Il pegno su azioni nelle operazioni societarie

Federico Piccione
23 Novembre 2022

La riforma del diritto societario del 2003 è intervenuta sulla disciplina del pegno su azioni. La novella legislativa, tuttavia, ad eccezione della fattispecie dell'aumento a titolo gratuito del capitale sociale, non ha regolamentato la sorte del vincolo pignoratizio nel contesto delle operazioni societarie: passando in rassegna le elaborazioni dottrinali, giurisprudenziali e notarili, l'Autore si sofferma anche sulla divergenza di interessi tra il nudo proprietario e il titolare del diritto reale di garanzia e sull'impatto che la stessa può avere nelle dinamiche societarie.
Introduzione

La riforma del diritto societario del 2003, tra le varie modifiche, è intervenuta sulla disciplina del pegno su azioni, novellando l'art. 2352 c.c. nell'intento di rendere organica e sistematica la regolamentazione della materia (sul tema, cfr. la Relazione illustrativa al D. Lgs. n. 6/2003, ove - al § 4 (Della disciplina delle azioni), n. 2 - si legge che "nell'ambito della nuova disciplina delle azioni e degli altri strumenti finanziari partecipativi, sono state introdotte una serie di modifiche di carattere tecnico, essenzialmente intese a risolvere dubbi interpretativi manifestatisi nella prassi". Cfr. altresì M. Magri, La riforma del diritto societario ed il pegno su quote: tra innovazione e continuità, in Riv. Not., 2003, 1429).

Tuttavia, con particolare riguardo all'atteggiarsi del vincolo pignoratizio nelle operazioni societarie, l'intervento legislativo in questione ha disciplinato in maniera puntuale soltanto la sorte del pegno nel caso di aumento a titolo gratuito del capitale sociale, lasciando un'aporia normativa rispetto alle altre operazioni societarie.

Nel tentativo di colmare tale lacuna, le successive elaborazioni dottrinali, giurisprudenziali e notarili hanno sviluppato una serie di percorsi argomentativi che il presente contributo - senza pretesa di esaustività - si propone di passare in rassegna, con (più) marcata enfasi rispetto all'aumento di capitale.

Il pegno su azioni nell'aumento a titolo gratuito del capitale sociale

Nel caso di aumento a titolo gratuito del capitale sociale, l'art. 2352, comma 3, c.c. prevede che il pegno si estenda automaticamente alle azioni di nuova emissione assegnate gratuitamente ai soci. L'automatica estensione è il precipitato normativo delle indicazioni della pressoché unanime dottrina che, identificando l'oggetto sostanziale del vincolo pignoratizio nel valore patrimoniale delle azioni vincolate, concludeva nel senso della necessaria inclusione delle riserve patrimoniali all'interno del pegno stesso, con conseguente estensione del pegno nel caso di imputazione di tali riserve a capitale (per una rassegna organica dei contributi dottrinali (e delle relative argomentazioni) sul tema, cfr. S. Poli, Il pegno di azioni, Milano, 2000, 569 ss.).

La disposizione in esame prende espressamente in considerazione soltanto l'ipotesi di cui all'art. 2442, commi 1-2, c.c., ma, come segnalato dal Consiglio Nazionale del Notariato, "èda ritenere che analoga conclusione valga anche laddove l'operazione sia effettuata con un aumento del valore nominale delle azioni già in circolazione" (così Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 6071/I (Il pegno su azioni nelle operazioni sul capitale sociale: aspetti problematici ed indirizzi operativi), § 3 (Il vincolo pignoratizio nelle operazioni sul capitale sociale). In senso conforme, ante riforma, cfr. - in dottrina - V. Provinciali, Passaggio a capitale di riserve e usufrutto di azioni, in Dir. fall., 1980, I, 451 e - in giurisprudenza - Trib. Udine, 22 novembre 1983, in Giur. comm., 1984, II, 38. Per completezza, si segnala che - secondo la dottrina - l'art. 2352, comma 3, c.c. sarebbe applicabile anche laddove le riserve da utilizzare per l'aumento a titolo gratuito siano state create in epoca successiva alla costituzione del pegno, dal momento che "all'interno del […] valore economico delle azioni devono ritenersi comprese le potenzialità di crescita della società" (così G. Lo Iacono - G. Marcoz, Pegno di azioni di S.p.A. ed operazioni sul capitale, in Riv. Not., 2004, 1370)).

