Ricorso per cassazione

Roberto Chieppa
21 Settembre 2022

Il Titolo V del Libro III, su «Il ricorso per cassazione», richiama il rimedio analiticamente disciplinato dal codice di procedura civile, riproducendo la disposizione dell'art. 111, comma 8, della Costituzione, secondo cui le sentenze del Consiglio di Stato possono essere impugnate per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. L'art. 110 non ha, quindi, alcun contenuto innovativo. Sui limiti del controllo della Cassazione sulle sentenze del giudice amministrativo è in corso un intenso dibattito: da un lato, si registra una tendenza della Cassazione ad allargare tale controllo specie con riferimento ai limiti esterni della giurisdizione; dall'altro lato, parte della dottrina critica tale tendenza, avvertendo il rischio che il controllo della Cassazione finisca per riguardare aspetti interni alla giurisdizione amministrativa, e non quindi quei profili di giurisdizione che l' art. 111 Cost. fissa come unica forma di controllo.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Le sentenze del Consiglio di Stato possono essere impugnate per cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione.

Si ha una questione di giurisdizione nei seguenti casi:

a) eccesso di potere giurisdizionale (quando il Consiglio di Stato invade il campo riservato al legislatore o all'autorità amministrativa, esercitando per esempio un sindacato di merito nei casi non previsti);

b) l'invasione della sfera di altra giurisdizione (difetto relativo) o la negazione della propria giurisdizione;

c) difetto assoluto di giurisdizione (in caso di assenza di tutela giurisdizionale per quella pretesa);

d) rifiuto di giurisdizione (sull'erroneo presupposto che la pretesa non possa essere tutelata).

L'art. 111 ultimo comma, Cost., che limita l'impugnabilità delle decisioni del Consiglio di Stato, con il ricorso per cassazione, ai soli motivi inerenti alla giurisdizione, non distingue tra pronunce in tema di interessi legittimi e pronunce in tema di diritti soggettivi e, pertanto, trova applicazione tanto per le une quanto per le altre (Cass., n. 9234/2002).

Prima ancora dell'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, l'art. 111 Cost. aveva avuto diretta attuazione con l' art. 362 c.p.c., che prevede che possono essere impugnate con ricorso per cassazione, nel termine di cui all'articolo 325 secondo comma, le decisioni in grado d'appello o in unico grado di un giudice speciale, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso e che possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione: 1) i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari; 2) i conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario.

La Cassazione può respingere il ricorso o accoglierlo e, in questo caso, annulla la sentenza del Consiglio di Stato senza rinvio (se il giudice amministrativo aveva giudicato in materia a lui sottratta) o con rinvio (se aveva erroneamente declinato la giurisdizione).

Il giudicato implicito sulla giurisdizione

La questione di giurisdizione è rilevabile d'ufficio e in precedenza si riteneva che tale rilevabilità fosse preclusa solo quando il giudice di primo grado avesse pronunciato espressamente sulla giurisdizione e il capo della sentenza non fosse stato impugnato; in tal caso si formava un giudicato interno, mentre in ipotesi di implicito giudizio sulla sussistenza della giurisdizione, era successivamente possibile la contestazione anche con ricorso per Cassazione avverso la successiva sentenza del Consiglio di Stato.

Successivamente, la Cassazione, mutando indirizzo, ha fornito una interpretazione adeguatrice dell' art. 37 c.p.c. ritenendo che: a) fino a quando la causa non sia decisa nel merito in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza dei termini previsti dall' art. 38 c.p.c.; b) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; c) le sentenze di appello sono ricorribili in Cassazione per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si è formato il giudicato implicito o esplicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; d) il giudice di merito può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato implicito o esplicito - (Cass., sez. un., n. 24883/2008 e, per l'applicabilità anche al processo amministrativo, Cass., sez. un., n. 26789/2008).

È importante sottolineare la novità, costituita dal fatto che anche la statuizione implicita sulla giurisdizione è idonea a formare il giudicato interno con la conseguenza che se la sentenza che (anche implicitamente statuendo nel merito) ha ritenuto sussistere la giurisdizione non è impugnata sul punto, la questione di giurisdizione non può più essere contestata, neanche successivamente con ricorso per cassazione.

