locatizio alla prima scadenza
13 Giugno 2022
Massima
In tema di locazione abitativa, il locatore può legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza (ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 della l. n. 431/1998) con una mera manifestazione volontaristica in tal senso, non essendo invero all'uopo necessaria la prova dell'effettiva esigenza della destinazione dell'immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare. Resta, tuttavia, fermo in ogni caso il diritto del conduttore al ripristino del rapporto locativo alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato (o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del menzionato art. 3), qualora il locatore abbia adibito l'immobile ad uso diverso da quello dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità. Il caso
La controversia prendeva le mosse dall'azione, promossa dalla locatrice, conseguente ad intimazione di licenza per finita locazione. Il conduttore si costituiva in giudizio innanzi il Tribunale di Venezia chiedendo, per contro, l'accertamento e la dichiarazione di inammissibilità e/o improcedibilità del procedimento de quo, giusta la mancata applicazione delle norme previste dall'art. 447-bis c.p.c. nonché, in via subordinata, il cambio di rito ex art. 426 c.p.c. Il tutto precisandosi, però, che lo stesso conduttore non si opponeva contestualmente nel meritoal diniego di rinnovo del contratto locatizio effettuato dalla ricorrente con l'approssimarsi della prima scadenza del contratto stesso. La questione
Si trattava, quindi, di verificare un duplice aspetto: e precisamente, in via prioritaria l'avvenuta violazione o meno dell'art. 447-bis c.p.c. che, al comma 1, espressamente estende l'àmbito di applicazione delle norme disciplinanti il rito del lavoro, tra l'altro, anche alle controversie in materia locativa; secondariamente, si trattava, per il giudice di merito, di verificare se il processo de quo si stesse effettivamente svolgendo con un rito differente da quello necessario, in modo da predisporne il relativo cambio ai sensi e per gli effetti dell'art. 426 c.p.c. Le soluzioni giuridiche
Al riguardo, il Tribunale veneziano, dopo aver riconosciuto fondata l'eccezione sollevata in via subordinata dal resistente ed aver, quindi, disposto il mutamento di rito ex art. 426 c.p.c., aveva ritenuto, quanto all'eccezione mossa prioritariamente dal conduttore, non potersi rilevare alcuna inammissibilità e/o improcedibilità. Nella specie, il giudice di merito, conformandosi a consolidato orientamento giurisprudenziale, aveva innanzitutto richiamato, ai fini decisionali, l'assunto per cui, in tema di locazione abitativa, la legittimazione del locatore all'esercizio della facoltà di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza è da ricercarsi non in particolari obblighi dimostrativi del medesimo soggetto ma in una sua mera manifestazione di volontà in tal senso. Detto ciò, l'autorità giudiziaria aveva rilevato che, nel caso in trattazione, la ricorrente, nel dare formale disdetta al contratto locatizio, aveva proceduto a precisarne la motivazione. La parte attrice si era, infatti, premurata di specificare che il diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza era dipeso dal fatto di dover destinare l'immobile oggetto del contratto stesso ad abitazione di proprio parente di secondo grado; il tutto conformemente, tra l'altro, al combinato disposto degli artt. 3, comma 1, della l. n. 431/1998 e 29, comma 1, lett. b), della l. n. 392/1978. Il fatto poi che il resistente, nelle memorie conclusive, avesse sostenuto di non poter conciliare la vertenza “perché ciò avrebbe costituito acquiescenza ai diritti che la legge prevede in suo favore nel caso di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta da parte della locatrice” risultava in ogni caso, per l'organo giudicante, privo di rilievo alcuno. Il Tribunale di Venezia aveva, invero, rilevato che resta sempre salvo per il conduttore il diritto “al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell' eventualità in cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità” (v. Cass. n. 25808/2009). A quanto sopra, è altresì da aggiungere che lo stesso conduttore, costituitosi in giudizio, non si era opposto al diniego di rinnovo del contratto di locazione e, anzi, aveva richiesto l'emissione di ordinanza di rilascio dell'immobile locato non potendo “che prendere atto della dichiarazione contenuta nella lettera