L’accertamento della proprietà sul lastrico solare ha valenza di giudicato nella successiva azione petitoria?

17 Giugno 2022

Il Tribunale di Catania affronta un tema interessante e assai peculiare, risolvendo una controversia promossa dal Condominio (e taluni condomini) contro l'utilizzatore esclusivo della terrazza posta al colmo del fabbricato e contro il fallimento degli originari costruttori, volta a sentir accertare la proprietà comune ex art 1117 c.c. di detto bene. Il giudice siciliano si spinge ad esaminare una sentenza emessa dal Tribunale alcuni anni prima fra il Condominio e gli stessi convenuti, nella quale l'accertamento (e la conseguente pronuncia) era stata resa non solo valutando la situazione di fatto, ma anche quella di diritto in capo alle parti, al fine di qualificare il possesso e le rispettive giuridiche soggettive; alla luce di tali contenuti del titolo giudiziale precedente, ormai definiti-vo, il Tribunale catanese ritiene preclusa ogni ulteriore analisi sul diritto di proprietà di quel lastrico, statuendo invece sull'illiceità delle opere poste in essere dal convenuto che se ne proclamava proprietario. La pronuncia traccia un'inedita bipartizione fra giudicato possessorio e domanda petitoria, individuando una zona di possibile cointeressenza dei titoli, laddove nel procedimento possessorio la disamina (e la relativa pronuncia) abbiano statuito anche sul profilo di diritto e non solo su quello di fatto, bipartizione che - solo apparentemente - potrebbe sembrare in contrasto con taluni orientamenti di legittimità.
Massima

Quando, nel corso del procedimento possessorio, il giudice abbia accertato anche la titolarità del diritto di proprietà (ex art. 2909 c.c.), ed il contenuto della sentenza abbia statuito anche in ordine al soggetto cui spetti o non spetti il diritto di proprietà, allora deve ritenersi precluso, nella causa instaurata successivamente sotto il profilo petitorio, il riesame del punto di diritto già accertato e risolto in un precedente giudizio

Il caso

La vicenda processuale è abbastanza complessa e coinvolge diversi profili oggettivi e soggettivi: il Condominio (e taluni condomini in proprio, trattandosi di azione in tema di diritti reali) citano dinanzi al Tribunale l'utilizzatore esclusivo del lastrico posto alla sommità del fabbricato, nonché il fallimento della società costruttrice dell'edificio, per sentir accertare che detto bene è comune ex art 1117 c.c. e - comunque - per sentir condannare l'utilizzatore a rimuovere i manufatti edificati sul lastrico, che non sarebbero conformi alla normativa antisismica, costituendo - quindi - pregiudizio per la statica dell'immobile, anche a prescindere dall'accertamento sulla titolarità del bene.

Il convenuto che utilizzava il lastrico richiedeva il rigetto della domanda, ritenendosene proprietario esclusivo e contestando che sussistessero manufatti pericolosi, mentre gli aventi causa dal fallimento eccepivano la sussistenza di giudicato, con riguardo a sentenza antecedente, resa fra il condominio e il soggetto convenuto quale utilizzatore, nella quale si era accertato - seppur in un giudizio a carattere possessorio - che la proprietà del bene non competeva né a colui che lo utilizzava né al condominio.

Le parti introducevano, infine, un'ulteriore serie di subordinate, poco rilevanti ai fini che qui interessano.

La causa veniva istruita con CTU, volta ad accertare l'incidenza - sotto il profilo della sicurezza sismica - delle opere realizzate sulla terrazza dal convenuto, nonché l'inclusione di tale bene nel compendio immobiliare alienato con atto del 1969, quesiti in ordine ai quali il CTU concludeva per l'illiceità - alla luce della normativa antisismica - delle modificazioni introdotte dal convenuto e per la riconducibilità del lastrico ai beni che, in forza del titolo del 1969, erano rimasti in capo al venditore.