Anticipando alcune questioni, oggetto dei par. successivi, va rilevato come la tendenza della Cassazione ad ampliare il proprio sindacato sulle sentenze del Consiglio di Stato ex art. 111 Cost. abbia riguardato anche la questione del giudicato sulla giurisdizione.

In un primo tempo era stato ritenuto che la censura attinente all'interpretazione, da parte del Cons. Stato, della formazione di un giudicato interno sulla giurisdizione per omessa impugnazione della questione decisa dal Tar, concernendo la correttezza dell'esercizio del potere giurisdizionale del Cons. Stato, e non anche i suoi limiti esterni, non è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass., sez. un., n. 11099/2002).

Successivamente è stato affermato che il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato, con la quale sia stato ritenuto precluso l'esame della questione di giurisdizione, reiterata con l'appello, sul presupposto della formazione del giudicato sul punto — dovuto alla mancata impugnazione della sentenza del giudice ordinario di primo grado, che aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quello amministrativo — è da considerare proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli art. 111, ultimo comma, Cost., e 362, comma 1, c.p.c., e perciò ammissibile, spettando alla Corte di cassazione non soltanto il giudizio vertente sull'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni, non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni (Cass., sez. un., n. 20727/2012).

Ulteriori limiti ad eccepire questioni di giurisdizione: l'abuso del diritto

Un limite a far valere le questioni di giurisdizione è stato aggiunto anche da quella giurisprudenza, secondo cui è inammissibile la questione di difetto di giurisdizione sollevata in appello dalla stessa parte che ha adito la medesima giurisdizione con l'atto introduttivo di primo grado; tale regola processuale trova fondamento nel divieto dell'abuso del diritto, che è integrato dal venire contra factum proprium dettato da ragioni meramente opportunistiche (Cons. Stato, sez. V, n. 2111/2013; Cons. St. n. 1605/2015; in parte condiviso da Cass. sez un.. ord., n. 9251/2014 che ha escluso l'applicabilità del principio quando il mutamento della linea difensiva è frutto di un ragionevole ripensamento imposto da un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale). Anche successivamente è stato affermato che l'attore rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale capo della decisione (Cass., sez. un., n. 21260/2016, che non ha quindi fatta propria la tesi dell'abuso del diritto, pervenendo al medesimo risultato sulla base del principio della soccombenza; Cass., sez. un., n. 29203/2017 ha affermato che l'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale autonomo capo della decisione; v. anche Cass. sez. un., n. 1309/2017 . Da ultimo, è stata rimessa alla Adunanza plenaria la questione se sia ammissibile un motivo d'impugnazione volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, formulato dalla parte che aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, soprattutto quando il giudizio è stato introdotto in un contesto ordinamentale e giurisprudenziale completamente diverso da quello attuale (Cons. Stato, sez. II, ord. n. 2013/2021).

È stato anche aggiunto che l'appellante vittorioso, convenuto in primo grado, non ha interesse a contestare la sussistenza della giurisdizione, chiedendo una pronuncia che potenzialmente gli sarebbe più dannosa, imponendo una translatio davanti al giudice ordinario con conseguente riproponibilità della domanda e, quindi, un possibile esito diverso dell'azione di annullamento intrapresa dal ricorrente di primo grado (Cons. Stato, sez. V, n. 745/2017; principio ribadito da Cons. Stato., Ad. Plen., ord. n. 4/2017, secondo cui la parte risultata vittoriosa di fronte al tribunale amministrativo sul capo di domanda relativo alla giurisdizione non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo; principio confermato in tema di risarcimento del danno da Cons. Stato, Ad. plen., n. 19/2021).

Sempre Cons. Stato, Ad. plen., ord. n. 4/2017 ha rilevato che la questione relativa alla giurisdizione del giudice adito va necessariamente definita con assoluta priorità rispetto ad ogni altra questione, in rito e nel merito, atteso che il potere del giudice adito di definire la controversia sottoposta al suo esame postula che su di essa egli sia munito della potestas iudicandi, imprescindibile presupposto processuale della sua determinazione. Sarebbe quindi errato vagliare l'appello incidentale sul difetto di giurisdizione solo dopo aver giudicato fondato nel merito l'appello principale in quanto, se il difetto di giurisdizione sussiste veramente tutto e la questione di giurisdizione è esaminabile dal giudice, l'esame del merito (ricorso principale) sarà stato svolto da un giudice non titolato a farlo, in quanto privo di potestas iudicandi.