raccomanda di disdetta per la prima scadenza del contratto” (v. la motivazione della sentenza in commento). Soprattutto questo ultimo aspetto era risultato decisivo ai fini della decisione della vertenza in oggetto in favore della ricorrente. L'organo giudicante, infatti, aveva all'uopo osservato che proprio la richiesta del convenuto di emissione del provvedimento di rilascio dell'immobile già locato ex art. 30 della l. n. 392/1978 comportava di fatto rinuncia, da parte di tale soggetto,“all'eccezione preliminare di improcedibilità e/o di inammissibilità della domanda” avanzata da parte attorea. Pertanto, già preliminarmente, non poteva rilevarsi alcuna violazione dell'art. 447-bis c.p.c. per mancata applicazione delle norme in esso previste al comma 1 relativamente alle controversie in materia locativa. Osservazioni
Il comma 1 dell'art. 2 della c.d. legge sulle locazioni abitative stabilisce l'automatico rinnovo, per un quadriennio, dei contratti locativi liberi al verificarsi della prima scadenza degli stessi. Il tutto però “fatti salvi i casi in cui il locatore intenda adibire l'immobile agli usi (…) di cui all'art. 3”, comma 1, della stessa legge. Tra questi ultimi, definiti espressamente dall'articolo citato come tassativi, rientra, alla lett. a) della medesima disposizione normativa, proprio la situazione oggetto di vertenza; ossia il caso in cui il locatore intenda destinare il bene locato ad abitazione di propri parenti entro il secondo grado. È, innanzitutto, da sottolineare in proposito che, al pari di altre norme (artt. 29 l. n. 392/1978, e 11 l. n. 359/1992), anche la disposizione sopra menzionata parla non di necessità ma solo di intenzione del locatore di disporre dell'immobile locato per adibirlo ad uno degli usi ivi indicati. Tale “intenzione non concreta una cessazione del rapporto ad libitum del locatore, ma deve esprimere un intento serio cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente” (così Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1994, n. 9550); un intento che, in caso di controversia, possa essere indagato (proprio quanto a serietà e realizzabilità) dall'organo giudicante al tempo preposto. È da notare che tale intenzione non può quindi essere dichiarata in termini contraddittori. Il contenuto della dichiarazione di disdetta da parte del locatore non deve, infatti, lasciare nel conduttore il minimo dubbio sull'intenzione di impedirgli di occupare l'immobile oltre la scadenza contrattuale. All'uopo è, tuttavia, da ricordare che l'intento summenzionato, pur quanto serio, “non è sindacabile nel suo contenuto di merito, non potendo il giudice interferire sull'utilità o sulla convenienza della divisata destinazione per il locatore” (così Cass. n. 977/2010). La legge, infatti, prevede un meccanismo sanzionatorio piuttosto pesante per il locatore che eserciti illegittimamente la facoltà di disdetta alla prima scadenza, pertanto, si presume che questi “non invochi maliziosamente e superficialmente la particolare intenzione addotta a sostegno del formulato diniego, a meno che non emergano concreti elementi che inducano il giudice a ritenere l'intenzione dedotta irrealizzabile” (così Cass. n. 12127/2010). Pertanto, alla luce di quanto sopra, risulta valido quanto ribadito dallo stesso Tribunale lagunare nella vertenza in argomento. E cioè la non necessità, per il locatore, di provare l'effettiva necessità di destinazione dell'immobile locato ad abitazione - nel caso qui trattato - di un proprio familiare, essendo quindi sufficiente una mera manifestazione di volontà in tal senso. Il tutto anche perché resta sempre possibile per il conduttore (costituendone un proprio diritto) il richiedere, se del caso, il “ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, (il) risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell'eventualità in cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità” (così Cass. n. 25808/2009). Quanto, poi, alla specificità nella motivazione di diniego nel rinnovo della locazione, richiesta dall'art. 3 della l. 431/1998, questa - in accordo con le previe rilevazioni - non può che concepita in un duplice senso. E cioè sia come possibilità di una analisi aprioristica della serietà delle ragioni addotte dal locatore, sia come opportunità di successiva verifica circa la reale destinazione dell'immobile locato ai fini dell'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 3, “invocabili anche quando