Tale analogia discende dalla ratio dell'estensione in questione, da ravvisare nel fatto che l'aumento a titolo gratuito del capitale sociale è un'operazione caratterizzata da neutralità organizzativa e patrimoniale (sul carattere neutrale dell'operazione, cfr. - in dottrina - C. Angelici, Le azioni, in Commentario Schlesinger, Milano, 1992, 213 e - in giurisprudenza - Cass., 16 aprile 1981, n. 2305, in Vita not., 1981, 994), che realizza una mera espansione nominale del capitale nei confronti di un patrimonio il cui valore economico - a valle dell'operazione - resta immutato, dal momento che l'aumento "si sostanzia in un immediato e diretto trasferimento del valore da un titolo (riserva) ad un altro (capitale) nell'ambito del patrimonio della società il quale, dunque, mantiene la sua originaria consistenza in quanto solo qualitativamente modificato" (così M. Magri, cit., 1440. In senso conforme, cfr. G. Mucciarelli - G. Strampelli, L'aumento gratuito del capitale sociale, in Riv. soc., 2014, 328; M. Cera, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988, 61; T. Ascarelli, Diritto di opzione e usufrutto di azioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 271; A. Asquini, Usufrutto di quote sociali e di azioni, in Riv. dir. comm., 1947, II, 33).

Rispetto alla norma in esame, l'autonomia statutaria non ha alcun margine di manovra: come affermato dalle elaborazioni notarili, infatti, l'art. 2352, comma 3, c.c. è una disposizione inderogabile, con conseguente illegittimità di eventuali clausole statutarie che escludano l'estensione del pegno alle azioni emesse in seguito ad un aumento di capitale ex art. 2442 c.c. (sul tema, cfr. Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Massima n. H.I.23 (Clausola statutaria di esclusione dell'estensione del pegno, usufrutto o sequestro alle azioni emesse in seguito ad aumenti di capitale a titolo gratuito - Illegittimità), 1a pubbl. 9/06).

Il pegno su azioni nell'aumento a titolo oneroso del capitale sociale

Non altrettanto lineari, invece, le conclusioni rispetto all'ipotesi dell'aumento a titolo oneroso del capitale sociale, fattispecie rispetto alla quale l'art. 2352, comma 2, c.c. non risolve in maniera netta i dubbi interpretativi legati alla possibilità di estendere o meno il pegno alle azioni optate e/o al corrispettivo ricavato dalla vendita del diritto di opzione.

La disposizione in esame, infatti, si limita a prevedere - con chiaro favor debitoris (sul tema, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, cit., secondo cui "con l'esercizio del diritto d'opzione, infatti, il socio mantiene inalterati […] il valore reale della partecipazione societaria […] e […] la misura con cui concorre alla formazione della volontà sociale ")- che "se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte".