Peraltro, la necessità di definire la controversia muovendo dall'esame delle questioni preliminari, costituisce, oltre che una regola di giudizio da sempre pacificamente ritenuta applicabile, anche una espressa previsione positiva, ora stabilita dal codice del processo amministrativo: l'art. 76, comma 4 infatti rinvia espressamente all' art. 276 comma secondo c.p.c. secondo cui “il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e, quindi, il merito della causa”.

Ambito del sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato

Il ricorso per cassazione contro le decisioni del Consiglio di stato è ammesso solo per motivi attinenti alla giurisdizione, cioè ai suoi limiti cosiddetti esterni (art. 111 comma 3 Cost. e art. 362, comma 1, c.p.c.), con esclusione invece dei motivi di violazione di norme di diritto (art. 360, n. 3 c.p.c.) o di norme che regolano il processo davanti al giudice amministrativo o ne disciplinano i poteri (art. 360, n. 4).

I motivi inerenti alla giurisdizione, in relazione ai quali soltanto è ammissibile il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato, vanno identificati o nell'ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato, in positivo o in negativo, l'ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata mal legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull'erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o nell'ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell'erroneo convincimento che essa appartenga ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato sulla legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito); è pertanto inammissibile il ricorso con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all'esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non è deducibile dinanzi alle Sezioni Unite ( Cass. n. 9558/2002). In sostanza, la Cassazione non è giudice sovraordinato rispetto a quello amministrativo o contabile, avendole il legislatore attribuito solo un potere di sindacato sulle decisioni circoscritto all'osservanza dei limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali, senza alcun controllo sul concreto esercizio della funzione (Cass., sez. un., n. 25246/2008).

Rientra nel concetto di difetto di giurisdizione anche l'ipotesi dell'irregolare costituzione dell'organo giurisdizionale, inteso come alterazione della struttura quantitativa, che si verifica allorché vi sia diversità del numero dei componenti il collegio giudicante rispetto a quello previsto dalla legge (Cons. Stato, sez. V, n. 622/1982). Il vizio di costituzione del collegio giudicante del Consiglio di Stato, che si traduce in difetto di giurisdizione, e, come tale, è deducibile con ricorso alle sezioni unite della Suprema Corte, può ricorrere in ipotesi di carenza totale di legittimazione del singolo componente di detto collegio, ovvero di sua assoluta inidoneità a far parte di un organo giurisdizionale, non anche, pertanto, qualora quel giudice abbia ricevuto formale investitura dall'autorità competente e questa non sia stata impugnata ed annullata nella competente sede (Cass. n. 2774/1978; Cass. n. 5465/1977).

È già stata evidenziata la tendenza della Cassazione ad ampliare l'ambito del proprio controllo giurisdizionale sulle sentenze del Consiglio di Stato.

Il rifiuto di giurisdizione

Tale tendenza si è manifestata, sotto un primo profilo, con riferimento al concetto di rifiuto di giurisdizione, ampliato appunto dalla Cassazione fino a ricomprendervi profili che sono apparsi come interni alla giurisdizione amministrativa.

Eppure, in numerose precedenti decisioni la Cassazione sembrava avvertire l'esigenza di non sindacare profili interni alla giurisdizione amministrativa.

Tradizionalmente, si è fatto riferimento al diniego o rifiuto di giurisdizione nelle ipotesi in cui il Consiglio di Stato neghi l'esercizio del suo potere giurisdizionale sul presupposto che la domanda non possa essere oggetto, in assoluto, di funzione giurisdizionale o che non rientri nell'ambito a lui attribuito, rientrando invece in quello riservato ad un altro ordine giudiziario, fermo restando che anche la declaratoria di inammissibilità della domanda postula l'affermazione implicita del potere giurisdizionale dell'organo che l'ha emessa, sicché non costituisce diniego di giurisdizione l'esclusione, ad esempio, della legittimazione ad agire. Ai limiti interni della giurisdizione attengono in genere gli errori in iudicando o in procedendo, ossia le violazioni delle norme sostanziali o processuali, che pertanto non costituiscono vizio attinente alla giurisdizione (Cass.,sez. un., n. 31226/2017; v. oltre per quanto affermato con la stessa sentenza per l'ipotesi di violazione del diritto europeo).

