Ciro Daniele Piro
21 Settembre 2022

L'intervento in giudizio è disciplinato nel processo amministrativo dagli articoli 28 e 50 c.p.a., che definiscono, rispettivamente, i presupposti sostanziali per l'intervento e le modalità procedurali con cui lo stesso deve avvenire.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

La regola dell'integrazione del contraddittorio, stabilita dall'art. 27 c.p.a., richiede che il processo si svolga nei confronti di tutte le parti necessarie (litisconsorzio necessario). Tali sono il ricorrente, la parte resistente e, ove esistenti, i controinteressati. Gli altri soggetti – parti non necessarie - possono intervenire nel processo, qualora ricorrano i presupposti dell'art. 28 c.p.a., che individua alcune tipologie di intervento (in particolare, si tratta dell'intervento volontario e dell'intervento per odine del giudice). Con riferimento alle modalità attuative, l'art. 50 c.p.a. prevede che l'intervento avvenga con atto notificato alle altre parti e depositato nei termini ordinari.

Tipologie di intervento nel processo amministrativo

L'art. 28 individua i presupposti sostanziali dell'intervento in giudizio, definendo le seguenti tipologie: - l'intervento del liticonsorte necessario pretermesso (art. 28, co. 1); - l'intervento ad adiuvandum/ad opponendum (art. 28, co. 2); - l'intervento per ordine del giudice (art. 28, co. 3).

Il litisconsorte necessario pretermesso

Può avvenire che, malgrado la regola dell'integrazione del contraddittorio, un litisconsorte necessario sia pretermesso (ad es., il controinteressato). In tal caso, l'art. 28, comma 1, consente al medesimo di poter comunque intervenire in giudizio - anche in assenza di un valido atto di integrazione del contraddittorio - senza pregiudizio per il suo diritto di difesa.

In tali casi l'intervento è definito «improprio», perché proposto in realtà da una parte necessaria (e non da una parte eventuale del processo, come avviene per l'intervento tradizionale).

Una delle fattispecie in cui tale norma viene in rilievo è quella del controinteressato cui non è stato notificato l'atto introduttivo del giudizio. Infatti, l'art. 41, comma 2, c.p.a. prevede che i controinteressati siano individuati nello stesso atto impugnato e, pertanto, qualora il ricorso sia stato notificato alla sola amministrazione e vi sono controinteressati, ma questi non sono stati individuati nell'atto impugnato, non si verifica alcuna decadenza, ma solo un'ipotesi di necessaria integrazione del contraddittorio da parte del giudice.

In tale circostanza, le parti necessarie del processo possono anche decidere di intervenire senza attendere l'ordine di integrazione da parte del giudice.

Può, quindi, intervenire in giudizio il controinteressato non individuato dall'atto impugnato, che resta parte necessaria del giudizio, anche se l'omessa notificazione del ricorso nei suoi confronti non comporta alcuna sanzione e il controinteressato successivo, che ha assunto una posizione di controinteresse in base ad un atto diverso e sopravvenuto rispetto a quello impugnato.

Al contrario, in caso di mancata notificazione del ricorso di annullamento all'amministrazione o ad almeno un controinteressato individuato dall'atto, la decadenza dell'azione preclude l'ordine di integrazione del contraddittorio (art. 41, comma 2).

L'intervento volontario

L'art. 28, co. 2, c.p.a. codifica la fattispecie dell'intervento volontario, che si verifica quando una parte non necessaria e quindi eventuale del processo decide di intervenire nel giudizio, divenendone parte. In particolare, la citata norma prevede che “[c]hiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova”.

Le condizioni per valutare l'ammissibilità dell'intervento sono principalmente due. Una, di ordine negativo, consistente nella alterità dell'interesse vantato dall'interventore rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale. Pertanto, nel giudizio di annullamento, chi ha interesse all'annullamento dell'atto (c.d. cointeressato) ha l'onere di proporre autonoma impugnazione avverso l'atto oggetto di giudizio e non può intervenire se è decaduto da tale possibilità.

