Ente pubblico che esercita attività di direzione e coordinamento su una società e responsabilità ex art. 2497 c.c.

Diego Corrado
21 Dicembre 2022

Una recente pronuncia del Tribunale di Napoli esamina i limiti dell'applicabilità, agli enti pubblici che detengono partecipazioni in società, della disciplina in tema di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. c.c.
Massima

Qualora l'ente locale detenga partecipazioni in società che gestiscono servizi di interesse generale e svolgono un'attività di impresa, l'ente locale e la sua società partecipata sono sottoposte alla disciplina in tema di direzione e coordinamento, di cui agli artt. 2497 ss., c.c., al pari di ogni altro socio privato che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate; la disciplina di cui sopra non è, invece applicabile, nel caso in cui l'ente locale detenga partecipazioni in società che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell'ente locale socio, e che dunque non svolgono un'attività d'impresa ma funzioni amministrative.

Il caso

Una società partecipata al 100% dalla Città Metropolitana di Napoli, costituita ex art. 113 d.lgs. 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali) al fine di gestire servizi afferenti alle funzioni fondamentali dell'Ente, veniva dichiarata fallita, e la Curatela citava in giudizio l'ente territoriale, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da abuso dell'attività di direzione e coordinamento, ex art. 2497 c.c., quantificati in oltre due milioni di euro. A sostegno della sua tesi, dopo un'ampia ricostruzione dei fatti, osservava che il controllo esercitato dalla Città Metropolitana era assoluto e che la fallita era una società in house che aveva quale unico committente l'Ente territoriale.

Questo, nel costituirsi in giudizio, prima ancora di negare nel merito qualsivoglia elemento di responsabilità, deduceva l'insussistenza dei presupposti normativi per l'applicazione della responsabilità ex art. 2497 c.c., affermando che la norma non poteva trovare applicazione alle società strumentali, quale la stessa pacificamente era anche in conseguenza di espresse clausole statutarie.

Il Collegio rigettava la domanda sulla base di un puntuale esame dei fatti di causa, che ricostruiva in via analitica prima di indicare i principi di diritto a suo avviso applicabili al caso di specie.

Emergeva in primo luogo che la fallita era stata costituita al fine di svolgere, per conto dell'Ente partecipante, in regime di affidamento “in house” servizi tipicamente afferenti il ruolo istituzionale dell'Ente stesso, quali servizi ausiliari di vigilanza e sicurezza del patrimonio scolastico, storico-edilizio, ambientale ed infrastrutturale dell'Amministrazione Provinciale; servizio di accompagnamento e trasporto intercomunale a chiamata dei soggetti diversamente abili residenti nella Provincia di Napoli; servizio di call center 24 ore su 24 per la sicurezza stradale e le emergenze della viabilità delle strade provinciali.

Emergeva d'altro canto che la Città Metropolitana aveva compiuto una penetrante attività di programmazione della sua controllata, che si era concretizzata nell'assegnazione di commesse continuative, remunerative, e progressivamente adeguate ai mutamenti economici del contesto di riferimento, con corrispettivi che venivano contrattualizzati sulla base dei costi preventivamente indicati dalla società, che dunque – almeno sotto questo profilo – appariva agire a tutti gli effetti come una divisione dell'Ente.

La questione e le soluzioni giuridiche

Osserva in primo luogo il Tribunale che, visto il tenore letterale dell'art. 2497 c.c., non sussiste alcuna possibilità di escludere a priori, dall'ambito applicativo della normativa, gli enti pubblici, e che ciò ha trovato conferma da una disposizione di interpretazione autentica, contenuta nell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009, secondo cui il primo comma dell'art. 2497 del codice civile si interpreta, per quanto attiene gli Enti pubblici, nel senso che “per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”.

La questione chiave diviene quindi indagare in concreto l'attività svolta dal soggetto sottoposto ad attività di direzione e coordinamento da parte di un ente locale.

Come osserva il Tribunale, infatti, sulla scorta anche della distinzione introdotta dall'art. 3, commi 27 e ss., della legge 244/2007, come interpretata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 326/2008, le partecipazioni comunali possono ripartirsi in due macrocategorie:

a) le società che gestiscono servizi di interesse generale e svolgono un'attività d'impresa;

b) le società che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell'ente locale socio, non svolgono un'attività d'impresa ma funzioni amministrative (cd. società semi amministrazioni).

Il Collegio, quindi, a fronte di tali elementi normativi conclude che “qualora l'ente locale detenga partecipazioni di categoria a) l'ente locale e la sua società partecipata sono sottoposte a tutta la disciplina dell'art. 2497 e seguenti del codice civile al pari di ogni altro socio “privato” che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate; qualora l'ente locale detenga partecipazioni di categoria b) non si applicano le disposizioni dell'art. 2497 del cod. civ.”.

Osservazioni

La pronuncia in commento conferma un orientamento che si è andato precisando sia nella disciplina, con gli interventi normativi sopra riepilogati, sia in giurisprudenza. A tale ultimo proposito sono gli stessi Giudici partenopei a ricordare due precedenti specifici, sui quali poggiano il loro reasoning.

Il primo è quello della Corte d'Appello di Napoli, sentenza n. 5428/2019, che distingue, in estrema sintesi tra attività dello Stato e degli altri enti pubblici che operano – anche attraverso veicoli societari appositamente costituiti – al di fuori di criteri di obiettiva economicità (e sono per questo definiti anche enti pubblici di protezione sociale), e quegli enti che partecipano a società di capitale che svolgono servizi pubblici di rilevanza economica, che operano in regime di concorrenza, che invece si deve ritenere ricadano a pieno titolo nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 2497 c.c. Prosegue la sentenza della Corte d'Appello affermando che – in modo sostanzialmente analogo alla distinzione ora tracciata – nell'ambito di applicazione dell'art. 2497 c.c. dovrebbero rientrare gli enti pubblici territoriali detentori di partecipazioni in società che erogano servizi rivolti al pubblico in regime di concorrenza, restandone esclusi gli enti pubblici territoriali esercenti attività amministrativa strumentale a favore degli enti medesimi (cd. società semi-amministrazioni ex art. 13 della L. n. 248/2006)”.

Il secondo precedente richiamato dalla pronuncia in commento è quello di Trib. Roma, sentenza n. 689/2021, che – muovendo sempre dall'art. 19, comma 6, legge n. 102/2009 – conclude affermando che al fine della configurabilità in capo all'Ente controllante della responsabilità ex art. 2947 c.c., occorre che la società controllata eserciti “attività di produzione di beni e servizi destinati ad utenza esterna” e non si tratti di società costituita per il mero svolgimento di attività di “autoproduzione” esclusivamente a favore degli enti pubblici soci.

Ora, nel caso deciso dalla sentenza in commento, è lo stesso Tribunale a rilevare che la natura strumentale della società fallita emerge chiaramente dall'atto costitutivo della stessa, laddove all'art. 1 dello Statuto si legge che la società è stata “costituita per l'esercizio di attività e servizi strumentali per i soci ai sensi dell'art. 13 D. L. n. 223/06 e con espressa esclusione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Certo la mera disposizione statutaria non sarebbe stata sufficiente, ove fosse stata disattesa in fatto, ma così non è emerso dalle risultanze di causa.

Non è stato quindi provato che l'ente in posizione di controllo, convenuto in giudizio, fosse nel caso di specie portatore di un interesse di impresa, che è, alla luce di tutto quanto sin qui osservato, il fatto dirimente ai fini della delimitazione del perimetro di applicazione dell'art. 2497 c.c.

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