Procedimento cautelare

Roberto Chieppa
21 Settembre 2022

La proposizione di un ricorso è priva di effetto sospensivo sull'atto che si contesta e la sospensione può essere disposta dal giudice amministrativo nell'ambito della fase cautelare del giudizio, a domanda di parte e sulla base di determinati presupposti. La fase cautelare del processo amministrativo ha rappresentato la più rilevante espressione dello ius praetorium nell'ordinamento vigente. Basti pensare che, pur in assenza di mutamenti normativi (intervenuti solo con la legge n. 205/2000 e ora con il Codice), l'istituto delle misure cautelari è stato oggetto di un profondo processo evolutivo sempre più teso a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, di cui la fase cautelare costituisce un momento essenziale, come affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia. Con l'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, il processo cautelare ha per la prima volta una sua compiuta disciplina, contenuta nel Titolo II del Libro II.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Due sono gli elementi essenziali della tutela cautelare: la strumentalità e la provvisorietà.

L'azione cautelare è strettamente collegata con la domanda principale ed è diretta ad evitare che nel tempo necessario ad ottenere una sentenza di merito il ricorrente possa subire pregiudizi gravi e irreparabili.

In questo senso va intesa la strumentalità delle misure cautelari, che possono essere dirette a conseguire una anticipazione della tutela ottenibile con la sentenza definitiva.

Una misura cautelare idonea a far conseguire qualcosa di più del massimo ottenibile con la sentenza perderebbe il carattere della strumentalità.

Ad esempio, una misura cautelare con cui si consentisse di edificare, a fronte di un vizio del difetto di motivazione dell'impugnato diniego di rilascio del permesso di costruire, non sarebbe corretta, in quanto tale vizio può condurre al riesercizio del potere con adeguata motivazione, ma non comporta di per sé l'accertamento della fondatezza della pretesa di edificare.

Le misure cautelari, inoltre, devono assicurare incidentalmente gli effetti della decisione del ricorso, nel senso che devono stabilire un assetto provvisorio, e non definitivo di tali interessi.

Tenuto conto che l'effetto di tali misure viene meno al momento della pronuncia della sentenza, il carattere della provvisorietà impone al giudice di non determinare in sede cautelare effetti irreversibili.

Gli originari limiti della tutela cautelare

La previsione di poteri cautelari del giudice amministrativo è stata a lungo racchiusa in poche righe dirette a prevedere la possibilità da parte del giudice di sospendere l'esecuzione dell'atto o del provvedimento “per gravi ragioni” (art. 39 R.d. n. 1054/1924 — T.U. Cons. Stato e, in precedenza, art. 12 della l. n. 5992/1889 e art. 36 del R.d. n. 642/1907); anche con la legge Tar, i presupposti per la sospensione dell'atto impugnato erano limitati alla sussistenza di “danni gravi e irreparabili” derivanti dall'esecuzione dello stesso (originaria versione dell'art. 21 della l. n. 1034/1971).

L'unica tipica misura cautelare era, quindi, la c.d. “sospensiva”, con cui l'atto impugnato veniva appunto sospeso, in deroga al principio generale secondo cui la proposizione del ricorso non ha effetto sospensivo sull'atto oggetto impugnato.

L'utilità della sospensione dell'atto impugnato si aveva solo quando quell'atto era idoneo a pregiudicare una posizione di vantaggio già acquisita dal ricorrente, in quanto la sospensiva consentiva, benché in via temporanea, la riespansione di tale posizione.

Di conseguenza, la tutela cautelare nel processo amministrativo è stata inizialmente utilizzata solo in relazione ad interessi oppositivi ed al fine di conservare lo status quo in attesa della pronuncia di merito. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, incidente su un'originaria posizione di diritto soggettivo, costituiva l'unica misura cautelare che il giudice amministrativo concedeva e tale impostazione risultava coerente con un giudizio, il cui oggetto era individuato unicamente nell'atto impugnato, senza alcuna attenzione alla pretesa dedotta in giudizio (v. par. 2.2).

L'inadeguatezza di tale tutela si è resa evidente in relazione agli interessi pretensivi, che in sostanza risultavano privi della tutela cautelare, che, come già detto, costituisce un elemento essenziale della tutela giurisdizionale.