Nel silentium legis, al fine di comprendere se - e in quale misura - il pegno possa essere esteso alle azioni optate e/o al corrispettivo derivante dalla cessione dell'opzione, è necessario affidarsi alle elaborazioni concettuali succedutesi sul tema, le cui principali conclusioni vengono di seguito passate in rassegna (oltre a quelli esaminati al presente § 3 (Il pegno su azioni nell'aumento a titolo oneroso del capitale sociale), si segnalano altri orientamenti quali, ad esempio: (i) quello secondo cui il diritto di pegno si estenderebbe - su base convenzionale - ad una parte delle azioni optate ovvero a tutti i titoli sottoscritti, ma "in misura pari al plusvalore del patrimonio sociale rispetto al capitale aumentato" (così A. Asquini, cit., 12); e (ii) quello secondo cui, dal momento che non ogni operazione di aumento a titolo oneroso del capitale sociale sarebbe idonea ad incidere negativamente sul valore economico delle azioni vincolate (e, quindi, sulle prospettive satisfattive del creditore pignoratizio), l'estensione del vincolo reale alle azioni optate e/o ai proventi della vendita del diritto di opzione potrebbe formare al più oggetto di una specifica pattuizione (accessoria al negozio di pegno) tra le parti per le specifiche ipotesi in cui sussista il rischio di un pregiudizio effettivo all'adempimento dell'obbligazione garantita (così S. Poli, cit., 562 ss., il quale evidenzia in particolare la neutralità - nei confronti del creditore pignoratizio - degli aumenti a titolo oneroso del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione)).

Segnatamente:

  1. un primo orientamento afferma che il diritto di pegno si estenderebbe sia alle azioni di nuova emissione sia al corrispettivo della vendita del diritto di opzione (sul tema, cfr. - in dottrina - A. Morano, La costituzione in pegno di azioni e quote di società di capitali, in Riv. Not., 2004, 1137; F. Ferrara jr. - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, 429 e - in giurisprudenza - Trib. Roma, 5 luglio 2010, in Foro It., 2011, I, 633; Trib. Monza, 10 luglio 2000, in Giur. comm., 2002, II, 410);
  2. un secondo orientamento afferma che il diritto di pegno non si estenderebbe alle azioni di nuova emissione al corrispettivo della vendita del diritto di opzione, posta l'assimilazione di quest'ultimo all'utilità aleatoria prodotta dal titolo, per la quale l'art. 1998, comma 3, c.c. esclude l'estensione della garanzia (sul tema, cfr. - in dottrina - G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2002, 238; G. Ferri, Le società, Torino, 1989, 503 e - in giurisprudenza - Trib. Milano, 26 marzo 2016, in www.ilcaso.it, secondo cui il riconoscimento al socio delle azioni optate (in caso di esercizio dell'opzione) e l'inciso "per suo conto" di cui all'art. 2352, comma 2, c.c. "fanno desumere la volontà del legislatore di attribuire al socio debitore sia le azioni optate, sia il ricavato dalla vendita del diritto di opzione liberi da pegno, in conformità agli interessi che vengono in rilievo in caso di aumento oneroso del capitale sociale: l'interesse del socio ad ottenere un'utilità patrimoniale libera da vincoli, sottoscrivendo le nuove azioni od incamerando il corrispettivo della vendita, e quello del creditore che non necessariamente vede con ciò diminuita la sua garanzia e che, nel caso solo eventuale in cui ciò accada, potrà avvalersi dei rimedi generali" (in senso conforme, cfr. Trib. Milano, 8 novembre 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it));
  3. l'orientamento ad oggi prevalente esclude l'estensione del vincolo pignoratizio alle azioni optate, mentre la ammette in relazione al ricavato della vendita del diritto di opzione (orientamento affermato da W. Bigiavi, Estensione dell'usufrutto alle azioni optate, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, 584 e ripreso - ex multis - da G. Lo Iacono - G. Marcoz, cit., 1370; F. Corsi, Le nuove società di capitali, Milano, 2003, 131; F. Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2003, 209; R. Cavallo Borgia, Le azioni e le obbligazioni, in Trattato di diritto commerciale, Torino, 2002, 114), dal momento che: (i) l'esercizio del diritto di opzione, pur potendo comportare una compressione del valore economico delle azioni date in pegno, "non determinerebbe alcuna pretesa del creditore rispetto alle nuove azioni, che […] sarebbero beni diversi, che troverebbero "causa" in un conferimento proveniente esclusivamente dal patrimonio del socio debitore" (così Consiglio Nazionale del Notariato, cit., che richiama C. Angelici, cit., 218. Sul tema, cfr. F. Di Sabato, cit., 209, secondo il quale il testo dell'art. 2352 c.c. "sembra privilegiare la considerazione in base alla quale la causa dell'acquisto delle nuove azioni è da rinvenire nel versamento eseguito dal socio, onde esse devono spettare liberamente a costui"); mentre (ii) la vendita rappresenterebbe una vicenda estranea all'organizzazione societaria, attraverso la quale "si trasferirebbe ad altri […] una facoltà compresa nella partecipazione azionaria gravata dal vincolo, rispetto alla quale sarebbe inevitabile l'estensione della garanzia, in analogia con quanto previsto dall'art. 2803 c.c." (così Consiglio Nazionale del Notariato, cit., che richiama C. Angelici, cit., 216-218).
    L'orientamento da ultimo esaminato risulta in linea con i principi affermati dalla Legge n. 366/2001 e, in particolare, con la finalità di favorire la sottoscrizione degli aumenti di capitale da parte degli azionisti e, più in generale, di incentivare - a beneficio della competitività delle imprese italiane - l'apporto di capitale di rischio, prima e fondamentale tecnica di finanziamento dell'impresa societaria.