Ad esempio, è stato ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro la sentenza del Consiglio di Stato che, senza negare la propria giurisdizione sull'atto generale abbia escluso l'interesse diretto ed attuale all'annullamento di tale atto, in difetto di un atto amministrativo applicativo da impugnarsi, congiuntamente a quello generale, dinanzi al giudice amministrativo (Cass. n. 5283/2002; inammissibile il ricorso con il quale si denuncia un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione per aver giudicato su una domanda non proposta (Cass. n. 385/2002: inammissibile il ricorso con il quale si deduce un error in procedendo per avere il Consiglio di Stato ritenuto ammissibile l'appello malgrado l'acquiescenza dell'appellante alla decisione impugnata (Cass. n. 119/2000).

Applicando i medesimi principi, deve ritenersi che il sindacato delle sezioni unite della Corte di cassazione, in sede di ricorso avverso pronuncia del Consiglio di Stato non possa estendersi all'eventuale inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in cui sia incorso detto giudice amministrativo nell'esercizio delle proprie attribuzioni.

Discostandosi da tali precedenti, successivamente la Cassazione ha ritenuto sussistere una questione di giurisdizione in caso di diniego da parte del g.a. di una domanda risarcitoria in applicazione del principio (poi superato) della c.d. pregiudiziale amministrativa, in quanto secondo la tesi della Cassazione, criticata da parte della dottrina, nell'applicare la pregiudiziale, il g.a. finiva col negare in linea di principio che la sua giurisdizione includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento e, di conseguenza, il rigetto della relativa domanda, si risolveva in un rifiuto di erogare la relativa tutela. Si auspica che questa sia ora una questione superata dalla nuova disciplina dettata dal Codice per l'azione di risarcimento autonoma (v. il commento all'art. 30).

Un ridimensionamento della tendenza espansiva della Corte di cassazione sul sindacato della stessa ex art. 111 Cost. è arrivato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nell'ambito di un giudizio ex art. 111, comma 8, Cost., in cui ci si doleva della interpretazione accolta dal Consiglio di Stato di una norma processuale o sostanziale che impedisce la piena conoscibilità nel merito di una domanda giudiziaria (la questione era relativa alle controversie inerenti questioni attinenti a rapporti di impiego pubblico anteriori al 30 giugno 1998 che restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 ex art. 69, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165); il giudice delle leggi ha affermato che la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall'ottavo comma dell'art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato sugli errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale, com'è evidente nella contrapposizione tra comma settimo dell'art. 111 Cost, che prevede il generale ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, e successivo comma ottavo, ove si specifica che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i «soli» motivi inerenti alla giurisdizione, mentre non sono tali le questioni attinenti al rispetto dei principi di primazia del diritto comunitario, di effettività della tutela, del giusto processo e dell'unità funzionale della giurisdizione, né il sindacato sugli errores in procedendo o in iudicando. Secondo la Consulta, quindi, l'«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”, in quanto attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive. Alla stregua del così precisato ambito di controllo sui “limiti esterni” alla giurisdizione non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda (Corte cost., n. 6/2018).

La successiva giurisprudenza della Cassazione sembra aver frenato la tendenza espansiva dell'ambito del sindacato esercitabile sulle sentenze del giudice amministrativo (Cass., sez. un., n. 29390/2018, che esclude che il vizio di ultrapetizione e di omessa di pronuncia o di mancato esame di un punto della controversia da parte del Consiglio di Stato possa configurare un'ipotesi di “rifiuto di giurisdizione"; Cass., sez. un., n. 30650/2018, che afferma che il rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra tra i motivi attinenti alla giurisdizione, soltanto quando sia stato determinato dall'affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice e che, quindi, può soltanto comprendere le ipotesi di difetto assoluto ovvero di difetto relativo di giurisdizione e tali non sono gli errores in iudicando; Cass., sez. un., n. 31106/2018, secondo cui il giudizio del Consiglio di Stato sull'errore di fatto revocatorio non è ricorribile in cassazione; Cass., sez. un., n. 31103/2018, secondo cui la questione della tardività del ricorso in appello costituisce error in procedendo e come tale non è deducibile con ricorso in cassazione; v. anche Cass., sez. un., n, 28652/2018, secondo cui è inammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che affermi la giustiziabilità della pretesa (impugnazione della radiazione inflitta dal giudice sportivo) dinanzi al giudice sportivo anziché al giudice amministrativo; Cass., sez. un., n. 30650/2018; che ha escluso che il rigetto di una domanda di risarcimento del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. bene della vita possa essere considerato come rifiuto di giurisdizione, in quanto il rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra tra i motivi attinenti alla giurisdizione, soltanto quando sia stato determinato dall'affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda).