Una progressiva evoluzione giurisprudenziale ha condotto all'attuale tutela cautelare che è certamente idonea a garantire il principio della effettività della tutela giurisdizionale.

Le prime aperture della giurisprudenza

Per evitare l'inconveniente di una tutela cautelare limitata alle posizioni di interesse legittimo oppositivo, la giurisprudenza riconobbe l'ammissibilità della tutela cautelare in presenza dei c.d. provvedimenti negativi con effetti positivi, quali il diniego di rinnovo di concessione, il diniego dalla dispensa dal servizio militare e i provvedimenti di esclusione da prove concorsuali, in considerazione della compatibilità della natura “conservativa” della tutela cautelare con provvedimenti, seppur negativi, aventi effetti innovativi.

Fu poi la Corte costituzionale ad estendere, per le controversie patrimoniali nel pubblico impiego allora attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A., la tutela cautelare all'adozione di tutti i provvedimenti d'urgenza necessari ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito (Corte cost., 28 giugno 1985 n. 190).

Le ordinanze propulsive

Successivamente le spinte verso una maggiore attenzione verso la pretesa sostanziale dedotta in giudizio hanno dato un ulteriore impulso all'evoluzione della tutela cautelare con l'introduzione delle c.d. “ordinanze propulsive”, con cui il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di riesercitare il proprio potere, anche solo riesaminando la questione controversa.

Viene in tal modo superata una concezione della tutela cautelare incentrata sulla sola sospensione degli atti impugnati e viene riconosciuta l'ammissibilità di misure cautelari di contenuto positivo.

Tuttavia, non vi era unanimità sull'ammissibilità delle c.d. ordinanze propulsive, in quanto il riesercizio del potere, stimolato dall'ordinanza cautelare, nel determinare l'eliminazione del provvedimento impugnato e la sua sostituzione con un diverso atto, inciderebbe in via definitiva ed irreversibile sul ricorso pendente (che diventerebbe improcedibile), esorbitando dai limiti connaturati al processo cautelare, preordinato esclusivamente ad assicurare la conservazione delle ragioni del ricorrente nelle more del giudizio di merito.

Tali preoccupazioni sono oggi scomparse: l'eventuale nuovo provvedimento, se favorevole al ricorrente ed emesso in mera esecuzione dell'ordinanza, necessiterebbe comunque di una conferma in sede di merito e, se negativo, può ora essere impugnato con lo strumento dei motivi aggiunti, senza alcuna improcedibilità del ricorso.

I presupposti della tutela cautelare nella legge n. 205/2000

Quando già la giurisprudenza aveva condotto la tutela cautelare nel processo amministrativo ben al di là della mera sospensione dell'atto impugnato, è intervenuta la legge 21 luglio 2000, n. 205, con cui è stato riscritto l'art. 21 della l. Tar ed è stata ridisciplinata la fase cautelare, in parte codificando quel diritto pretorio formatosi in anni di giurisprudenza amministrativa.

Il definitivo abbandono di una concezione meramente conservativa della tutela cautelare è stato sancito con la previsione di misure atipiche, maggiormente idonee “ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”; scompare, quindi, l'esclusivo riferimento alla sospensione dell'atto impugnato e le misure cautelari sono lasciate alla determinazione del giudice, che può anche ingiungere il pagamento di una somma o subordinare la concessione della misura alla prestazione di una cauzione (che non può essere imposta però quando la richiesta cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell'ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale).

Sono stati anche meglio definiti i presupposti da valutare ai fini della concessione di una misura cautelare.

Al riguardo, va premesso che in precedenza il riferimento normativo limitato al solo periculum (danno grave e irreparabile) non era stato inteso in termini letterali dalla giurisprudenza, che aveva sempre ritenuta necessaria anche la sussistenza del fumus (prognosi sull'esito favorevole del ricorso, benché nei limiti del giudizio sommario cautelare).

L'art. 21 della l. Tar ha poi fatto riferimento ora ad entrambi i presupposti: il periculum (“pregiudizio grave e irreparabile derivante dall'esecuzione dell'atto impugnato”) e il fumus (“profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull'esito del ricorso”). Entrambi i presupposti (confermati dall'art. 55, comma 9, c.p.a.) devono essere oggetto di specifica motivazione ed è ormai in via di superamento la prassi, che consentiva al G.A. di emettere ordinanze cautelari non motivate.