Il pegno su azioni nelle altre operazioni societarie

Fermo quanto sopra in tema di vincolo pignoratizio nel contesto di un aumento di capitale, si passa ora ad esaminare la sorte del pegno nel contesto di altre operazioni societarie.

Fusione

In tema di fusione, il Consiglio Notarile di Milano ha affermato quanto segue:

i. in caso di fusione propria o di fusione per incorporazione, laddove le azioni/quote delle società partecipanti alla fusione o della società incorporanda siano gravate da pegno e siano oggetto di concambio, il vincolo pignoratizio si trasferisce, per effetto della fusione, sulle azioni/quote emesse dalla società risultante dalla fusione o dalla società incorporante (sul tema, cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 64 del 22 novembre 2005 (Effetti della fusione sui diritti di pegno e di usufrutto gravanti sulle azioni o quote delle società partecipanti alla fusione) che, argomentando ex artt. 1014, n. 3 e 1019 c.c., desume un principio generale in base al quale "i diritti reali di garanzia […] gravanti su partecipazioni sociali, nel caso in cui dette partecipazioni vengano […] a "modificarsi" o ad "estinguersi" con attribuzione di un concambio, […] continuano sulle azioni o quote che "sostituiscono" quelle originarie. La vicenda societaria qualificabile come fusione non deve infatti incidere sul rapporto tra socio e creditore pignoratizio o usufruttuario arricchendo il primo a danno dei secondi in presenza di un concambio, a meno che questo non sia imposto da un interesse sociale di più alto livello". In senso conforme, cfr. E. Mangone, La determinazione del rapporto di cambio in presenza di azioni o quote gravate da usufrutto, in Soc., 2010, 571; F. Carrirolo, Usufrutto e pegno su azioni e quote in caso di fusione e scissione: l'orientamento del notariato milanese, in Dir. prat. soc., 2006, 22) in forza di un fenomeno di surrogazione reale per effetto del quale il pegno rimane invariato, pur in presenza di una modificazione/sostituzione dell'oggetto dello stesso;

  1. in caso di fusione per incorporazione di società interamente posseduta dall'incorporante, il diritto di pegno sulle partecipazioni dell'incorporata si estingue al fine di "non limitare e/o rendere più difficile per la società la possibilità di procurarsi nuovi capitali di rischio per il solo fatto che uno o più soci abbiano costituito diritti reali sulle loro partecipazioni", e ciò "pur in assenza del consenso (o in presenza del dissenso) dei creditori pignoratizi […] che vedono estinguersi i loro diritti per effetto della fusione" (così Consiglio Notarile di Milano, massima n. 65 del 22 novembre 2005 (Fusione per incorporazione comportante l'estinzione dei diritti di pegno e di usufrutto gravanti sulle azioni o quote della società incorporata). Sul tema, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito di Impresa n. 66-2011/I, Fusione e sorte del pegno sulla partecipazione della S.r.l. incorporata, in CNN Notizie, 21 aprile 2011, secondo cui "in caso di fusione per incorporazione di società interamente posseduta, i diritti di pegno e di usufrutto eventualmente costituiti sulle partecipazioni dell'incorporata si estinguono, in quanto la fusione viene attuata senza rapporto di cambio, mediante l'annullamento della partecipazione posseduta dall'incorporante nell'incorporata").