Sempre in seguito alla sentenza n. 6/2018 della Corte costituzionale è stata frenata anche la tendenza ad ampliare il sindacato sul riparto di giurisdizione, quando il giudice amministrativo non esamina la richiesta di tutela che gli viene presentata nell'ambito della sua giurisdizione Cass., sez. un., n. 10294/2012 e Cass., sez. un., n. 2242/2015, avevano ritenuto configurare una questione di giurisdizione, questione affrontata in precedenza del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale (v. il commento all'art. 42); tuttavia, Cass., sez. un., n. 13243/2010 ha escluso che la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso incidentale possa violare il limite esterno della giurisdizione con conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione.

In sostanza, il rifiuto di giurisdizione sindacabile è solo quello "in astratto" e giammai "in concreto", pena l'invasione nella nomofilachia del giudice di vertice della giurisdizione speciale, cui solo è rimessa la cognizione degli errores in iudicando o in procedendo (Cass., sez. un., n. 15744/2019).

Eccesso di potere giurisdizionale: i limiti esterni della giurisdizione

Il controllo di legittimità riservato alla Corte di cassazione sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato è limitato all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del massimo organo di giustizia amministrativa, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione.

In sostanza, il controllo della Cassazione sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato è limitato all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del g.a., cui non è consentito invadere arbitrariamente il campo dell'attività riservata alla P.A. attraverso l'esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, con conseguente passaggio da una giurisdizione di legittimità a quella di merito, consentita solo in ipotesi previste dal legislatore.

Tuttavia, come già detto, in diverse pronunce la nozione di limite esterno della giurisdizione è stata ampliata.

Per una applicazione dei limiti esterni con riferimento al sindacato del g.a. sugli atti de l Csm v. Cass., sez. un., n. 19787/2015, che anche annulla una sentenza del g.a. per aver operato una valutazione di merito su una delibera del Csm, apprezzandone la ragionevolezza; allo stesso modo è stato ritenuto che una sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando su un ricorso per l'ottemperanza ad un giudicato avente ad oggetto l'annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ormai ripetibile, ordina alla competente amministrazione di provvedere ugualmente a rinnovare il procedimento («ora per allora»), al solo fine di determinare le condizioni per l'eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione, eccede i limiti entro i quali è consentito al giudice amministrativo l'esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è soggetto, pertanto, al sindacato della Corte di Cassazione in punto di giurisdizione. Cass., sez. un., n. 23302/2011; per questo tipo di contenzioso; v. il commento all'art. 114 e, in particolare, il par. «Ottemperanza e limiti esterni della giurisdizione amministrativa (gli atti del Csm).

La tendenza verso un sindacato effettivo del g.a. rischia di essere frenata dalla giurisprudenza della Cassazione, che, nell'interpretare in maniera estensiva il proprio controllo sui limiti esterni della giurisdizione, è arrivata ad annullare alcune decisioni del Consiglio di Stato per il superamento di detti limiti, affermando che il sindacato che il g.a. è chiamato a compiere sulle valutazioni anche tecniche della P.A. deve essere mantenuto sul piano della «non pretestuosità» della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera «non condivisibilità» della valutazione stessa.

In generale, sarebbe errato ritenere che rientri nel compito della Cassazione ex art. 111 Cost. un ruolo di nomofilachia, ossia di omogenea interpretazione del diritto, perché altrimenti in tal modo si finirebbe per consentire il sindacato della Cassazione anche per profili (violazione delle norme di diritto) che invece il legislatore costituzionale e ordinario non ha previsto.

Altre decisioni della Cassazione sembrano allontanare tale rischio.