Tali presupposti si applicano anche in appello sia in ipotesi di impugnazione dell'ordinanza cautelare del Tar, si in caso di richiesta di sospensione della sentenza appellata.

Il procedimento cautelare nel Codice

Con l'entrata in vigore del Codice, il processo cautelare ha per la prima volta una sua compiuta disciplina, contenuta nel Titolo II del Libro II.

Con il Codice il processo cautelare è stato disciplinato in modo da garantire una posizione di equilibrio tra le parti, rafforzando la garanzia del contraddittorio e, al contempo, salvaguardando le esigenze di tempestività della tutela cautelare.

Per tale procedimento — strutturato su una fase collegiale ordinaria, sempre passibile di anticipazione presidenziale monocratica — è stata introdotta un'articolata e armonica disciplina, per la prima volta completa.

La previa presentazione dell'istanza di fissazione dell'udienza per la discussione del merito è stata elevata a condizione di procedibilità dell'azione cautelare, salvo che per i casi di fissazione d'ufficio dell'udienza di merito.

La principale novità introdotta sul rito cautelare ordinario, che è quello collegiale, va individuata nella fissazione di nuovi termini a garanzia dell'effettivo esercizio del diritto di difesa delle parti, idonei a consentire che la trattazione della domanda cautelare si svolga in condizioni di parità tra le parti davanti ad un giudice, che è posto nelle condizioni di avere una piena conoscenza dei fatti e delle tesi difensive.

In precedenza le istanze cautelari erano trattate alla prima camera di consiglio utile dopo il decorso di dieci giorni dalla notificazione del ricorso e le difese scritte potevano essere prodotte fino alla stessa camera di consiglio.

Tenendo conto del dimezzamento dei termini nel rito ex art. 23-bis l. Tar e dell'eventuale abbreviazione dei termini, che poteva essere disposta dal giudice, la difesa delle parti resistenti era spesso compressa in spazi temporali molto limitati e lo stesso giudice si poteva trovare a dover esaminare nella stessa giornata della camera di consiglio memorie e documentazione prodotta dalle parti.

Inoltre, la data di svolgimento della camera di consiglio dipendeva anche dai tempi del deposito del ricorso, dovendo le parti resistenti verificare la data di avvenuto deposito e la conseguente fissazione della camera di consiglio.

Il Codice ha previsto che sulla domanda cautelare il collegio pronuncia alla prima camera di consiglio utile, dopo che siano decorsi venti giorni dal perfezionamento dell'ultima sua notificazione ai soggetti intimati, nonché dieci giorni dal suo deposito presso la segreteria del giudice adito.

In questo modo è dato agli intimati un adeguato termine a difesa, costituito da un più ampio spazio temporale decorrente dalla notificazione (venti giorni) e dalla necessità che anche rispetto al deposito trascorre un periodo minimo (dieci giorni).

Il Codice garantisce il diritto di difesa e di conoscenza degli atti da parte del giudice, anche mediante l'introduzione di un termine (fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio) per il deposito di memorie e documenti.

Il Codice non ha innovato sui presupposti per la concessione della misura cautelare, se non per un unico, ma rilevante, aspetto, costituito dalla necessaria verifica della sussistenza della competenza da parte del giudice.

È stato previsto che il giudice adito possa disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza; altrimenti il giudice non provvede sulla domanda cautelare e richiede d'ufficio, con ordinanza, il regolamento di competenza, indicando il tribunale che reputa competente.

Il nuovo regime dell'inderogabilità della competenza territoriale, già illustrato, è stato introdotto anche per porre rimedio al fenomeno del c.d. forum shopping, che ha spesso caratterizzato il processo cautelare di primo grado: la derogabilità della competenza, abbinata al potere di disporre misure cautelari da parte del giudice incompetente, aveva a volte determinato che i ricorrenti fossero indotti a cercare il Tribunale amministrativo regionale, favorevole alle proprie tesi, per ottenere una misura cautelare.