Scissione

In tema di scissione, il Consiglio Notarile di Milano - in linea con quanto sostenuto in materia di fusione - ha affermato che, laddove le azioni/quote della società scissa siano gravate da diritto di pegno, tale diritto si estende alle partecipazioni assegnate ai soci della società scissa (così Consiglio Notarile di Milano, massima n. 66 del 22 novembre 2005 (Effetti della scissione sui diritti di pegno e di usufrutto gravanti sulle azioni o quote della società scissa)).

Trasformazione

In tema di trasformazione, pare opportuno premettere che - attraverso l'art. 2498 c.c. - il legislatore ha inteso esplicitare la natura evolutivo-modificativa e non novativo-successoria dell'operazione straordinaria in esame, come ampiamente confermato dalla relativa giurisprudenza di legittimità (sul tema, cfr., ex multis, Cass., 19 maggio 2016, n. 10332, in Giust. Civ. Mass., 2016; Cass., 20 giugno 2011, n. 13467, in Giust. Civ. Mass., 2011, 6, 927).

Dal momento che, quindi, la trasformazione non incide sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all'originaria organizzazione societaria, laddove la relativa partecipazione sia gravata da pegno, detto vincolo permane su tale partecipazione anche successivamente alla trasformazione (in caso di trasformazione in S.p.A., il pegno risulterà incorporato nei titoli azionari che, se emessi, dovranno essere consegnati al creditore pignoratizio) (sul tema, cfr. C. Mosca, sub art. 2498, in P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, 27).

Riduzione del capitale sociale e liquidazione

In tema di riduzione del capitale sociale, occorre distinguere tra le ipotesi di:

i. riduzione volontaria del capitale sociale (art. 2445 c.c.). Tale operazione, in quanto determina una diminuzione reale del capitale (e, come tale, pregiudizievole per il creditore pignoratizio), comporta l'estensione del vincolo pignoratizio alla parte del patrimonio che venga rimborsata - in denaro o in natura - al socio debitore a fronte dell'annullamento delle sue azioni o della diminuzione del loro valore nominale (sul tema, cfr. L. Genghini - P. Simonetti, Manuali notarili. Le società di capitali e le cooperative, Padova, 2015, 295-296. Secondo gli Autori, "deve ritenersi che il vincolo pignoratizio si estende alla parte del patrimonio rimborsata - in denaro o in natura - al socio debitore, con la conseguente applicazione dell'art. 2803 c.c." e "a conclusioni non dissimili deve giungersi nell'ipotesi in cui la riduzione reale sia realizzata mediante liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti". In senso conforme, cfr. A. Paolini, Azioni concesse in usufrutto e riduzione reale del capitale sociale di S.p.A. ex art. 2445 c.c., mediante rimborso di parte del capitale sociale ai soci, Quesito n. 36-2007/I, in CNN Notizie, 18 luglio 2007);