In concreto, la posizione che legittima all'intervento volontario nel giudizio non deve essere quella di titolarità di un interesse direttamente leso dal provvedimento da altri impugnato. In questo senso, è stato ritenuto che, quanto alla identificazione del titolo legittimante l'intervento adesivo e, dunque, alla definizione dell'interesse che consente l'ingresso nel giudizio del terzo, l'indagine deve essere condotta in astratto, in base alla effettiva causa petendi quale si desume dal complesso delle affermazioni del soggetto che agisce in giudizio, e non già in concreto all'esito del giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 23 del 2016; n. 9 del 2015; n. 1 del 2015; n. 2 del 1996; Sez. III, n. 442 del 2016; Sez. V, n. 1640 del 2012; sez. V, n. 1445 del 2011; Sez. IV, n. 8363 del 2010; Sez. IV, n. 5244 del 2009).

In merito alla possibilità di applicare il principio di conversione dell'intervento in autonomo ricorso, si tratta di una soluzione astrattamente ammessa, soggetta alla verifica dei requisiti di forma e di sostanza del ricorso, ivi compresa la rituale notificazione a tutte le parti nel giudizio, il rispetto dei termini decadenziali e l'indicazione di specifici e puntuali motivi di ricorso (a ciò non bastando rinviare a quelli del ricorrente principale) (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5597/2017).

La condizione positiva è la sussistenza di un interesse a intervenire. Tale interesse è tipicamente ricondotto alla esistenza di un vantaggio o di un pregiudizio determinato, anche in via mediata e indiretta, nella sfera giuridica della parte interveniente, dal mantenimento o dall'annullamento dell'atto impugnato.

Per rappresentare tale interesse, è stato fatto in dottrina l'esempio del diniego di rilascio di un permesso di costruire. Rispetto a tale atto, possono considerarsi legittimati all'intervento sia il vicino (non controinteressato) del richiedente il permesso, che ha un interesse a non consentire l'edificazione nei pressi della sua abitazione, sia gli aventi causa dal richiedente, che hanno un interesse derivato e riflesso all'annullamento del diniego (v. Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2021, p. 1393; v. anche Cons. St. Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8, che ammette l'intervento del successore a titolo particolare nel rapporto controverso).

I casi di intervento adesivo volontario sono quindi tradizionalmente distinti in intervento ad adiuvandum, nel caso il terso sostenga le ragioni, aderendo alle posizioni e alle domande, del ricorrente principale, e in intervento ad opponendum quando l'interventore aderisce alla posizione della parte resistente (o anche alle posizioni del controinteressato), resistendo, in tal modo, alle domande avanzate dal ricorrente.

La giurisprudenza ha riconosciuto l'ammissibilità dell'intervento anche da parte del titolare di un semplice interesse di fatto, distinguendo le situazioni con riguardo alla legittimazione all'impugnazione; nel senso che l'interventore «ad opponendum» nel giudizio di primo grado è legittimato ad impugnare la sentenza quando risulti titolare di una propria ed autonoma posizione giuridica, e non di un semplice interesse di fatto (Cons. St.Ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2). Si tratta, ad esempio, di un interesse, ancorché di mero fatto, sia mediato e riflesso, al mantenimento della situazione giuridica creata dal provvedimento impugnato (cfr. Trib. reg. giust. amm. Bolzano, 6 aprile 2016, n. 128). Tale interesse è stato ritenuto sussistente in capo al pubblico dipendente (nella specie tecnico istruttore e responsabile dell'ufficio tecnico) intervenuto a contrastare il ricorso promosso avverso un diniego in materia edilizia al fine di evitare eventuali riflessi in termini di ricadute patrimoniali (es., azioni di responsabilità) e professionali (T.A.R. Puglia (Lecce) Sez. I, 25 agosto 2017, n. 1423).

In giurisprudenza è stato ritenuto inammissibile un intervento ad adiuvandum effettuato sulla base della sola circostanza per cui l'interveniente è parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella divisata nell'ambito del giudizio principale; infatti, nel caso in cui si ammettesse la possibilità di spiegare l'intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di «interesse» del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, potenzialmente avulse dall'oggetto specifico del giudizio cui l'intervento si riferisce (Cons. Stato, Ad. plen., n. 3/2017; Cons. Stato, Sez. III, n. 23/2016).