I dubbi di costituzionalità sulla nuova disciplina sono stati fugati dal giudice delle leggi, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 4, e 15, comma 2, del Codice, censurati, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui inibiscono al giudice adito di pronunciarsi su istanze cautelari, nelle more della pronuncia del giudice competente sulla controversia, rilevando che l'eventuale accoglimento della questione prospettata — che consentirebbe alla parte di adire un giudice incompetente in violazione di qualsiasi criterio di riparto della competenza individuato e di ottenere da questi una pronuncia cautelare — comporterebbe la lesione, tra gli altri, dei parametri costituzionali menzionati (Corte cost., 23 giugno 2014, n. 182).

Va, infine, ricordato che la riproposizione di una domanda cautelare e la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale possono essere chieste anche se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, ponendo in quest'ultimo caso a carico dell'istante l'onere di fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Nella revoca vengono inclusi le ipotesi di revocazione, disciplinate dall'articolo 395 del codice di procedura civile.

Sentenze brevi, definizione anticipata del merito e strumentalità

Le riforme, introdotte prima con la legge n. 205/2000 e ora con il Codice, non hanno affatto attenuato il carattere strumentale della tutela cautelare, anzi lo hanno ulteriormente accentuato, come dimostra la previsione delle seguenti innovazioni dirette a rendere più forte il legame tra tutela cautelare e definizione del merito del giudizio:

• la possibilità di definire il giudizio nel merito in sede di decisione della domanda cautelare con sentenza in forma semplificata e previo avviso dato alle parti (non è necessario il consenso delle parti che devono solo essere avvisate, a condizione che il giudizio sia istruito e il contraddittorio integro);

• la fissazione anticipata della data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, pronunciata in sede cautelare nei giudizi assoggettati al rito abbreviato, qualora si ritenga ad un primo esame che il ricorso evidenzi l'illegittimità dell'atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile, dovendo ricorrere invece i presupposti dell'estrema gravità ed urgenza per la concessione di misure cautelari.

Ora il Codice ha generalizzato il meccanismo, finora presente nel solo rito ex art. 23-bis l. Tar, in base al quale il giudice, in sede di esame della domanda cautelare, può limitarsi a fissare la trattazione di merito del ricorso quale meccanismo idoneo a risolvere in tutto o in parte le esigenze poste a base della richiesta cautelare.

In ogni caso, l'ordinanza concessiva di misure cautelari deve contenere la fissazione della data di discussione del merito. Tale previsione, chiaramente volta a prevenire casi di misure cautelari indefinitamente efficaci senza essere mai riassorbite dalla sentenza di merito, si coniuga con la necessaria preventiva presentazione della domanda di fissazione di udienza e con la previsione della sua irrevocabilità.

Il legislatore sembra aver avvertito il rischio di una eccessiva espansione della fase cautelare, che a volte ha caratterizzato il processo amministrativo negli uffici giudiziari oberati da un pesante arretrato e ha indicato la strada della tempestiva definizione del merito del giudizio anche in sostituzione delle misure cautelari.

Il rischio che tale accelerazione del giudizio possa comprimere il diritto di difesa è stato escluso dalla Corte costituzionale in relazione all'antecedente storico dell'art. 23-bis l. Tar (art. 19 d.l. n. 67/1997; v. par. 6.1); la Corte ha evidenziato che le parti costituite che vogliono avvalersi di strumenti difensivi rientranti nel loro potere dispositivo e comportanti termini, sia pure abbreviati, che eccedono dalla sequenza di immediatezza scandita dall'art. 19, avranno l'onere di esternare nella stessa camera di consiglio il loro intento, proponendo apposita e motivata istanza di rinvio (anche semplicemente verbalizzata), ed esternando la volontà di proporre ricorso incidentale, regolamento di competenza, di depositare ulteriori documenti o memorie, di proporre motivi aggiunti e, più in generale, di esercitare attività di difesa rilevante per la trattazione del merito della controversia. Tale istanza, peraltro, non produce un effetto di automatica e vincolante paralisi della facoltà di definizione immediata del giudizio demandata al giudice, il quale è tenuto, nell'esercizio dei suoi poteri valutativi, all'osservanza dei principi generali del processo amministrativo, potendo disattendere l'istanza solo quando risulti irrilevante, ai fini della decisione da adottare, ovvero sia processualmente inammissibile la specifica attività difensiva annunciata dalla parte Corte cost., 10 novembre 1999, n. 427).