  1. riduzione del capitale per perdite (art. 2446 c.c.). Tale operazione, in quanto determina una diminuzione nominale del capitale, fa sì che la riduzione del valore patrimoniale delle azioni - e la simmetrica riduzione della garanzia (in proporzione all'entità della riduzione) ("Infatti, pur rimanendo inalterata la quota proporzionale di patrimonio rappresentata dalle singole azioni, si riduce in valori assoluti la frazione di capitale incorporata nelle stesse" (così G. Lo Iacono - G. Marcoz, cit., 1370)) - costituisca "un sacrificio sopportato da entrambe le parti della "partecipazione plurisoggettiva" (il socio, da un lato, e l'usufruttuario o il creditore pignoratizio, dall'altro) permanendo, in capo ai titolari del diritto di voto, esclusivamente la facoltà di vigilanza sull'andamento delle vicende patrimoniali della società" (così L. Genghini - P. Simonetti, cit., 297. Con particolare riguardo al sacrificio sopportato dal creditore, G. Lo Iacono - G. Marcoz, cit., 1370 affermano che lo stesso sia giustificabile tenuto conto del fatto che il creditore "vigilando con più attenzione sull'andamento della società, avrebbe potuto demandare all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 2795 c.c., l'autorizzazione a vendere le azioni concessegli in garanzia");

  1. riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (art. 2447 c.c.). Laddove la società versi in una situazione di patrimonio netto negativo, "l'unica utilità delle vecchie azioni risiederebbe nel diritto d'opzione" e, pertanto, laddove la società decida di ricostituire il capitale e il socio debitore eserciti il diritto d'opzione, "dovrebbe escludersi l'estensione del diritto di pegno - vantato dal creditore antecedentemente alla delibera de qua - alle nuove azioni" (così Consiglio Nazionale del Notariato, cit.).

In tal caso, il sacrificio della posizione del creditore pignoratizio: (a) risponderebbe all'interesse della società alla ricostituzione del capitale ed alla conseguente prosecuzione dell'attività sociale, prevalente rispetto a quello del titolare del diritto reale di garanzia alla massimizzazione della redditività della partecipazione oggetto di pegno; e (b) potrebbe essere interpretato quale sanzione per l'inerzia tenuta dal titolare del diritto parziario in epoca antecedente alla perdita totale del capitale sociale (infatti, ex artt. 2795 e 2796 c.c., se il creditore pignoratizio avesse attentamente vigilato sulle vicende patrimoniali della società, avrebbe dovuto chiedere all'autorità giudiziaria l'autorizzazione a vendere le azioni oggetto di pegno).

Alla luce di ciò, è evidente che, in una fattispecie di sottocapitalizzazione ex art. 2447 c.c., il creditore pignoratizio - anche dal momento che, in uno scenario liquidatorio, il vincolo (in forza dell'applicazione analogica degli artt. 1000 e 2803 c.c.) (applicazione sostenuta da C. Angelici, cit., 217. Sul tema, cfr. G. Lo Iacono - G. Marcoz, cit., 1370, secondo i quali l'art. 2803 c.c. "sebbene dettato nell'ambito della disciplina del pegno di crediti, presenta notevoli affinità con la fattispecie in esame [il pegno azionario, ndr]: in entrambe le ipotesi, infatti, il bene offerto in garanzia viene attribuito al debitore in epoca anteriore alla scadenza del credito garantito") si estenderebbe alla quota di liquidazione (sul tema, cfr. G. Lo Iacono - G. Marcoz, cit., 1370, secondo i quali "se, infatti, la garanzia del creditore si sostanzia nel valore patrimoniale delle azioni, l'azzeramento del loro valore nominale non comporta necessariamente l'estinzione del pegno, in particolare nell'ipotesi in cui dalla liquidazione della società possano emergere delle attività che non risultassero dal patrimonio stimato secondo i prudenziali valori di bilancio o connesse all'avviamento dell'azienda sociale"; in senso conforme, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, cit., secondo cui, sull'eventuale residuo patrimoniale attivo, "il creditore vanterebbe senz'altro dei diritti, data l'assegnazione al socio, prima della scadenza del credito garantito, di una porzione del patrimonio sociale. E precisamente, di ciò che - antecedentemente all'operazione sul capitale sociale - avrebbe concorso alla determinazione del valore patrimoniale delle azioni") - voterebbe verosimilmente a favore della liquidazione per evitare la "purgazione" (espressione usata da S. Mazzamuto, Questioni sparse al confine tra diritto comune e diritto societario, in Contr. e Impr., 2006, 1519; in senso conforme, cfr. M. Spiotta, Strumenti di tutela del socio nudo proprietario o datore di pegno di società in crisi, in Giur. comm., 2019, I, 96, secondo cui, in un contesto di sottocapitalizzazione, è realistico "supporre che […] il creditore pignoratizio voti a favore della liquidazione […] e contro la ricapitalizzazione per evitare l'annacquamento del valore della quota") del valore della quota, sperando di potersi almeno parzialmente soddisfare sull'eventuale quota di liquidazione spettante al socio debitore, ma ponendo in essere, in tal caso, un comportamento che potrebbe risultare lesivo dell'interesse della società alla prosecuzione dell'attività sociale, nonché - di riflesso - dei soci e degli stakeholders.