Tra queste, va citata l'affermazione secondo cui lo sconfinamento nella sfera del merito, preclusa al giudice amministrativo, non è configurabile allorquando vengano sindacate le valutazioni compiute dalle commissioni di gara in sede di verifica dell'anomalia di un'offerta, non attenendo tale controllo al merito dell'azione amministrativa, ma all'esercizio della discrezionalità tecnica (Cass., sez. un., n. 31267/2019).

Con particolare riferimento ai limiti esterni nel giudizio di ottemperanza, è stato precisato che è necessario stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione (non sindacabili dalla Cassazione), oppure il fatto stesso che un tal potere a detto giudice non spettava; in particolare, quando l'ottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell'individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell'amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi derivanti dal giudicato; trattandosi, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza (Cass., sez. un., n. 5058/2017, che ha anche scansionato le fasi logiche del giudizio di ottemperanza: a) interpretazione del giudicato al fine di individuare il comportamento doveroso per la pubblica amministrazione in sede di esecuzione; b) accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; c) valutazione della conformità del comportamento tenuto dall'amministrazione rispetto a quello imposto dal giudicato; nel senso di limitare il sindacato della cassazione sulle sentenze del g.a. rese in sede di ottemperanza, v. Cass., sez. un., n. 8047/2018, Cass., sez. un., n. 13699/2018; Cass., sez. un., n. 16016/2018, Cass., sez. un., n. 15047/2019che, al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato delle Sezioni Unite è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, ritengono decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato - limiti interni della giurisdizione - oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza - limiti esterni della giurisdizione, lo sconfinamento solo dei quali consente l'intervento della cassazione).

E' stato inoltre ritenuto che l'accertamento, da parte del giudice amministrativo, riguardante il se una sentenza penale irrevocabile spieghi efficacia ex artt. 652 o 654 c.p.p., ovvero il se all'esito residui un'area di rilevanza, quanto alla propria cognizione, dei fatti di cui il giudice penale abbia pur escluso la sussistenza, non esorbita i limiti esterni della sua giurisdizione, costituendo null'altro che un'attività di giudizio, sicché, anche se errata, non può dar luogo ad un motivo di giurisdizione rilevante ai sensi degli artt. 110 c.p.a. e 362 c.p.c. ( Cass., sez. un., n. 25975/2016); e ancora è stato escluso che la Cassazione possa fare diretta applicazione in sede di controllo dei profili relativi alla giurisdizione delle norme sul risarcimento del danno (Cass., sez. un., n. 2910/2014); Cass., sez. un., n. 2720/2018 riconduce l'eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, alle ipotesi in cui l'indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima una volontà dell'organo giudicante che si sostituisce a quella dell'amministrazione, nel senso che, procedendo ad un sindacato di merito, si estrinsechi in una pronunzia autoesecutiva, intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l'esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa).

Si tratta, dunque, di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, e solo in quanto tale può essere eventualmente rilevata dalla Cassazione a norma dell'art. 111, comma 8, Cost. e dell'art.362, comma 1, c.p.c., non potendo esse estendere il proprio sindacato, senza violare la norma costituzionale, anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, cioè ad eventuali errori in iudicando o in procedendo che rientrano nei limiti interni della giurisdizione, la violazione dei quali resta estranea al sindacato della cassazione (Cass., sez. un., n. 21869/2019, in una fattispecie in materia di revocazione, in cui è stato anche affermato che le statuizioni contenute nella sentenza relativa alla fase rescindente del giudizio di revocazione hanno carattere di definitività, e valore di giudicato, e possono quindi essere oggetto di ricorso per cassazione nei limiti anzidetti).

L'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore “è configurabile solo qualora il Consiglio di Stato abbia applicato, non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete: ipotesi non ricorrente quando il giudice amministrativo si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto, non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dar luogo, tutt'al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale (Cass., sez. un., n. 31105/2018; sez. un., n. 7738/2020).

