Restituzione ad uno solo dei coniugi del prestito concesso con denaro della comunione legale

03 Ottobre 2022

In caso di prestito concesso con denaro della comunione legale, la restituzione dell'intero importo effettuata solo ad uno solo dei coniugi, estingue il debito?
Massima

In caso di prestito concesso congiuntamente da due coniugi in regime patrimoniale di comunione legale con denaro della comunione, il debitore che restituisca l'intero importo ad uno solo dei coniugi è liberato, per la prevalenza delle regole della comunione legale sul principio della parziarietà delle obbligazioni solidali dal lato attivo

Il caso

Tizio e Tizia, coniugi in regime di comunione legale dei beni, effettuavano due prestiti in favore dei coniugi Caio e Caia, parenti di Tizia, regolati mediante pattuizione scritta comprensiva del versamento di un cospicuo interesse.

Tizio, a seguito di separazione e divorzio da Tizia, conveniva in giudizio Caio e Caia, chiedendo loro la restituzione della metà delle somme prestate agli stessi.

I convenuti sostenevano di avere adempiuto all'obbligazione restitutoria, avendo restituito l'intero importo dovuto, comprensivo degli interessi, a mani di Tizia, su autorizzazione dell'attore, quando i due creditori erano ancora coniugati in regime di comunione legale dei beni.

Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi, rigettavano la pretesa dell'attore, ancorché sulla base di motivazioni differenti: il primo riteneva implicitamente pattuita tra le parti la solidarietà dal lato attivo del rapporto di mutuo, di tal che l'adempimento dell'intera obbligazione in favore di uno dei creditori, avrebbe avuto effetto liberatorio anche nei confronti dell'altro.

Siffatto effetto liberatorio veniva confermato anche dalla Corte di Appello, sulla base però della disciplina della comunione legale dei beni: i prestiti effettuati da Tizio e Tizia andavano inquadrati come atti di straordinaria amministrazione relativi a beni rientranti nella comunione legale, di tal che la restituzione del denaro alla sola Tizia (all'epoca ancora coniuge di Tizio in regime di comunione legale) era idonea ad estinguere l'obbligazione.

Tizio proponeva quindi ricorso in Cassazione deducendo (tra l'altro) la violazione degli articoli 1292, 1294 e 180 c.c., assumendo che alla fattispecie in oggetto avrebbe dovuto essere applicata la disciplina in materia di obbligazioni soggettivamente complesse: pertanto, secondo il ricorrente, in assenza di una previsione legale ovvero di una diversa pattuizione nel titolo (non essendo previsto nulla al riguardo nell'accordo sottoscritto al momento dell'erogazione dei prestiti), si doveva presumere la parziarietà dell'obbligazione dal lato attivo del rapporto di credito, di tal che il pagamento eseguito per intero nelle mani dell'ex moglie, non avrebbe avuto effetto liberatorio dall'obbligazione restitutoria per i debitori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha confermato l'orientamento della Corte di Appello, facendo applicazione delle regole che disciplinano la comunione legale, quale regime patrimoniale adottato dai coniugi creditori prima dell'erogazione dei prestiti e sussistente anche al momento della relativa restituzione.

Secondo il ragionamento della Suprema Corte, il credito che sorge dalla erogazione di un prestito con denaro appartenente alla comunione legale non ha natura personale ma è un credito della comunione legale stessa: pertanto Tizio “ … non era comunque legittimato a chiedere a titolo personale al terzo, debitore della comunione legale, la restituzione del 50% di quanto versato in restituzione alla moglie, perché il credito restitutorio era un credito della comunione legale e non un credito personale”, ma avrebbe potuto al massimo attivarsi nei confronti della moglie al momento dello scioglimento della comunione legale.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di prestito concesso con denaro della comunione legale, la restituzione dell'intero importo effettuata al singolo componente della comunione costituisce atto liberatorio per il debitore, volto ad estinguere l'obbligazione restitutoria nei confronti di entrambi i creditori? In altri termini, prevale la disciplina della comunione legale dei beni oppure il principio della parziarietà delle obbligazioni - che costituisce la regola, in assenza di diversa previsione, per il lato attivo del rapporto di credito?

Le soluzioni giuridiche

La risoluzione della problematica posta dal caso di specie ha richiesto un necessario confronto tra le norme che disciplinano i rapporti obbligatori da una parte e quelle in materia di comunione legale dei beni dall'altra.

Tizio richiamava, a fondamento della sua pretesa, l'applicazione della disciplina relativa alle obbligazioni soggettivamente complesse, dalla quale si presume la parziarietà dal lato attivo del rapporto obbligatorio.