In conclusione

Dalle considerazioni da ultimo svolte, emerge che il creditore pignoratizio potrebbe "incidere in modo sostanziale sulla struttura della società, fino a giungere all'ipotesi limite dello scioglimento anticipato" (così M. Magri, cit., 1436). Ciò in forza di una legittimazione all'esercizio del diritto di voto che, tuttavia, l'art. 2352, comma 1, c.c. accorda al titolare del diritto reale di garanzia (il quale, nell'esercitare tale diritto, deve comunque "ispirarsi ai principi della buona amministrazione societaria ed attenersi al perseguimento dell'interesse sociale, senza coltivare interessi egoistici in contrasto con quelli della società" (così Cass., 10 marzo 1999, n. 2053, in Soc., 1999, 947). In senso conforme, cfr. Cass., 19 agosto 1996, n. 7614, in Giur. comm., 1997, II, 520; Trib. Milano, 11 luglio 1994, in Giur. It., 1995, I, 2, 830. Per una sintesi dei limiti all'esercizio del diritto di voto da parte del titolare del diritto parziario, cfr. A.M. Luciano, Usufrutto di partecipazioni sociali ed esercizio dei diritti amministrativi nelle società di capitali, in Giur. comm., 2015, 1, 194) "salvo convenzione contraria".

La possibilità di una regolamentazione pattizia diversa dal dettato codicistico, se letta in combinato disposto con la naturale divergenza di interessi che, soprattutto in determinate fattispecie, interessa le parti del rapporto pignoratizio (sul tema, cfr. M. Spiotta, cit., secondo cui "è proprio all'emergere di significativi dubbi sulla continuità aziendale che si acuisce la disparità di vedute tra nudo proprietario/socio oppignorato (durevolmente coinvolto nella vita della società) e titolare del diritto reale minore (che vi partecipa per un periodo limitato e quindi ha una prospettiva short-term, orientata alla massimizzazione dei proventi, non avendo una pretesa sul residuo)". L'Autrice parla di una "separazione […] tra l'interesse al "valore" (cioè al flusso di dividendi erogabili durante l'esercizio sociale, su cui si appunta l'attenzione del [creditore pignoratizio] e l'interesse alla "redditività" della quota (che guarda al futuro e quindi fa capo al proprietario)". In senso conforme, cfr. - in dottrina - E. Timpano, L'usufrutto su partecipazioni di società di capitali dopo la riforma del diritto societario, in Riv. Not., 2020, 139; M. Maugeri, Partecipazione sociale e attività di impresa, Milano, 2010, 215 e - in giurisprudenza - Trib. Bologna, 3 agosto 1994, in Giur. comm., 1994, II, 880), spinge a deferire (rectius, a suggerire di deferire) all'autonomia negoziale la disciplina dell'esercizio del diritto di voto (sul tema, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, cit., § 4 (Conclusioni), secondo cui "a fronte, dunque, di alcune vicende societarie nelle quali l'interesse del socio debitore (o della società) sembra prevalere su quello del creditore pignoratizio, quali ad esempio quelle di aumento, soprattutto se implicano l'esclusione o la limitazione del diritto d'opzione, o quelle che legittimano, in caso di dissenso, il recesso, ovvero di scioglimento della società o revoca dello stato di liquidazione, emerge chiaramente l'opportunità che gli stessi interessi vengano espressamente regolati". Come rileva M. Spiotta, cit., occorre impedire che "l'indubbio favor legislativo per il recupero del going concern possa essere vanificato dalla costituzione di vincoli sulle partecipazioni sociali" e che "il nudo proprietario/debitore oppignorato sia inopinatamente privato della possibilità di superare la crisi e recuperare la continuità aziendale per una scelta egoistica di chi sia entrato a far parte della compagine sociale per decisione unilaterale del titolare della partecipazione sulla quale è stato costituito il vincolo". In tema di convenzione inter partes sull'esercizio del diritto di voto, cfr. V. Salafia, Il diritto di voto relativo ad azioni e quote costituite in pegno o date in usufrutto, in Soc., 2002, 1193), eventualmente modulandolo ratione materiae (ad esempio, distinguendo tra assemblea ordinaria e straordinaria o in base all'ordine del giorno) o subordinandolo al verificarsi di una condizione (sospensiva (e.g. il diritto di voto spetta al creditore pignoratizio finché la società versa in una situazione di solvibilità) o risolutiva (e.g. il socio riacquista il diritto di voto allorquando la società entri in crisi)) o prevedendo una clausola c.d. di ritorno (ossia un meccanismo in forza del quale, al verificarsi di alcuni eventi (e.g. un certo indice di Ebitda), la titolarità del diritto di voto si trasferirebbe dall'una all'altra parte).