L'intervento volontario in appello

L'interveniente che non ha partecipato al giudizio di primo grado può intervenire nel processo di appello, giusto il disposto dell'art. 97 c.p.a. Tale norma subordina l'intervento del terzo in appello alla presenza di un “interesse” e alla previa notifica dell'atto a tutte le parti.

Tale è il caso, ad esempio, del terzo che riveste la qualifica di controinteressato in senso sostanziale, che non ha partecipato al giudizio di primo grado, che voglia opporsi ad una sentenza che lede la sua posizione (artt. 28, primo comma, e 109, secondo comma). Tale posizione legittimerebbe il terzo a proporre il rimedio della opposizione di terzo e la partecipazione al giudizio di appello consente al giudice di anticipare e risolvere il potenziale conflitto tra la res iudicata e la situazione del terzo.

Intervenendo nel giudizio di appello, il terzo non può ampliare il thema decidendum, ad esempio contestando la legittimità di provvedimenti amministrativi che, non essendo stati oggetto della sentenza, non possono recare pregiudizio al terzo che non ha partecipato al giudizio di primo grado, né impugnando nuovi provvedimenti sopravvenutinel corso del giudizio di primo grado. Tale limitazione si evince dall'art. 104, terzo comma, c.p.a. che ammette la proponibilità di motivi aggiunti in appello solo qualora “la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”. La regola mira ad assicurare il rispetto del principio del doppio grado del giudizio e si ritiene applicabile sia alle parti del giudizio di primo grado sia nel caso di un intervento proposto da un terzo che si oppone alla sentenza adottata (v. Cons. Stato, Sez. VI, n. 3200/2013).

In punto di qualificazione, l'intervento spiegato in appello da chi fa valere una posizione autonoma e alternativa a quella delle parti in giudizio è di tipo litisconsortile autonomo (Cons. Stato, Sez. V, n. 1640/2012).

Forme e modalità dell'atto di intervento

L'atto deve essere notificato alle altre parti ed è depositato in giudizio nei termini ordinari. Nel caso di soggetti diversi dai contraddittori necessari, l'atto deve essere depositato fino a trenta giorni prima dell'udienza (per un caso di intervento di un soggetto che assume di essere subentrato nella posizione giuridica del ricorrente, da proporre con atto notificato alle controparti, v. T.A.R. Lazio (Roma) Sez. II, 12 giugno 2015, n. 8226).

L'atto deve inoltre contenere le ragioni su cui si fonda, con la produzione dei documenti giustificativi, ed è ammesso, a pena di inammissibilità, solo fino a trenta giorni prima dell'udienza di merito (T.A.R. Abruzzo (Pescara) Sez. I, 11 gennaio 2011, n. 1).

Nello specifico, l'art. 50 c.p.a. prevede i seguenti requisiti: indicazione del giudice adito, delle generalità dell'interveniente, le ragioni su cui si fonda l'intervento eeventuali documenti giustificativi delle ragioni; infine, la sottoscrizione dell'intervento e, se non abilitato a stare in giudizio personalmente, l'autenticazione del difensore con procura speciale ad litem (ai sensi dell'art. 40, comma 1, lett. d), ivi richiamato).

Con riferimento alla notifica, si distingue tra parti costituite e non. Per le prime, la notifica avviene presso il domicilio eletto con l'atto di costituzione (l'art. 50 c.p.a. richiama sul punto l'art. 170 c.p.c., a norma del quale, dopo la costituzione in giudizio, tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti). Per le parti non costituite valgono le regole generali in tema di notifica dell'atto introduttivo.

Con riferimento ai termini, va segnalato che il termine ultimo per intervenire è rapportato alla data di svolgimento dell'udienza di merito, dovendo avvenire il deposito dell'atto di intervento, previamente notificato alle altre parti, fino a trenta giorni prima dell'udienza (termine che coincide con quello per la produzione di memorie ex art. 73 c.p.a.).