La questione

La prima, e più rilevante, questione attiene alla eccepita valenza di giudicato dell'accertamento eseguito in giudizio possessorio fra il Condominio e l'odierno convenuto, ossia se gli accertamenti svolti sui diritti in capo alle parti in precedente giudizio possessorio possano rivestire valenza di giudicato nel successivo e attuale giudizio petitorio. In via gradata, il Tribunale è anche chiamato ad accertare l'inidoneità delle opere realizzate garantirne la sicurezza.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale si sofferma, dapprima, sulla natura e portata della decisione, ormai intangibile, con la quale lo stesso Tribunale di Catania nel 2007, aveva risolto le domande di natura possessoria svolte dal Condominio contro l'odierno convento e relative alla medesima terrazza di copertura.

Con apprezzamento tranchant, il magistrato etneo ritiene che quando l'oggetto del contendere, già nel precedente procedimento possessorio, sia stata la titolarità del diritto di proprietà e quando il relativo accertamento svolto ai sensi dell'art. 2909 c.c., sia contenuto nella sentenza e abbia riguardato il soggetto cui spetti o non spetti il diritto di proprietà, va allora applicato il principio secondo cui rimane precluso, nella causa instaurata successivamente, il riesame del punto di diritto già accertato e risolto nel precedente giudizio.

Ai fini della rilevanza del giudicato esterno, non convincono del tutto i precedenti giurisprudenziali richiamati dal Tribunale di Catania, che si rifà a Cass. civ., sez. un. 16 giugno 2006, n. 13916, che ha tuttavia ad oggetto la rilevanza esterna del giudicato tributario esterno relativamente all'accertamento di un periodo di imposta (e con riferimento ai successivi) e che ha pertanto rilevanza sui principi generali del giudicato esterno, ma pressoché nulla con riguardo alla peculiare materia dei rapporti fra azione possessoria e petitoria.

Più pertinente appare la seconda, seppur risalente, pronuncia di legittimità richiamata dal Tribunale siciliano, laddove afferma - anche in tal caso in materia decisamente peculiare - che ove due successivi giudizi tra le stesse parti (in quel caso, giudizio di opposizione proposta dal proprietario di un fondo alla richiesta di conversione in affitto di un asserito rapporto di mezzadria, preceduto da un giudizio possessorio nel quale i sedicenti mezzadri lamentavano lo spoglio del fondo stesso da parte del proprietario) abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico, e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato (nella specie, giudicato possessorio), l'accertamento compiuto in ordine a una situazione giuridica - o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punti decisivi - comune a entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato precludono l'esame del punto accertato e risolto anche nel caso in cui il giudizio instaurato successivamente, anche laddove abbia finalità diverse da quelle che costituirono il petitum e lo scopo del primo (Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2003, 19046). A tal proposito si è ancora affermato, in sede di legittimità, orientamento cui la corte etnea ha ritenuto evidentemente di aderire, che quando due giudizi tra le stesse parti vertano sullo stesso rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento già compiuto in ordine a una situazione giuridica e la soluzione di una questione di fatto o di diritto che abbiano inciso su un punto fondamentale comune ad entrambe le cause e abbiano costituito la logica premessa contenuta nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e il petitum del primo.

Sulla scorta di tali principi di diritto e alla luce del testo della sentenza assunta come elemento di giudicato, la Corte ha evidentemente ritenuto che l'accertamento svolto in quel giudizio, e trasfuso nella decisione, risultasse anche assorbente della qualità o meno delle parti, pur trattandosi di giudizio possessorio che, in realtà, dovrebbe aver ad oggetto unicamente il potere di fatto esercitato sul bene senza alcun riguardo alla sottostante situazione di diritto.

Sulla scorta degli accertamenti già contenuti nel titolo definitivo, e della sussistenza di giudicato su tale profilo (che parrebbe assumere come ragione più liquida), il Tribunale respinge le domande della parti in ordine all'azione di rivendica della terrazza di parte dei condomini e dell'utilizzatore, mentre - in forza delle risultanze della CTU, condanna il convenuto utilizzatore a rimuovere i manufatti, che il tecnico ha ritenuto non conformi alla vigente normativa antisismica, e perviene - comunque - ad un giudizio di titolarità del bene in virtù dell'analisi di un titolo che - sulla scorta delle valutazioni svolte dal CTU in ordine alla consistenza dei beni comuni - risulta riservare quel bene al costruttore.

Osservazioni

La pronuncia siciliana è certamente interessante, poiché contiene un principio significativo che parrebbe porsi in contrasto con altre, più recenti pronunce di legittimità.