L'eventuale violazione delle norme del codice di rito amministrativo sul vincolo alle sezioni semplici del principio di diritto pronunciato dall'adunanza plenaria si risolverebbe in un ipotetico error in iudicando, tutto interno alla giurisdizione speciale e così insuscettibile di assurgere a presupposto del peculiare - ed ormai, dopo la citata Corte cost. n. 6/2018, assolutamente residuale - ricorso ai sensi dell'art. 111 comma 8 Cost. (Cass., sez. un., n. 31541/2021; Cass., sez. un., n. 30869/2018, che ha anche affermato che non integra eccesso dì potere giurisdizionale del giudice amministrativo per usurpazione della funzione amministrativa la pronuncia, resa ai sensi dell'art. 122 c.p.a., di inefficacia del contratto seguito ad aggiudicazione definitivamente annullata e di subentro del ricorrente nel rapporto contrattuale, essendo tali statuizioni istituzionalmente riservate a quel giudice e precluse all'autorità amministrativa, né potendo configurarsi la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa in pretesi errori di valutazione dei relativi presupposti).

Anche in materia di concorsi universitari la Cassazione ha precisato che non integra eccesso di potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato l'ordine del giudice all'amministrazione di attribuire a un candidato l'abilitazione scientifica nazionale all'esercizio delle funzioni di professore universitario, anziché prevedere il riesercizio del potere da parte dell'amministrazione, nell'ipotesi in cui l'amministrazione abbia esaurito l'ambito di discrezionalità tecnica ad essa rimesso dopo due giudicati di merito sfavorevoli (Cass., sez. un., n. 18592/2020).

Le Sezioni unite hanno anche escluso che il superamento dei limiti esterni alla giurisdizione possa derivare da un provvedimento cautelare– avente carattere pienamente strumentale – che non decide la controversia sulla legittimità del provvedimento (Cass., sez. un., n. 30652/2018 ).

Le sentenze della Plenaria che si limitano ad enunciare un principio di diritto non sono ricorribili per cassazione, in quanto la relativa statuizione è priva dei caratteri della decisorietà e definitività e, inidonea a divenire giudicato ed essere, quindi contestata sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale (Cass., sez. un., n. 27842/2019).

Il travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa deve essere escluso anche in presenza di sentenze di rigetto del g.a., che si esauriscono nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituiscono all'atto amministrativo – conservando l'autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l'atto non fosse stato impugnato, eccetto la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice (Cass., sez. un., n. 10248/2021).

È stato anche escluso che integri una questione di giurisdizione il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con conseguente adesione ad una interpretazione incompatibile con i principi dell'U.E. (Cass., sez. un., n. 2361/2015; Cass., sez. un., n. 12050/2017 ). Va, tuttavia, sottolineato come tale principio ammetta una deroga: Infatti, pur essendo vero che il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione (che l'art. 111 Cost., u.c. affida alla Corte di cassazione) non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione europea , neppure sotto il profilo dell'osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea », a tale regola generale fa tuttavia eccezione «l'ipotesi estrema» in cui la decisione del Consiglio di Stato risulti in un aprioristico diniego di tutela , ossia si fondi su una interpretazione delle norme incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo (accesso che invece sarebbe consentito secondo l'interpretazione della pertinente disposizione comunitaria elaborata dalla Corte di giustizia). (Cass., sez. un., n. 3915/2016; Cass., sez. un., n. 2242/2015 ). Non costituiscono diniego di giurisdizione, da parte del Consiglio di Stato (o della Corte dei conti), gli errori in procedendo o in iudicando, ancorché riguardanti il diritto dell'Unione europea, salvo i casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento (nazionali o dell'Unione) tale da ridondare in denegata giustizia, e in particolare il caso, tra questi, di errore in procedendo costituito dall'applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale nell'ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell'Unione europea, direttamente applicabili, secondo l'interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia (Cass., sez. un., n. 31226/2017, che annulla con rinvio una sentenza del Consiglio di Stato sui rapporti tra ricorso avverso l'esclusione da una gara di appalto e contestazione dell'ammissione del concorrente). In contrasto con tale soluzione che attribuisce rilievo al caso delle c.d. sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero ad uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”, vedi Corte cost. n. 6/2018, illustrata in precedenza, secondo cui attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive. V. il commento all' art. 79 e all'art. 120.

Cass., sez. un., 5 aprile 2020, n. 7839 e 5 ottobre 2021 n. 26920 hanno affermato che la violazione delle norme dell'Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che è sottratto al controllo di giurisdizione della Cassazione.

