Il mancato pagamento del canone è giustificato dalle limitazioni della normativa emergenziale?

Elena Cremonese
05 Luglio 2022

Ancora una volta la normativa emessa a seguito dell'emergenza sanitaria da Covid-19 pone dei dubbi in ordine alla sua diretta applicabilità nei contratti di locazione, essendo doverosa, sul punto, una chiara precisazione sui reali destinatari delle disposizioni emanate. Esse, infatti, sarebbero orientate a tutelare le attività commerciali svolte all'interno di beni immobili oggetto di locazione commerciale, e, viceversa, non riferibili ad immobili concessi in locazione ad uso abitativo. D'altronde, quali effetti avrebbe sortito la triste crisi epidemiologica sulla funzionalità di un immobile adibito a residenza privata?
Massima

In relazione alle locazioni di immobili ad uso abitativo, la valutazione, quanto al pagamento del canone, della gravità e dell'importanza dell'inadempimento del conduttore, in relazione all'interesse del locatore insoddisfatto, non è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente, mediante la previsione di un parametro ancorato, in base agli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978, a due elementi: l'uno, di ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o al mancato pagamento di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone, e, l'altro, di ordine temporale, relativo al ritardo consentito e tollerato.

Il caso

L'istante intimava sfratto per morosità con riferimento ad un contratto di locazione ad uso abitazione, lamentando il mancato e parziale versamento di canoni e forniture idriche anticipate dal locatore.

Parte intimata si opponeva allo sfratto rappresentando che il contratto di locazione aveva ad oggetto un bene immobile destinato ad uso turistico e che la morosità dipendeva da eventi eccezionali ed imprevedibili, dovuti alla emergenza sanitaria legata all'epidemia da Covid-19.

Con ordinanza ex art. 665 c.p.c., il giudice emetteva ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile e disponeva il mutamento del rito.

Le parti depositavano le memorie integrative dando atto che il conduttore aveva rilasciato spontaneamente l'immobile locato.

Disattesa un'eccezione preliminare di inammissibilità della memoria integrativa di parte resistente depositata all'interno del fascicolo dello sfratto, anziché in quello del merito, il Tribunale pronunciava la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo per grave inadempimento del conduttore, nulla disponendo per il rilascio già avvenuto, con condanna al pagamento dei canoni scaduti non corrisposti, oltre ai successivi a scadere sino al rilascio, interessi e spese processuali.

La questione

Si trattava di valutare se l'inadempimento del conduttore al pagamento del canone di una locazione ad uso abitativo possa trovare giustificazione nelle limitazioni della normativa emergenziale dettata per fronteggiare il Covid-19, da ritenersi causa oggettiva ed incolpevole di inadempimento, oppure se la gravità e l'importanza dell'inadempimento siano sempre, e comunque, predeterminate legalmente attraverso precisi parametri di riferimento, ovvero gli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978.

Le soluzioni giuridiche

A seguito di intimazione di sfratto per morosità avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato fra le parti, il Tribunale di Venezia ne dichiarava la risoluzione adducendo un grave inadempimento colpevole della parte conduttrice convenuta.

Esaminate le considerazioni prese a riferimento nella motivazione della sentenza, il Tribunale, anzitutto, si soffermava sulle difese del conduttore il quale, nonostante l'immobile venisse concesso in locazione per fini esclusivamente abitativi, dichiarava come vi svolgesse attività imprenditoriale in seguito ad accordi presi con il locatore.

Invero il Tribunale, a norma delle disposizioni del contratto in essere inter partes, confermava l'uso dell'immobile a civile abitazione e, nonostante fosse stata concessa al conduttore la facoltà di sublocare l'immobile ad uso turistico, chiariva che la possibilità di concedere in locazione a terzi in base alla legge regionale del Veneto non consentiva, però, lo svolgimento di attività imprenditoriale, a prescindere dal nomen utilizzato (locazione turistica o affittacamere), in quanto avrebbe determinato la variazione di destinazione dell'immobile locato, da uso privato ad uso commerciale.

Nondimeno, la dedotta circostanza dell'esistenza di un accordo in tal senso intercorso fra le parti risultava non provata; tanto è che, già pochi mesi dopo l'inizio della locazione, e comunque prima della crisi emergenziale, quando il locatore aveva appurato che l'immobile era stato dotato di diciotto letti (!), il locatore intimava la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore e contestuale rilascio dell'immobile.