Si rileva, inoltre che da tali disposizioni emerge rafforzato il carattere di strumentalità delle misure cautelari rispetto al giudizio di merito e deve ritenersi persistente anche il carattere della provvisorietà, da alcuni posto in dubbio dal riferimento alla previsione, secondo cui, nel caso in cui dall'esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili il giudice amministrativo può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare.

L'irreversibilità degli effetti è innanzitutto riferita anche al diniego della misura cautelare e quindi all'esecuzione del provvedimento impugnato e va comunque intesa in senso restrittivo, dovendo tali effetti normalmente non derivare dall'esecuzione di una misura cautelare.

Tutela cautelare inaudita altera parte e tutela ante causam

La legge n. 205 del 2000 ha anche introdotto la tutela cautelare inaudita altera parte di tipo monocratico, in quanto attribuita al Presidente del Tar o della sezione del Consiglio di Stato in via interinale ed anticipata rispetto all'intervento del Collegio (decreto cautelare monocratico).

In precedenza, i tentativi di qualche Presidente di Tar di introdurre tale tutela in via pretoria erano stati bloccati dal Consiglio di Stato, che considerò nulli tali decreti, in quanto emessi da un organo privi di competenze decisorie (fino alla legge n. 205/2000 attribuite solo al Collegio).

L'art. 21, comma 8, della l. Tar ha previsto che prima della trattazione della domanda cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il ricorrente può, contestualmente alla domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti, chiedere al presidente di disporre misure cautelari provvisorie, su cui il presidente provvede, anche in assenza di contraddittorio, con decreto motivato, la cui efficacia cessa al momento della necessaria successiva pronuncia del collegio, cui l'istanza cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile.

Il Codice ha confermato la tutela cautelare monocratica, configurando anche un potenziale contraddittorio, sia pure embrionale, davanti al presidente che, ove lo ritenga necessario, prima di pronunciarsi può sentire, fuori udienza e senza formalità. le parti che si siano rese disponibili, avendo ricevuto la notifica dell'istanza di cautela monocratica.

Il decreto cautelare monocratico, anche se di reiezione, deve contenere l'indicazione della camera di consiglio per la trattazione collegiale dell'istanza (ossia a quella immediatamente successiva alla scadenza dei predetti termini dalle notifiche e dal deposito) e, in caso di accoglimento, il decreto conserva efficacia sino a detta camera di consiglio e perde comunque efficacia se il collegio non provvede sulla domanda cautelare nella stessa camera di consiglio.

Pertanto, anche in caso di rinvio o di ordinanza istruttoria, il Collegio deve confermare la misura cautelare se intende consentirne la sopravvivenza.

La regola è la trattazione collegiale delle domande cautelare e la tutela monocratica, come ancor più quella ante causam, rappresentano le eccezioni dirette a consentire, nei casi di estrema gravità e urgenza, la concessione di misure cautelari per il periodo strettamente necessario a sottoporre la questione al Collegio e, nell'ambito di tale sistema, sono del tutto ragionevoli le cautele introdotte dal Codice per evitare che l'assetto degli interessi possa restare regolato da un provvedimento monocratico oltre il tempo strettamente necessario per provocare la pronuncia del Collegio.

Per l'emissione del decreto monocratico è comunque necessaria la pendenza di un giudizio e, quindi, la già avvenuta o contestuale notificazione del ricorso, senza quindi possibilità di tutela prima della presentazione del ricorso, come avviene invece nel processo civile (tutela ante causam).

Tale differenza ha indotto alcuni a dubitare della costituzionalità dell'assenza della tutela ante causam, ma la Corte costituzionale ha con fermezza ritenuto manifestamente infondata la questione, evidenziando che legislatore nella sua discrezionalità e con il solo limite della non manifesta irragionevolezza o non palese arbitrarietà, può adottare norme processuali differenziate tra i diversi tipi di giurisdizioni e di riti procedimentali, non essendo tenuto, sul piano costituzionale, ad osservare regole uniformi rispetto al processo civile, e atteso che deve escludersi che la P.A. si trovi, in ordine al sistema delle misure cautelari del processo amministrativo, in una posizione privilegiata che non contempli la possibilità di intervento, anche immediato, del giudice con misure cautelari provvisorie o che comunque limiti la effettività della tutela, conseguibile anche nel processo amministrativo in termini rapidi grazie alla possibilità di riduzione dei termini e di utilizzo di mezzi veloci di notificazione (Corte cost., 10 maggio 2002, n. 179).