I termini sono dai intendersi perentori, da osservarsi a pena di decadenza e validi unicamente per l'intervento di soggetti diversi dal contraddittore necessario pretermesso. In tal caso, essendo parte necessaria, l'intervento è ammesso sino all'udienza di discussione (Bartolini, Intervento, in Morbidelli (cur.), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 375;De Nictolis, Processo amministrativo, Milano, 684). È pertanto inammissibile l'atto d'intervento che sia stato depositato solo il giorno prima dell'udienza di discussione (Cons. Stato, Sez. V, n. 6010/2012), o comunque oltre il citato termine di 30 giorni prima dell'udienza (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6149/2014; Cons. Stato, Sez. VI, n. 1618/2019; T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 5631/2019 e n. 1840/2019).

La previsione di un termine perentorio per l'intervento assolve, da un lato, alla funzione di garantire un pieno contraddittorio con le altre parti costituite in giudizio (sulle quali grava l'onere di depositare le memorie difensive almeno trenta giorni prima dell'udienza pubblica di discussione) e, dall'altro, di consentire un ordinato svolgimento del processo, offrendo al giudice elementi di cognizione per poter decidere la causa nella udienza di discussione.

In caso di abbreviazione dei termini, nelle controversie ricadenti nell'art. 119, il termine di 30 giorni prima dell'udienza è ridotto della metà (v. T.A.R. Campania (Napoli) I, 1 dicembre 2015, n. 5530, che ha ritenuto tardivo l'atto di intervento ad opponendum, proposto da una parte non necessaria del giudizio, e che sia stato depositato tardivamente oltre il termine dimidiato di 15 giorni dall'udienza di discussione previsto dal combinato disposto degli artt. 50 comma 3, e 119 comma 2). Ciò vale anche nel giudizio elettorale di impugnazione della proclamazione degli eletti, soggetto a dimidiazione dei termini, nel quale pertanto l'atto d'intervento volontario adesivo è proponibile anche in appello ma, ai sensi dell'art. 50 comma 2, deve essere depositato a pena d'inammissibilità quindici giorni prima dell'udienza (Cons. Stato, Sez. V, n. 5626/2011).

La sottoposizione del deposito dell'atto di intervento ad un duplice e inderogabile limite temporale (ossia, a pena di decadenza deve essere depositato nella segreteria del giudice adito entro trenta giorni dalla notificazione e, comunque, non oltre trenta giorni prima dell'udienza fissata per la discussione del ricorso) produce la conseguenza per cui la tardività del deposito non è neanche sanabile ex post, per acquiescenza delle controparti, in quanto i termini perentori sono espressivi di un precetto di ordine pubblico processuale essendo posti a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2446/2013; T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 3712 del 2012).

La giurisprudenza ha esteso le forme di costituzione dell'interventore anche al soggetto che assume essere subentrato nella posizione del ricorrente, richiedendo la previa notifica alle controparti dell'atto di intervento (T.A.R. Lazio (Roma) Sez. II, 12 giugno 2015, n. 8226).

La disciplina è applicabile anche in altre forme speciali di giudizio, quali il giudizio promosso con il ricorso per l'efficienza delle amministrazioni previsto dall'art. 1 d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, nel quale l'intervento in giudizio va proposto con le modalità previste dal codice del processo amministrativo (T.A.R. Lazio (Roma) Sez. III, 20 gennaio 2011, n. 552), ovvero nel giudizio di ottemperanza, sempre nel rispetto dei requisiti generali necessari per l'intervento nel processo amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, n. 8363/2010).

Trattandosi di intervento adesivo dipendente, la giurisprudenza ha ritenuto che un eventuale difetto o errore nella notifica dell'atto di intervento ai soli appellanti non determina necessariamente l'inammissibilità dell'intervento e la conseguente estromissione dal giudizio, stante la sussistenza di un interesse del medesimo segno rispetto a quello delle predette amministrazioni. Piuttosto, facendo applicazione del principio di cui all'art. 157, comma 2 (per cui solo la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto), l'eventuale irritualità nella notifica dell'atto di intervento che non è tale da pregiudicare specifiche esigenze difensive del resistente o di controinteressati, non può essere da questi eccepito (Cons. Stato, Sez. VI, n. 832/2015).