Tuttavia, la stessa Cassazione aveva sollevato questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, interrogandola sulla compatibilità con il diritto europeo degli artt. 111, comma 8, Cost., 360, primo comma, n. 1, e 362, primo comma, c.p.c. e 110 c.p.a., nella parte in cui sono interpretati dalla giurisprudenza nazionale nel senso di non consentire il ricorso per cassazione dinanzi alle sezioni unite, per motivi inerenti alla giurisdizione, sotto il profilo del cosiddetto difetto di potere giurisdizionale, per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia UE.o nella parte in cui sono interpretati dalla giurisprudenza nazionale nel senso di non consentire il ricorso per cassazione dinanzi alle sezioni unite per motivi inerenti alla giurisdizione, sotto il profilo del cosiddetto difetto di potere giurisdizionale, delle sentenze del Consiglio di Stato che omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla stessa Corte di Giustizia (Cass., sez. un., n. 19598/2020).

Al riguardo, si era già rilevato che la finalità del rinvio pregiudiziale appariva quella di mettere in discussione, per il tramite della Corte di giustizia, l'ordinamento costituzionale italiano, che prevede – al pari di quello francese – il sistema della doppia giurisdizione.

Tentativo che si è infranto sulla decisione della Corte di Giustizia, che ha affermato che il diritto dell'U.E. non osta a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che produce l'effetto che i singoli non possono contestare la conformità al diritto dell'Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell'ambito di un ricorso dinanzi all'organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. Resta, infatti, estraneo a questioni di compatibilità comunitaria ogni aspetto attinente al riparto di giurisdizione interno agli stati membri, in quanto ciò che rileva è che il diritto processuale nazionale consenta, di per sé, agli interessati di proporre un ricorso dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale e di far valere in modo effettivo dinanzi ad esso una violazione del diritto dell'Unione, restando poi impregiudicata la facoltà dei singoli che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo, a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, di far valere la responsabilità dello Stato membro interessato, purché siano soddisfatte le condizioni previste dal diritto dell'Unione a tal fine, in particolare quella relativa al carattere sufficientemente qualificato della violazione di detto diritto (CGUE, grande sezione, 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a.).

Contenuto del ricorso, notificazione e termine

In tema di giudizio di cassazione, anche il ricorso per motivi di giurisdizione deve recare, a pena di inammissibilità, ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c. — introdotto dall' art. 6 del d.lgs. n. 40/2006 —, la formulazione del quesito di diritto, il quale deve concludere la illustrazione del motivo, e deve essere precisato in modo esplicito, non potendo essere desunto implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso (Cass., sez. un., n. 7258/2007).

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha sanzionato l'Italia, ritenendo che i criteri di redazione dei ricorsi in Cassazione siano eccessivamente formalistici, integrando una lesione del giusto equilibrio tra il rispetto degli obblighi formali e il diritto di accesso al giudice con conseguente violazione dell'art. 6 comma 1 Cedu.(CEDU, 28 ottobre 2021, Succi e altri c. Italia).Va ricordato che ai sensi dell' art. 386 c.p.c. la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda.

La notifica del ricorso in cassazione ex art. 111 Cost. deve essere effettuata presso il domicilio eletto, ai sensi degli artt. 330 e 362 c.p.c., anche nel caso d'impugnazione di sentenza del Consiglio di Stato, essendo inapplicabili nella specie le norme dettate dal regolamento di cui al R.d. n. 642/1907 (Cass., n. 1103/1986).

Il termine per ricorrere è indicato in quello breve dell'art. 325 (sessanta giorni), salvo disposizioni speciali.

La giurisprudenza ha ritenuto non applicabili al ricorso per cassazione le disposizioni del c.p.a. relative al dimezzamento dei termini nei riti speciali (Cass., sez. un., n. 15286/2016, con cui è stato affermato che in materia di contenzioso elettorale il ricorso per cassazione è soggetto al termine di impugnazione ordinario ex art. 325 c.p.c., non potendo in tal caso trovare applicazione il dimezzamento dei termini processuali previsto dall'art. 87, perché dettato per il solo processo amministrativo di primo grado, né quello di cui agli artt. 130 e 131, riferendosi quest'ultimo non al giudizio di cassazione ma solo alle sequenze procedimentali di primo e secondo grado del giudizio amministrativo rilevanti ai fini del contenzioso elettorale non specificamente regolate dagli articoli suddetti). In senso conforme Cons. Stato, sez. III, n. 1500/2013.

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