I reati tributari tra dolo specifico e accertamento in concreto
27 Giugno 2022
Massima
In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il fine di favorire l'evasione fiscale di terzi attraverso l'utilizzo delle fatture emesse sia esclusivo, essendo integrato anche quando la condotta sia commessa per conseguire anche un concorrente profitto personale.
Il caso
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 13 giugno 2022, n. 22812) origina dal ricorso presentato dai difensori degli imputati contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Brescia la quale, in parziale modifica della pronuncia resa dal Tribunale, aveva ritenuto entrambi gli imputati penalmente responsabili per i delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele e occultamento o distruzione delle scritture contabili. Il gravame si basava, quanto al primo motivo, sul vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inesistenza delle operazioni di cui alle fatture contestate al capo A), con riferimento al secondo sul vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del dolo specifico del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e, per i rimanenti, su vizi di motivazione ivi compresa la mancata concessione delle attenuanti generiche. La questione
Al fine di un'immediata comprensione della questione sottesa alla pronuncia in esame pare utile individuare il tema centrale, con particolare riferimento all'elemento soggettivo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti. La soluzione giuridica
Il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o l'IVA, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
L'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
Anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, per tale reato era comminata la pena della reclusione da sei mesi a due anni, quando l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti emessi, risultava inferiore a 154.937,07 euro. In conseguenza all'abrogazione di tale attenuante, a prescindere dall'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti falsi emessi, la pena diviene quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Il presupposto soggettivo previsto dall'art. 8 D.Lgs. 8 giugno 2000, n. 74, fa riferimento al fatto che il trasgressore consenta a terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto con il proprio comportamento. La valutazione riguardo la sussistenza del dolo specifico è affidata al giudice di merito cui è demandato il compito di accertare se la condotta dell'imputato corrisponda agli elementi costitutivi del reato (P. Ceroli, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in Il Tributario). Si tratta di un reato comune che non richiede alcuna qualifica di natura pubblicistica, potendo essere commesso da chiunque.
Oggetto del reato sono le fatture o altri documenti emessi per operazioni inesistenti, che rimandino ad operazioni di cessione di beni o prestazioni di servizi, rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile. La condotta tipica del reato consiste nella emissione o nel rilascio di fatture o di altri documenti per operazioni false, non rispondenti, quindi alla verità, a nulla rilevando la loro effettiva utilizzazione da parte del soggetto ricevente. La norma in parola, come evidenziato, è punita a titolo di dolo specifico di evasione indiretta, che consiste nel fine di consentire a terzi l'evasione di imposta sui redditi o sul valore aggiunto, in quanto chi emette le fatture o rilascia i documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti, indicando i corrispettivi o l'IVA in misura superiore a quella reale, chiaramente, non avrà alcun tipo di vantaggio configurandosi, in realtà, una posizione fiscale alquanto sfavorevole. È possibile anche il caso in cui l'ipotesi di evasione vi sia solo ai fini delle imposte sui redditi e non anche ai fini dell'IVA, se chi emette la fattura riceve in pagamento, dall'altra parte, l'IVA, che poi verserà, iscrivendo, inoltre, la fattura in contabilità. Tale comportamento potrebbe essere giustificato dal fatto che, l'aver indicato in contabilità un incasso non realizzato, possa nascondere occulti accordi economici tra le parti, oppure la volontà dell'emittente di far emergere delle vendite che celano precedenti evasioni o operazioni sommerse. Lart. 8, comma 2, D.Lgs. 8 giugno 2000, n. 74, prevede che nell'ipotesi in cui nello stesso periodo d'imposta siano state emesse più fatture o documenti fittizi, si considera commesso un unico reato e non tanti quanti sono i documenti emessi.
Il soggetto che emette, nello stesso periodo d'imposta, una pluralità di fatture o documenti per operazioni inesistenti, quindi, sarà punito per un unico episodio criminoso, trattandosi di una speciale ipotesi di cumulo giuridico; nel caso in cui più fatture o documenti fittizi siano emessi in più periodi d'imposta, si applicherà l'art 81, comma 2, c.p. che disciplina il reato continuato.
Nel caso de quo la Corte di Cassazione si è soffermata, con particolare interesse sull'elemento soggettivo del reato in esame.
Richiamando l'orientamento di legittimità dominante la Corte ha difatti ribadito che: “In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il fine di favorire l'evasione fiscale di terzi attraverso l'utilizzo delle fatture emesse sia esclusivo, essendo integrato anche quando la condotta sia commessa per conseguire anche un concorrente profitto personale”. Di particolare rilievo appaiono anche le motivazioni inerenti al reato di distruzione o occultamento di documentazione contabile.
La Corte ha difatti precisato che: “In tema di reati tributari, l'impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante”.
In conclusione, quindi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali.
Osservazioni
Mediante la decisione oggetto del presente commento, la Suprema Corte ha fatto buon governo e corretta applicazione dei principi ormai consolidati in tema di reati tributari. L'orientamento dominante infatti ritiene configurabile il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti non solo qualora sussista il fine di consentire a terzi l'evasione di imposta sui redditi o sul valore aggiunto, ma anche quando la condotta realizzata abbia lo scopo di ottenere un profitto personale per il soggetto agente.
Certo la sussistenza del dolo specifico deve essere provato e vagliato dal giudicante non potendo desumersi in re ipsa, né tantomeno la prova del dolo può essere ricavata facendo coincidere elemento oggettivo e soggettivo, per obliterare la necessità di un quid pluris determinante per la sussistenza del reato in parola.
Se dunque per la sussistenza del dolo specifico non è solo necessario che il soggetto agente agisca per il fine di consentire o agevolare l'evasione a terzi, occorre sempre effettuare una valutazione in concreto sulla base dei fatti circa l'effettiva sussistenza dell'elemento soggettivo in modo da non desumerlo in automatico.
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