Tuttavia, la questione non si chiuse con tale decisone, in quanto venne rimessa alla Corte di Giustizia una analoga questione interpretativa relativa ai giudizi in tema di appalti.

La Corte di Giustizia ha affermato che l'art. 2, comma 1 lett. a) della direttiva n. 89/665/Cee (direttiva ricorsi in materia di appalti) deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a conferire ai loro organi contenziosi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione di un ricorso di merito, qualsiasi provvedimento provvisorio compresi quelli volti a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica dell'appalto (Corte giust. UE, sez. IV, 29 aprile 2004, C-202/03).

In esecuzione di tale pronuncia è stata introdotta la tutela ante causam per le controversi in materia di appalti: l'art. 245 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) ha previsto la possibilità per il ricorrente in caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso, di proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso, attribuendo la competenza sempre al Presidente del Tar in via monocratica (l'istanza deve essere comunque notificata e perde efficacia se non confermata entro 60 giorni dal Collegio).

Il Consiglio di Stato, in sede consultiva di espressione del parere sul c.d. codice appalti, aveva invitato il Governo ad assumere le opportune iniziative per estendere la tutela cautelare ante causam a tutto il processo amministrativo, in quanto prevedere la tutela cautelare ante causam solo nel settore dei pubblici appalti — pur nella peculiarità degli interessi coinvolti — avrebbe potuto non superare il vaglio di costituzionalità per disparità di trattamento allorché si evidenzi che, anche in altre materie, si è in presenza della medesima situazione giuridica soggettiva tutelata nella materia degli appalti.

La generalizzazione della tutela ante causam è poi avvenuta con il Codice, che ha attuato uno specifico criterio della legge delega.

Tale forma di tutela è stata sostanzialmente strutturata in modo analogo alla tutela monocratica, ma ancorata a presupposti di eccezionale gravità e urgenza, tali da non consentire neanche la previa redazione e notificazione del ricorso.

È stabilito che il provvedimento di accoglimento è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni e che lo stesso perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di udienza.

In ogni caso la misura concessa ai sensi del presente articolo perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa.

La ancora maggiore eccezionalità della tutela ante causam determina l'esigenza di prevedere termini ancora più stringenti, per la proposizione del giudizio al fine della conferma delle misure cautelari da parte del Collegio.

Le spese del procedimento cautelare

In precedenza, l'art. 21, comma 11, della l. Tar consentiva la condanna alla rifusione delle spese del procedimento cautelare solo in caso di ordinanza che rigettava la domanda cautelare o l'appello contro un'ordinanza cautelare ovvero li dichiarava inammissibili o irricevibile.

La condanna alle spese avveniva, inoltre, “in via provvisoria”.

Il Codice generalizza la condanna alle spese, non più limitata ai casi di reiezione della domanda cautelare e, soprattutto, la rende autonoma, conservando efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.

La condanna alle spese non viene, quindi, assorbita dalla statuizione sulle spese contenuta nella sentenza che definisce il merito del ricorso, ma assume un carattere autonomo, che rende possibile che a seguito della reiezione della domanda cautelare, il ricorrente possa essere condannato alle spese per la soccombenza in tale fase del giudizio, anche se poi il ricorso venga accolto nel merito con vittoria anche delle spese, che non incide sulla precedente condanna della fase cautelare, a meno che il giudice non disponga in senso diverso.

Tale principio è confermato anche in ipotesi di istanza di esecuzione di una ordinanza cautelare restata inattuata, per la quale anche la liquidazione delle spese operata prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.

Deve ritenersi che il giudice debba sempre pronunciare sulle spese della fase cautelare, potendo eventualmente anche compensarle e che non possa omettere di decidere sul punto.