Il Tribunale lagunare escludeva, pertanto, la fondatezza del richiamo alla normativa emergenziale invocata dalla difesa del conduttore e forniva la chiave di lettura per la valutazione della gravità dell'inadempimento del conduttore all'obbligazione di pagamento del canone, tenuto conto anche dell'interesse del locatore insoddisfatto.

Precisava, quindi, che il conduttore non aveva comunque prodotto alcun elemento per indagare concretamente l'incidenza effettiva e reale dell'emergenza pandemica sulla situazione contrattuale, né sullo svolgimento della propria attività di ristorazione.

La valutazione non sarebbe da rimettersi all'apprezzamento discrezionale del Giudice, bensì predeterminata dalla legge, ovvero attraverso la previsione di due distinti elementi annoverati dagli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978: l'uno, di ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o al mancato pagamento di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone; l'altro, di ordine temporale, relativo al ritardo consentito e tollerato.

Il Tribunale precisava, inoltre, che, ad ogni buon conto, a seguito dell'emergenza sanitaria da Covid-19, non era intervenuto alcun utilizzo minore del bene, né una conseguente ed indiretta maggiore onerosità del canone di pagamento.

In conclusione, ritenuta ampiamente provata la pretesa attorea e il grave inadempimento colpevole di parte convenuta, perpetrato sino alla data del rilascio dell'immobile, il Tribunale pronunciava la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo e la condanna al pagamento delle somme richieste, oltre ai successivi canoni a scadere e sino alla data del rilascio, gli interessi legali sull'importo di ogni mensilità dalle singole scadenze al saldo.

Osservazioni

In questa sede, merita pregio fornire le motivazioni adottate dalla giurisprudenza di merito a sostegno della legittimità della pronuncia di risoluzione del contratto, per non scarso inadempimento, nelle locazioni ad uso abitativo.

La giustificazione della crisi emergenziale, quale causa imprevedibile e incolpevole del mancato pagamento del canone di locazione da parte del conduttore, offre ora l'opportunità di sviscerare la materia anche nelle locazioni che non hanno ad oggetto una attività commerciale.

Si è già detto che la normativa di contrasto al Covid-19 non affronta le criticità che la materia della locazione evidenzia, se non nei ristretti limiti del riconoscimento di un beneficio fiscale per le locazioni commerciali.

Ci si riferisce, ad esempio all'art. 65, comma 6-bis, del decreto “Cura Italia”che, al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento collegate all'emergenza epidemiologica, riconosce, per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60% dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1; o come l'art. 4 del d.l. “Sostegni Bis che rende possibile rinegoziare il canone dei contratti di locazione commerciale per un massimo di cinque mensilità del 2021.

Viceversa, per le locazioni ad uso abitativo, il decreto “Cura Italia” non ha previsto strumenti legislativi straordinari per gestire le difficoltà economiche dei privati dettate dall'emergenza sanitaria.

In assenza di provvedimenti che autorizzino la sospensione del pagamento dei canoni di locazione, la possibilità di incidere in termini di sospensione e/o riduzione del canone è devoluta unicamente alla volontà delle parti; oppure resta da guardare con un certo ottimismo al principio generale di buona fede e correttezza, in base al quale ciascuna parte deve assumere quelle condotte che mantengano un pregevole equilibrio nei rapporti forza tra le parti.

Tutt'al più, l'emergenza potrebbe essere riconducibile ad una causa di forza maggiore che vale ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento.

Per le locazioni ad uso abitativo, il rimedio invocabile è quello dell'art. 1467 c.c. secondo cui, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa (ovvero il pagamento del canone) per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili - in essi da ricomprendervi il Covid-19 - la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto al precipuo fine di contenere, entro i limiti di una normale alea, una eccessiva sproporzione fra i rispettivi rapporti socio-economici.

Sarebbe, invece, stato auspicabile che detta disposizione codicistica potesse annoverare anche una ipotesi di momentanea o parziale riduzione del canone - appropriata per i casi emergenziali - evitando il venir meno in toto del rapporto contrattuale.

Forse il comma 3 della citata disposizione codicistica, che prevede che “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto” potrebbe rivelarsi come un valido strumento conservativo del contratto, con l'indiscusso limite di consentire al solo creditore - locatore la possibilità di mantenere in essere il vincolo contrattuale e ridurre ad equità le rispettive obbligazioni, ed evidentemente non al debitore - conduttore.