Si è, infatti, da più parti affermato che, tendenzialmente, l'accertamento svolto in sede possessoria, in quanto fondato sul potere di fatto esercitato dall'agente sul bene, corrispondente per immagine alla proprietà o ad altro diritto reale, è privo di efficacia - ad esempio nel giudizio di usucapione, ove il potere di fatto accertato nella prima sede è tendenzialmente diverso a quello che dà luogo ad usucapione (Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2020, n. 27513; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2019, n. 10590)

Talvolta, la Corte di legittimità ha assunto posizione decisamente più nette, che sembrerebbero precludere l'approdo cui è pervenuto il giudice catanese, laddove sembra collocare giudicato possessorio e azione petitoria su due versanti ontologicamente incomunicabili: si è, infatti, rilevato che a sentenza resa sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio, poiché questo è caratterizzato da diversità di petitum e causa petendi, di talché l'esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti è compiuto nel procedimento possessorio al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza del possesso, restando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione di fatto oggetto di tutela (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2016, n. 2300).

Del resto, la diversità sostanziale degli accertamenti svolti in sede possessoria e in sede petitoria, che in forza della giurisprudenza testé richiama, rende di fatto oltremodo improbabile la possibilità che il titolo definitivo reso in sede possessoria costituisca giudicato anche in sede possessoria, appare chiarissima laddove la corte di legittimità evidenzia come non possa darsi revocazione per contrasto di giudicati fra due titoli che reintegrino nel possesso (ovvero riconoscano la sussistenza di un potere di fatto, non necessariamente assistito dalla sottostante situazione giuridica soggettiva di diritto) e quello che, in sede successiva e petitoria, accerti l'insussistenza della servitù nella quale era stato integrato il possessore; la Suprema Corte ha evidenziato infatti che per aversi contrasto di giudicati, è necessario che tra i due giudizi sussista identità di soggetti e di oggetto, sì che tra le due fattispecie sussista una ontologica e strutturale concordanza: tuttavia la prima pronuncia, passata in giudicato, deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, poiché la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata è ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi; ne consegue l'inammissibilità della revocazione per contrasto di giudicati, difettando il presupposto essenziale dell'identità dei giudizi, nel caso in cui, dopo la formazione di un giudicato su una domanda di reintegrazione del possesso di una servitù di passaggio, la parte convenuta nel giudizio possessorio ottenga successivamente una sentenza, passata anch'essa in giudicato, di accoglimento, nei confronti dei soggetti che avevano precedentemente agito in ambito possessorio, dell'azione di accertamento negativo dell'esistenza del diritto di servitù in capo a questi ultimi. (Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2012, n. 23815).

Del resto, il Tribunale si mostra consapevole dell'impermeabilità fra il giudicato possessorio e il giudizio petitorio, laddove afferma che tale principio può valere solo ove il procedimento possessorio sia stato effettivamente tale: quando, cioè, l'accertamento giurisdizionale abbia avuto riguardo alla situazione possessoria in fatto e i titoli di proprietà siano stati esaminati, al più, solo ad colorandam possessionem; quella rigida intangibilità, invece, non ha più giustificazione razionale quando l'accertamento giudiziale abbia avuto ad oggetto proprio ed esclusivamente l'appartenenza del diritto di proprietà, non già ad colorandam possesionem, bensì al fine di accertare chi sia o non sia il proprietario del bene in contesa.

Competerà, dunque, al giudice una attenta valutazione del giudicato (esterno) formatosi in un procedimento (solo formalmente) possessorio, poiché dovrà verificare di volta in volta se vi sia stato, o meno, accertamento pieno del diritto di proprietà e - in tale ultima ipotesi, considerare quell'accertamento - ove recepito nella decisione finale - idoneo a formare giudicato anche in successivo giudizio petitorio.

Riferimenti

Satta - Punzi, Diritto Processuale civile, Padova, 1996;

Fornaciari, Il possesso e la sua tutela, Torino, 2012;

Trunfio - Crisafi, L'azione e il giudicato, Milano, 2015;

Turroni, La sentenza civile sul processo, Torino, 2006;

Risi, Il possesso, Milano, 2012.

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