L'esecuzione di una ordinanza cautelare

Anche le ordinanze cautelari sono provvedimenti giurisdizionali idonei ad essere portati ad esecuzione.

Tale principio, già emerso in giurisprudenza, è stato codificato dalla legge n. 205/2000, che ha previsto che nel caso in cui l'amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure cautelari concesse, o vi abbia adempiuto solo parzialmente, la parte interessata può, con istanza motivata e notificata alle altre parti, chiedere le opportune disposizioni attuative e in questo caso il giudice amministrativo esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato.

Il richiamo agli stessi poteri significa che non è necessario seguire lo stesso procedimento con notificazione della diffida, ma che il giudice ha gli stessi poteri, anche di merito, che ha in sede di ottemperanza, compresa la nomina di un commissario ad acta.

Va, infine, precisato che anche in relazione alla fase cautelare è utilizzato il termine “giudicato cautelare”, che si forma quando una misura cautelare non può più essere contestata perché non impugnata nei termini o perché concessa dal Consiglio di Stato; resta fermo che la misura cautelare, in quanto temporanea, è comunque destinata a cessare di produrre effetti al momento della pubblicazione della decisione di merito.

La tutela cautelare in appello

La tutela cautelare in appello può riguardare l'appello cautelare proposto avverso l'ordinanza del Tar, che ha deciso su una domanda cautelare o le misure cautelari concedibili in sede di impugnazione di una sentenza del Tar.

L'appello cautelare è disciplinato dall'art. 62 nel Libro II del Codice, trattandosi di una fase incidentale al processo di primo grado; mentre le misure cautelari assentibili in un giudizio di impugnazione sono disciplinate dall'art. 98 nel libro III.

L'appello cautelare è in gran parte disciplinato con un rinvio alle disposizioni del giudizio cautelare di primo grado.

In particolare, il Consiglio di Stato può, in sede di appello cautelare, regolare d'ufficio la competenza, indicando il Tar competente e annullando le misure cautelari eventualmente emanate dal Tar incompetente.

Nell'ambito dei giudizi di impugnazione delle sentenze dei Tar, l'art. 98 ribadisce il tradizionale presupposto del periculum per la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata, da cui possa derivare un danno grave e irreparabile e richiama la possibilità di concedere le altre opportune misure cautelari, a conferma dell'atipicità delle misure anche in tale fase.

Pur essendo stabilito dall'art. 56 c.p.a. che i decreti cautelari monocratici non siano impugnabili, durante l'emergenza sanitaria Covid-19 è stata riproposta la tesi della ammissibilità dell'appello avverso un decreto cautelare monocratico in limitate ed eccezionali ipotesi in sono in gioco censure direttamente fondate sull'asserita violazione di principi che trovano in articoli della Costituzione diretta tutela e fondamento, quali il diritto alla salute e all'istruzione nonché, in primo luogo il principio di parità di cui all'art. 3 Cost. (Cons. Stato, Sez. III, decr. 26 novembre 2020, n. 6795 e 10 novembre 2020, n. 6453); al riguardo, si osserva che appare preferibile la tesi che ritiene non superabile il dato testuale della non appellabilità dei decreti monocratici, salvo i casi dei c.d. “decreti meramente apparenti” che abbiano solo veste formale di decreti ma contenuto sostanziale decisorio tale da definire in maniera irreversibile la materia del contendere, evenienza che si verifica allorquando la decisione monocratica in primo grado non abbia affatto carattere provvisorio ed interinale ma definisca o rischi di definire in via irreversibile la materia del contendere, come negli eccezionali casi di un decreto cui non segua affatto una camera di consiglio o in cui la fissazione della camera di consiglio avvenga con una tempistica talmente irragionevole da togliere ogni utilità alla pronuncia collegiale con incidenza sul merito del giudizio (di talché residuino al limite questioni risarcitorie), dovendo in tali casi intervenire il giudice di appello per restaurare la corretta dialettica fra funzione monocratica e funzione collegiale in primo grado (Cons. stato, II, decr. 4 maggio 2021 n. 2289).

La tutela ante causam non si applica infine al giudizio in appello, come già previsto dall'abrogato art. 245 del d.lgs. n. 163/2006.

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