l'immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile ad una delle ipotesi previste dall'art. 3, ma diversa da quella indicata” (Nasini). Nel comunicare la disdetta del contratto locatizio, il locatore deve quindi specificare, a pena di nullità, il motivo sul quale la disdetta è fondata. Non è sufficiente un mero rinvio alla norma di legge, la disdetta, infatti, “non può limitarsi a fare generico riferimento all'intenzione del locatore di svolgere, nell'immobile del quale si richiede la restituzione, un'attività non meglio specificata (…), ma deve indicare, incorrendo altrimenti nella sanzione di nullità (…), quale particolare attività il locatore (…) intende svolgere nel detto immobile, sia perché, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la serietà della intenzione indicata, ed il giudice non potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza della condizione per il riconoscimento del diritto al diniego di rinnovo, sia perché verrebbe impedito il successivo controllo sull'effettiva destinazione dell'immobile all'uso indicato” (così Cass. n. 19223/2007). La ratio di ciò va ricercata nella volontà di garantire al conduttore una maggiore stabilità del rapporto, limitando a fattispecie specifiche la possibilità di negare il rinnovo alla prima scadenza. L'omessa indicazione del motivo rende perciò nullo il diniego di rinnovo del contratto. Questa fattispecie ha come conseguenza che il contratto di locazione prosegue anche per il successivo periodo previsto dalla legge. Se, poi, il locatore, riacquistata la disponibilità dell'alloggio a seguito del diniego di rinnovazione, non lo dovesse adibire nel termine di 12 mesi all'uso dichiarato, il conduttore avrà diritto al ripristino del rapporto di locazione alle stesse condizioni di cui al contratto disdettato. Oppure, in alternativa, al risarcimento del danno, pur in difetto di prova, nella misura predeterminata dalla legge, non inferiore a 36 mensilità dell'ultimo canone versato. Quanto, poi, alla forma circa la comunicazione del diniego di rinnovo del contratto di locazione alla prima scadenza, la legge non richiede al locatore l'impiego di particolari formalità. È sufficiente che sia chiaro l'intento rescissorio (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2012, n. 13199). Infatti, solo in presenza di una disdetta adeguatamente illustrata, in caso di controversia, è possibile verificarne la serietà e realizzabilità dell'intento del locatore. Pertanto, basta solo che - come accaduto nel caso in trattazione - il locatore invii all'inquilino, almeno sei mesi prima della scadenza, una raccomandata con avviso di ricevimento contenente l'indicazione del motivo del mancato rinnovo. Motivo che - come detto - deve necessariamente rientrare tra quelli elencati all'art. 3, comma 1 della l. n. 431/1998. È, infine, da notare che, sul versante dottrinale, si è avanzata altresì la problematica se l'ipotesi di mancato rinnovo di cui al presente commento (al pari delle altre disciplinate dall'art. 3, lett. a, l. n. 431/1998) possa riferirsi a qualsiasi soggetto locatore o solamente al locatore inteso quale persona fisica. In proposito, si ravvisa un'interpretazione restrittiva ed una estensiva. Nel primo caso, si sostiene che quando la richiamata normativa parla di “uso abitativo o professionale e di utilizzazione da parte di coniuge o di parenti”, essa inerisce a “concetti che si possono logicamente riferire solo alla persona fisica” (Grasselli). Nel secondo, invece - e si tratta dell'orientamento ora prevalente - viene sostenuto che, nella legge sulle locazioni, si fa riferimento a tutto tondo alla figura del locatore, senza alcuna differenziazione. Il tutto con la conseguenza per cui, “salve le valutazioni da farsi con riferimento al singolo caso concreto, non esiste alcun argomento letterale che porti ad escludere che un soggetto non persona fisica possa negare la rinnovazione” (Nasini). Riferimenti
Grasselli, La locazione di immobili, 1999, 366; Nasini-Nasini, La locazione di immobili urbani ad uso abitativo, 2019, 38; Granara, Risoluzione della locazione per mancanza della destinazione d'uso dell'immobile convenuta contrattualmente, in Riv. giur. sarda, 2000, 123, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 1, 27; Amendolagine, Risoluzione del contratto di locazione per fatto del locatore, in Condominioelocazione.it, 2017; De Stefano - Di Marzio - Giordano - Masoni, Locazioni immobiliari. Questioni aperte in materia, 2019, 179. |