Con riferimento all'intervento di un'associazione esponenziale di interessi collettivi, si è ritenuto necessario un interesse concreto ed attuale alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso (Cons. Stato, Sez. III, n. 2892/2014) ovvero, all'opposto, al mantenimento degli effetti favorevoli del provvedimento impugnato (Cons. Stato, Sez. IV, n. 7336/2021).

Nella verifica di tale interesse, è stato valutato non sufficiente il mero interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o il perseguire mere finalità di giustizia, ma l'esigenza di intervenire per preservare la posizione ordinamentale delle professioni rappresentate. Si è pertanto verificato che la questione dibattuta atteneva in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell'associazione (Cons. Stato, Sez. IV, n. 7336/2021). Sul tema, v. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 10 maggio 2011, n. 7, che riconosce la legittimazione ad intervenire nel giudizio di appello di un'associazione iscritta nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati, sulla base dell'apprezzamento di un interesse di fatto ad un provvedimento giurisdizionale favorevole alla categoria rappresentata.

L'intervento per ordine del giudice

L'intervento può, infine, essere disposto con ordine del giudice anche su istanza di parte per motivi di opportunità. La formulazione introdotta dal Codice (art. 28, co. 3) è idonea a racchiudere in sé anche l'intervento su istanza di parte.

A differenza del processo civile, non si è inteso introdurre nel processo amministrativo la chiamata diretta del terzo ex art. 106 c.p.c., ma, nel codificare l'intervento per ordine del giudice, è stato previsto che questo possa avvenire anche su istanza di parte; deve essere, quindi, sempre il giudice a vagliare la richiesta di una parte di chiamata in giudizio di un terzo.

Sulla base dei principi indicati in precedenza, la giurisprudenza è unanime nel non ammettere l'integrazione del contraddittorio nel caso in cui il ricorso non sia stato ritualmente e tempestivamente notificato ad almeno un controinteressato; né è consentito al giudice di utilizzare i poteri previsti dall'art. 51, disponendo l'intervento iussu iudicis, non potendo supplirsi ad errori, omissioni o carenze del ricorrente (Cons. Stato, Sez. V, n. 4530/2013; T.A.R. Campania (Napoli) Sez. III, 2 aprile 2015 n. 1980; T.A.R. Lazio (Roma), Sez. III 15 ottobre 2013, n. 8860).

Le fattispecie tipiche in cui può determinarsi l'intervento coatto sono quelle in cui si ritenga la causa comune al terzo oppure si voglia essere garantiti dallo stesso, ovvero gli altri casi in cui il giudice ritenga opportuno il simultaneus processus.

La norma rappresenta una novità introdotta dal codice, intesa ad ampliare e completare i poteri del giudice di assicurare una pienezza del contraddittorio. Lo scopo principale è quello di includere eventuali controinteressati in senso sostanziale e rendere il giudicato opponibile nei loro confronti, onde evitare eventuali opposizioni di terzo (De Nictolis, Proc. amm., cit., 687).

Con riferimento alle modalità operative, la relativa disciplina è prevista dall'art. 51 c.p.a., ai sensi del quale il giudice ordina alla parte di chiamare in giudizio, indicando gli atti da notificare e i termini. All'intervento del terzo si applicano le modalità ordinarie della costituzione della parti.

È dunque il giudice, con ordinanza, che indica i soggetti da chiamare in giudizio, con i relativi termini per le notificazioni.

Il richiamo all'art. 49, comma 3, determina l'applicabilità a tale ordine del giudice del regime che assiste l'integrazione del contraddittorio, con la conseguenza che la mancata notifica nei termini indicati è suscettibile di determinare l'improcedibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 35 c.p.a..

Il richiamo all'art. 46 per le modalità di costituzione del terzo determina che il termine per la costituzione dell'interventore è quello di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso. Il termine è prorogato di ulteriori 30 o 90 giorni se il soggetto è residente in un paese europeo o al di fuori dell'Europa.

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