Il margine di intervento dell'autonomia privata potrebbe estendersi oltre i confini del diritto di voto e abbracciare, ad esempio, il tema della sorte del vincolo pignoratizio nelle operazioni societarie rispetto alle quali manca un'esplicita previsione normativa e difetta altresì una convergenza di opinioni tra giurisprudenza, dottrina e prassi notarile (nello stesso senso, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, cit., § 4 (Conclusioni), secondo cui "sarebbe opportuno prescindere dalle varie ricostruzioni teoriche del problema dell'estensione ed affidare ad entrambe le parti del complesso rapporto pignoratizio la scelta di estendere o meno la garanzia al di là del vincolo originario, di sostituire, ma sempre convenzionalmente, l'oggetto della garanzia o ancora di come mantenere inalterato nel tempo l'originario valore del bene concesso in pegno, soprattutto in presenza di vicende societarie potenzialmente in grado di incidervi". Verso un'apertura alla regolamentazione pattizia della materia, cfr. altresì (in tema di usufrutto, ma adattabile - mutatis mutandis - al pegno) Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, massima H.G.34 (Aumento a pagamento del capitale in presenza di azioni gravate da usufrutto), 1a pubbl. 9/15, secondo cui "si ritiene che le parti (socio/nudo proprietario ed usufruttuario), possano, con apposito patto, disciplinare la fattispecie[spettanza del diritto di opzione in caso di aumento a titolo oneroso del capitale sociale, ndr]in maniera diversa, prevedendo, ad esempio, la facoltà per l'usufruttuario di ottenere l'estensione del suo diritto di usufrutto anche sulle azioni di nuova emissione, a fronte del suo concorso alle spese per la liberazione di dette azioni" e A. Morano, cit., 1137, secondo cui "non paiono sussistere dubbi circa la derogabilità della norma [art. 2352, comma 2, c.c.] nel senso di ritenere che in base ad apposita convenzione il pegno possa essere esteso alle azioni di nuova emissione").

In attesa di un intervento normativo che definisca in maniera (più) chiara le questioni ancora aperte in tema di vincolo pignoratizio nel contesto di operazioni societarie, la soluzione maggiormente spendibile parrebbe quindi quella di affidare all'autonomia negoziale la predisposizione di strumenti atti a "cautelarsi dagli eventuali pregiudizi che all'una o all'altra parte del rapporto de qua potessero derivare dall'attività sociale" (così Consiglio Nazionale del Notariato, cit.).

Sommario