I limiti del sindacato del magistrato sul contratto di locazione stipulato dal condominio con un terzo
01 Luglio 2022
Massima
Il sindacato dell'autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall'assemblea, ai sensi dell'art. 1137 c.c., nella specie in ordine alla ripartizione delle spese inerenti ad una locazione immobiliare stipulata nel comune interesse dal condominio in veste di conduttore ed avente ad oggetto il godimento di un immobile di proprietà di terzi, non può riguardare la convenienza economica dell'importo del canone pattuito o la legittimità dell'accollo in capo al condominio conduttore degli esborsi sostenuti per il mantenimento della cosa in buono stato locativo o per l'esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, né può concernere questioni relative alla nullità o all'inefficacia delle clausole del contratto di locazione. Il caso
La fattispecie, sottoposta di recente all'esame del Supremo Collegio, traeva le mosse da un'impugnazione, proposta da un condomino, di una delibera assembleare che aveva approvato le spese relative alla “locazione cespiti” di determinati anni, i lavori di rifacimento dell'impermeabilizzazione della soletta del locale caldaia, nonché l'acquisto e la posa in opera di fioriere sul tetto della centrale termica dell'impianto condominiale, installata in un immobile di proprietà di alcuni condomini oggetto di locazione in favore del Condominio. L'attore aveva, in particolare, allegato: a) la violazione del suo diritto patrimoniale per la “sproporzionata ed ingiustificata (quasi) quadruplicazione del canone di locazione della centrale termica”, portato per l'esercizio 2008-2009 ad € 11.938,00 (rispetto a quello precedente di € 3.840,00), esteso retroattivamente anche all'esercizio 2007-2008 ed in assenza di prova documentale del correlativo esborso; b) la violazione delle regole di diritto, che non consentivano la variazione annuale del canone (salvo eventuale aggiornamento secondo indici ISTAT); c) l'illegittimità degli addebiti di € 10.971,00 (per rifacimento dell'impermeabilizzazione della centrale termica) e di € 1.188,00 (per acquisto e posa di fioriere sul tetto della predetta centrale termica), trattandosi di opere estranee alle parti comuni condominiali, ma aventi natura straordinaria e volte a soddisfare unicamente i proprietari della centrale termica. Perciò, il condomino impugnante chiedeva l'annullamento di tale deliberazione assembleare limitatamente alle quattro partite di spesa di cui sopra, nonché, all'occorrenza, delle corrispondenti clausole del contratto di locazione che fossero eventualmente invocate a giustificazione della ripartizione di dette partite a carico dei condomini e che risultassero “generiche, vessatorie, sproporzionate e prive di causa e sinallagma”, non avendo almeno il ricorrente-condomino mai sottoscritto tali clausole ex art. 1341 c.c. Il Tribunale aveva rigettato tale domanda, con decisione confermata in Corte d'Appello. La questione
Si trattava di verificare se la delibera impugnata fosse viziata: a) per eccesso di potere, non rientrando nella competenza dell'assemblea l'unilaterale ed autolesionistica variazione in aumento del canone di locazione a danno dei condomini; b) per illecita incidenza sui diritti individuali e patrimoniali del condomini-non proprietari (come era appunto il ricorrente), che erano stati arbitrariamente gravati di spese indebite; c) per inammissibile variazione in aumento del canone già determinato in forza del contratto di locazione ancora vigente; d) per inveridicità della contabilità condominiale sia per assenza di qualsiasi “giustificativo di cassa”, sia per favoreggiamento all'evasione fiscale attraverso illecita compensazione delle contrapposte “partite di credito e di debito”; e) per avvenuta inclusione nella maggioranza deliberante (diversamente non conseguita) dei condomini proprietari-locatori i quali, pur essendo in contrasto di interessi con il Condominio, gli avevano accollato un onere economico a tutto e solo loro vantaggio e nel contempo a tutto e solo danno dei condomini non proprietari.
Le soluzioni giuridiche
I magistrati di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso per cassazione inammissibile ed infondato. Si discuteva relativamente ad un rapporto contrattuale di locazione intercorso tra i comproprietari del locale, dove si trovava la centrale termica, ed il Condominio, evidenziando che l'impugnata deliberazione, approvata dall'assemblea del suddetto Condominio, conteneva unicamente l'approvazione del consuntivo della gestione ordinaria relativa ad un determinato esercizio di gestione. In particolare, si aveva riguardo ad una locazione stipulata nel comune interesse dal Condominio nella veste di conduttore, avente ad oggetto il godimento, verso un corrispettivo, di un immobile di proprietà di terzi che ne erano locatori. Orbene, è noto che l'amministratore, in forza dei poteri di rappresentanza di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c., previa autorizzazione dell'assemblea quando si tratti di atti che esulano dalle attribuzioni ordinarie del primo, può, invero, stipulare i contratti ed assumere le obbligazioni necessarie alla conservazione e al godimento delle parti comuni, come alla fruizione dei servizi comuni dell'edificio (argomentando da Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1997, n. 1640). La titolarità di tali rapporti obbligatori conclusi per conto del Condominio e la corrispondente legittimazione alle impugnative del negozio non spettano, tuttavia, in modo frazionato pro quota a ciascuno dei condomini, ma rimangono imputate alla collettività organizzata “Condominio” quale unitaria parte contrattuale complessa, che esercita le posizioni e prerogative proprie dei contraenti attraverso i suoi organi (v., soprattutto, Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2009, n. 4245). Gli oneri economici derivanti dall'esecuzione dei contratti conclusi in nome e per conto del condominio vanno, poi, compresi tra le voci di spesa contabilizzate nel rendiconto da sottoporre all'approvazione dell'assemblea. Ad avviso dei magistrati del Palazzaccio, risultava, innanzitutto, “incomprensibile” il riferimento contenuto in ricorso all'eccesso di potere assembleare, il quale suppone, in realtà, un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109 c.c., tale da consentire l'invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza (v. Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10611). Quanto, poi, alla deduzione del “conflitto di interessi” dei condomini-locatori, gli ermellini avevano già chiarito che, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono sempre inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, ai fini sia del quorum costitutivo che di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (ma non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (Cass. civ., sez. VI/II, 31 gennaio 2018, n. 2415; Cass. civ., sez. VI/II, 25 gennaio 2018, n. 1849; Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2015, n. 19131; Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 2002, n. 1201). D'altro canto, l'accertamento dell'esistenza di una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza, ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del Condominio, poiché coinvolge un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, è sindacabile dal giudice di legittimità soltanto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., e, nella specie, il ricorrente non aveva indicato “come” e “quando” la questione del conflitto di interessi era stata oggetto di discussione processuale tra le parti nelle pregresse fasi di merito e di specifica allegazione operata prima della maturazione delle preclusioni assertive. Ad ogni buon conto, la decisione sui rilievi inerenti alla nullità delle clausole del contratto di locazione avrebbe imposto il litisconsorzio di tutti i contraenti. Osservazioni
Per quel che qui rileva, viene confermato il principio, secondo cui, in materia di condominio negli edifici, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l'eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti - sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito - falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all'art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera in ordine ai costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea (v., tra le altre, Cass. civ., sez. VI/II, 25 febbraio 2020, n. 5061; Cass. civ., sez. VI/II, 17 agosto 2017, n. 20135). Ne consegue che esulano dall'àmbito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti - come nella specie - alla convenienza o alla gravosità della somma che il Condominio si obblighi a versare a terzi a titolo di canone per il godimento di beni condotti in locazione, o all'accollo in capo al condominio conduttore delle spese necessarie per il mantenimento della cosa in buono stato locativo, o per l'esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, seppur derogando convenzionalmente (come consentito, v. Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1998, n. 6158) alle disposizioni di cui agli artt. 1576, 1592 e 1593 c.c. A proposito dei limiti del sindacato del magistrato ex art. 1137 c.c. in materia di locazione, va richiamata una recente decisione della Cassazione, la quale ha approfondito la problematica prendendo in esame anche gli aspetti caratteristici dell'eccesso di potere nel diritto amministrativo (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2014, n. 4216): nella specie, un condomino si lamentava del fatto che l'assemblea, nella scelta del conduttore di locali condominiali, non si fosse pronunciata a favore dell'offerta più elevata, ma avesse invece preferito le qualità della persona prescelta rispetto all'entità del canone che la stessa offriva. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che va escluso che la preferenza accordata ad una proposta contrattuale di minore importo concretizzi, per questo solo fatto, quella forma di prevaricazione della maggioranza sulla minoranza - la quale, qualora costituisca la sola ragione per cui è stata adottata la delibera, può costituire un indice della sussistenza di un eccesso di potere assembleare (figura che peraltro la Corte ha espressamente qualificato come “incerta”) - dal momento che, per pervenire ad una simile conclusione si dovrebbe, quanto meno, verificare che tale motivazione dell'agire dell'ente collettivo sia finalizzata ad incidere sulla posizione del condomino nell'àmbito del condominio e, quindi, sul suo status e non già su un singolo rapporto tra il singolo e l'ente di gestione. Il supremo consesso decidente ha, poi, aggiunto che, mentre la figura dell'eccesso di potere nel diritto amministrativo fornisce uno strumento di impugnazione diretto a superare la posizione di tendenziale sperequazione tra la parte pubblica e quella privata, invece nel diritto privato essa esercita la funzione di superare i limiti di un controllo di mera legittimità di espressioni di volontà riferibili ad enti collettivi (come le società o gli edifici condominiali) che potrebbero lasciare prive di tutela situazioni di non consentito predominio della maggioranza nei confronti del singolo; e che, tuttavia, in questi casi il controllo va coniugato con la sussistenza di un interesse dell'ente collettivo che contemporaneamente ne verrebbe leso. Applicando così questo principio al caso specifico, i magistrati del Palazzaccio sono pervenuti alla conclusione che non si poteva sostenere l'esistenza di un pregiudizio della cosa comune (costituita dai locali in precedenza adibiti a portineria e poi posti in locazione), in quanto il mutamento dell'utilizzazione era stato oggetto di una apposita delibera ed era stata sindacata la minore redditività tratta dal bene comune attraverso la libera scelta di un'offerta, in cui la persona dell'offerente, nella valutazione discrezionale operata dall'assemblea, giocava un ruolo preminente nella scelta finale. Riferimenti
Del Chicca, Impugnazione del rendiconto: motivi di invalidità della delibera ed oggetto del sindacato giudiziale, in Arch. loc. e cond., 2015, 372; Maschietto, Sindacato giurisdizionale sulle delibere condominiali e sospensione, in Corr. merito, 2011, 1059; Capponi, La locazione di beni condominiali, in Arch. loc. e cond., 2010, 458; Bordolli, Uso indiretto e locazione del bene comune, in Immob. & proprietà, 2009, 631; Zerauschek - Magini, La locazione delle parti comuni di un edificio in condominio, in Immob. & proprietà, 2008, 787; Celeste, L'eccesso di potere nelle delibere condominiali ed i limiti del sindacato da parte dell'autorità giudiziaria, in Arch. loc. e cond., 2003, 769; De Tilla, Sulla locazione dell'appartamento condominiale, in Arch. loc. e cond., 1999, 313. Branca, Eccesso di potere nei condominii, in Foro it., 1978, I, 2763. |