Preliminarmente, giova ricordare che l'art. 1292 c.c. definisce l'obbligazione in solido, dal lato attivo, quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione e l'adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori. Il successivo articolo 1294 c.c. disciplina la solidarietà sul versante passivo, prevedendo come regola generale che i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente; per il versante attivo, stante il silenzio del legislatore, la dottrina e la giurisprudenza ritengono che la regola sia quella (opposta) della parziarietà delle obbligazioni, in assenza di diversa statuizione di legge o di diversa previsione contenuta nel titolo.

Ma in che cosa deve consistere questa “diversa previsione” del titolo? Il Tribunale ha richiamato un orientamento di legittimità in materia di solidarietà attiva secondo il quale affinché sussista la stessa è sufficiente che “attraverso l'interpretazione del titolo possa accertarsi univocamente la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei creditori il diritto di pretendere l'adempimento dell'intera obbligazione, con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri creditori”; conseguentemente, sulla base di alcuni elementi, quali l'unicità del titolo, l'identità dell'oggetto e della causa del rapporto obbligatorio, secondo il Tribunale poteva ritenersi - nel caso di specie - implicitamente pattuita tra le parti la solidarietà dal lato attivo del rapporto di mutuo.

Diversamente, la Corte di Appello prima e la Corte di Cassazione poi, hanno contestato le argomentazioni del Tribunale, in quanto non in linea con la richiamata giurisprudenza di legittimità, che invece richiede una “specifica pattuizione” nel titolo per giustificare la solidarietà dal lato attivo del rapporto obbligatorio.

Orbene, la Corte Suprema, richiamando precedenti pronunce, ha affermato che la solidarietà attiva tra più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, poiché non è sufficiente all'esistenza del vincolo l'identità qualitativa delle prestazioni e delle obbligazioni.

Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la suddetta regola della parziarietà del tutto irrilevante, espressamente sancendo la prevalenza delle regole della comunione legale su quelle delle obbligazioni soggettivamente complesse e quindi, in particolare, sul principio della parziarietà delle obbligazioni solidali dal lato attivo.

Osservazioni

L'individuazione del regime patrimoniale tra i coniugi al momento dell'erogazione dei prestiti è il fulcro del ragionamento della Corte di Cassazione che, nel risolvere la questione posta dal caso in esame, intreccia la valutazione di elementi di fatto con qualificazioni giuridiche e, pur aderendo alla ricostruzione del ricorrente sulla parziarietà dell'obbligazione dal lato attivo del rapporto di mutuo, perviene ad una diversa ricostruzione della vicenda.

Preliminarmente la Corte si sofferma proprio sul presupposto di fatto alla base della regola giuridica utilizzata per risolvere la questione, ovvero la sussistenza del regime di comunione legale al momento dell'erogazione dei prestiti: non avendo i coniugi mai precisato, né nella scrittura privata né in seguito, la natura personale del denaro, e stante la significatività degli importi dei prestiti, la Corte conclude che quel denaro “non poteva che provenire dalla comunione legale, non potendo aver altro senso il prestito congiunto, e non esistendo altro patrimonio al quale attingere”.

La conseguenza – logica prima ancora che giuridica – di tale premessa, è che a seguito del prestito il diritto alla restituzione non è sorto in favore dei coniugi uti singuli, bensì in favore della comunione legale, di tal che il credito restitutorio è un credito della comunione legale e quindi la restituzione dell'intero importo ad uno solo dei coniugi ha efficacia liberatoria.

La conclusione è suffragata - nel ragionamento della Corte - anche analizzando la fattispecie da un'altra prospettiva, ovvero considerando la qualificazione sul piano giuridico della ricezione della somma di denaro da parte di Tizia: trattasi di un acquisto ex art. 177 lettera a) c.c., che in quanto tale ricade in comunione.

Al riguardo, la Corte ha precisato che “la disciplina dei beni oggetto della comunione legale, di cui all'art. 180 c.c., che impone l'amministrazione congiunta per gli atti di straordinaria amministrazione, presuppone, per la sua operatività, che il bene di cui si discuta sia già oggetto della comunione, e pertanto non è applicabile alla fase dinamica pregressa dell'acquisto del bene alla comunione legale”, concludendo quindi che l'annullabilità prevista dalla norma non colpisce gli atti di acquisto.

Infine ad ulteriore conferma del suo ragionamento, la Corte evidenzia come la ricezione da parte di uno solo dei coniugi di una somma di denaro in restituzione dei prestiti concessi con denaro della comunione legale, costituisce non un atto idoneo ad obbligare la comunione o a depauperarla, ma al contrario un atto conservativo della stessa, legittimo proprio alla luce del medesimo articolo 180 c.c.: da siffatta norma si ricava, infatti, la regola che autorizza i coniugi ad agire anche separatamente a tutela della comunione, di tal che ciascun coniuge è legittimato ad esperire qualsiasi azione a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune, ivi comprese quelle relative ai diritti di obbligazione.

Riferimenti

C. Nobili, Le obbligazioni, Giuffrè, 2008, 337 ss.