E' interessante comunque rilevare che, a mente dell'art. 1374 c.c., “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità”, é consentito al Giudice, chiamato a decidere sulle prestazioni sproporzionate di un contratto, intervenire su di esso per ristabilirne l'equilibrio sinallagmatico, pur nella consapevolezza della libertà negoziale delle parti, ovvero di un discrimen sempre difficile da comporre.

Pare pertanto che, ad una analisi più dettagliata del codice e maggiormente propositiva, la risoluzione del contratto debba costituire l'extrema ratio e non l'unica strada suggerita.

Ecco che quindi, secondo la sentenza oggi in commento, la valutazione sulla gravità dell'inadempimento del conduttore sottoposta al vaglio del Giudicante, per buona sorte viene ancorata a stringenti parametri normativi: in particolare i due distinti elementi previsti dagli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978.

L'art. 5 dispone che il mancato pagamento del canone entro venti giorni dalla scadenza, ovvero degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone, entro il termine previsto, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell'art. 1455 c.c. e che la morosità nei limiti anzidetti integri, di per sé, un'ipotesi di grave inadempimento, sufficiente quindi a determinare la risoluzione del contratto.

Da ricordare anche che, nonostante l'introduzione della nuova disciplina delle locazioni abitative ad opera della l. n. 431/1998, la disposizione contenuta nell'art. 5 trova applicazione esclusivamente per le locazioni ad uso di abitazione (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2005, n. 12321).

L'art.55, invece, annovera la possibilità di sanare la mora in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio, solo se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice; ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice può assegnare il c.d. termine di grazia non superiore a giorni novanta.

Prevede, poi, che la morosità possa essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il “termine di grazia” concesso in favore del debitore di centoventi giorni se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà.

Il pagamento, nei termini di cui alle disposizioni testè indicate, esclude la risoluzione del contratto.

La norma in oggetto va letta in combinato disposto con quanto previsto dall'art. 5, la cui ratio, invece, è quella di tutelare la controparte debole del rapporto locatizio, facendo in modo che non si addivenga alla risoluzione del contratto a fronte di comportamenti inadempienti di scarsa rilevanza o comunque ai quali il conduttore è in grado di porre rimedio; rappresenta una deroga alle normali regole in tema di risoluzione del contratto, e in particolare, all'art. 1453, comma 3, c.c.

Quest'ultimo, infatti, impedisce alla parte inadempiente di sanare l'inadempimento una volta che sia stata proposta la domanda giudiziale di risoluzione del contratto.

L'art. 55, invece, offre al conduttore la possibilità di sanare il suo inadempimento, pur all'interno di un preciso termine; in tal modo, i casi di morosità meno gravi non condurranno alla risoluzione del contratto prima che sia stata offerta al conduttore la possibilità di rimediare al suo inadempimento.

Si è assistito ad un vivace confronto sull''applicazione di tale norma anche alle locazioni di immobili ad uso diverso da quello abitativo, risolto infine dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 1999, n. 272) intervenute a dirimere tale contrasto, affermando che l'art. 55 non è applicabile alle locazioni ad uso non abitativo, sulla base della lettura in combinato disposto di quest'ultima norma e dell'art. 5, che si riferisce solamente alle locazioni abitative.

Le situazioni in cui si troverebbero il conduttore di immobile ad uso abitativo e non abitativo, infatti, sono diverse: solo nel primo caso, in realtà, verrebbe in rilievo l'interesse inviolabile e fondamentale della persona ad avere una abitazione e, per tale motivo, la diversità di disciplina non è stata ritenuta in alcun modo discriminatoria nei confronti del conduttore di immobile adibito ad uso non abitativo.

Tuttavia, per le locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la possibilità di sanare l'inadempimento, e quindi la morosità, in sede giudiziale, può essere in ogni caso prevista dalle parti del rapporto locatizio, nella loro libera autonomia contrattuale, attraverso una apposita clausola del regolamento negoziale.

Riferimenti

Barba, I rapporti contrattuali nel periodo di pandemia tra norme emergenziali e diritto comune, in Bilancio comunità persona, 2020, fasc. 2, 23;

Canone di locazione nel periodo di emergenza covid: una possibile soluzione, in Lexconsult.it, 30 ottobre 2020;

Catelani, Manuale della locazione, Milano, 2001, 252;

Giove, Morosità, sanatoria, valutazione legale dell'inadempimento, in Nuova giur. civ. comm., 1989, l, 849.