Diritto di recesso nei gruppi di società

Enrico Mugnai
19 Novembre 2015

L'art. 2497-quater c.c. prevede e disciplina specifiche ipotesi di recesso a favore dei soci di società soggette ad attività di direzione e coordinamento. Tali ipotesi, che si vanno ad aggiungere, in un'ottica generale di rafforzamento dell'istituto, a quelle previste all'interno della disciplina dei singoli tipi societari, si distinguono da queste ultime in ragione di una rilevante particolarità: “l'evento che giustifica il recesso non attiene, in questi casi, alla società cui appartiene il recedente, bensì ad una diversa entità, ossia alla società o all'ente che sulla prima esercita l'attività di direzione e coordinamento”.
Inquadramento

L'art. 2497-quater c.c. prevede e disciplina specifiche ipotesi di recesso a favore dei soci di società soggette ad attività di direzione e coordinamento. Tali ipotesi, che si vanno ad aggiungere, in un'ottica generale di rafforzamento dell'istituto, a quelle previste all'interno della disciplina dei singoli tipi societari, si distinguono da queste ultime in ragione di una rilevante particolarità: “l'evento che giustifica il recesso non attiene, in questi casi, alla società cui appartiene il recedente, bensì ad una diversa entità, ossia alla società o all'ente che sulla prima esercita l'attività di direzione e coordinamento” (SBISÀ, sub art. 2497-quater, in Direzione e coordinamento di società, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, p. 281).

L'elemento comune alle cause di recesso riconosciute dalla norma in commento è “costituito dal mutamento delle condizioni di rischio dell'investimento che fa scaturire la possibilità del socio di ripensare l'opportunità della sua permanenza in società” (PENNISI, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 3, Torino, 2007, p. 930; TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, pp. 74 e ss.).

In linea generale, la disciplina di cui trattasi viene ad arricchire gli strumenti di tutela dei soci minoritari ed “esterni”, introducendo forme di protezione anche “preventiva” che si affiancano, su un piano non coincidente, ai rimedi risarcitori assicurati dalla clausola generale di responsabilità di cui all'art. 2497 c.c. (ANNUNZIATA, sub art. 2497-quater, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Direzione e coordinamento di società, a cura di Sbisà, p. 270).

In evidenza: art. 10, lett. d), l. 366/2001 (“Delega al Governo per la riforma del diritto societario”)

“Individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell'ingresso e dell'uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistano le condizioni per l'obbligo di offerta pubblica di acquisto”.

Recesso conseguente a trasformazione eterogenea o a modificazione dell'oggetto sociale della società che esercita direzione e coordinamento

La previsione di cui all'art. 2497-quater, 1° comma, lett. a), c.c. contempla due ipotesi di recesso che si ricollegano, rispettivamente, alla trasformazione della società che esercita direzione e coordinamento o al cambiamento dell'oggetto sociale della medesima.

La prima delle suddette fattispecie ha ad oggetto le operazioni di trasformazione “eterogenea” (cfr. artt. 2500-septies e 2500-octies c.c.), rendendosi necessario, ai fini dell'integrazione del presupposto del recesso, un mutamento non solo del tipo societario, ma anche dello scopo sociale (SBISÀ, op. cit., p. 283; TOMBARI, op. cit., p. 75). Parimenti deve ritenersi che non rientrino nell'ambito oggettivo di applicazione della norma i casi in cui la società modifica il proprio scopo, senza deliberare una trasformazione (ad esempio, passaggio da società per azioni lucrativa a consortile; ANNUNZIATA, op. cit., p. 270).

Secondo l'opinione prevalente, non si richiede ai fini del recesso conseguente a trasformazione alcuna verifica degli effetti che l'operazione avrà sulle società “dipendenti”, introducendo la norma una presunzione assoluta secondo la quale la trasformazione eterogenea della capogruppo, per i suoi effetti determinanti sulla struttura e le strategie dell'impresa, incide di per sé (e implicitamente) sulle condizioni di rischio delle società dirette e coordinate (SANTOSUOSSO, Gruppi di società basati sull'attività di direzione e coordinamento e diritto di recesso nelle ipotesi di trasformazione con mutamento dello scopo sociale e di modifica dell'oggetto sociale della capogruppo (art. 2497-quater, primo co., lett. a, c.c.), Studio n. 132-2009/I approvato dalla Commissione studi d'impresa; contra, nel senso che, anche nell' ipotesi di trasformazione della società dominante, il recesso risulterebbe subordinato alla verifica dell'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento, ANNUNZIATA, op. cit., p. 270).

La seconda ipotesi prevista dalla lettera a) ricorre quando “la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento […] ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale consentendo l'esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento”.

Al riguardo, occorre, anzitutto, rilevare come la norma sia chiara nel consentire il recesso solo in presenza di modifiche formali dell'oggetto sociale, dovendosi, pertanto, ritenere estranee alla fattispecie le modifiche c.d. “sostanziali”, attuate in assenza di una deliberazione assembleare (VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2012, p. 248).

In questa prospettiva, se il recesso sembra potersi indifferentemente collegare sia alle ipotesi di ampliamento che a quelle di riduzione delle attività previste in statuto (VENTORUZZO, op. cit., p. 249), non assume invece rilevanza, ai predetti fini, la circostanza che le suddette attività siano effettivamente svolte, “essendo sufficiente - come testualmente indica la disposizione in esame - che la modificazione statutaria consenta l'esercizio di attività che comportano un rischio diverso” (SBISÀ, op. cit., p. 284).

Il solo fatto della modificazione formale dell'oggetto sociale, come si è anticipato, non è sufficiente a legittimare il recesso dei soci di minoranza di società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento. Più in particolare, la norma richiede che la modificazione dell'oggetto sociale della capogruppo sia tale da provocare sulla società dipendente “per le condizioni economiche, un'alterazione dei costi e/o dei ricavi ed in definitiva del risultato economico degli esercizi futuri; per le condizioni patrimoniali, un'alterazione quantitativa senza dubbio e forse anche qualitativa, del patrimonio della società” (PENNISI, op. cit., p. 937).

In altri termini, la causa di recesso è collegata ad un'alterazione delle condizione di rischio dell'investimento, alterazione che la disposizione in esame espressamente precisa che debba essere “sensibile”, cioè tale da incidere in modo rilevante sulle condizioni della società dipendente (CARIELLO, Commento all'art. 2497-quater, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini e Stagno D'Alcontres, Napoli, 2004, p. 1888), e determinata in via “diretta” e non “mediata” dalle modifiche apportate allo statuto della holding (ANNUNZIATA, op. cit., p. 274).

La valutazione circa la sussistenza del predetto presupposto dovrà essere effettuata caso per caso, sulla base di un giudizio prognostico che tenga conto anche del livello di accentramento del gruppo e della gamma di attività che la società capogruppo già esercitava (PENNISI, op. cit., pp. 938 e ss.).

È discusso, al riguardo, se l'alterazione delle condizioni economiche e patrimoniali della società eterodiretta debba essere necessariamente peggiorativa o se il presupposto applicativo della causa di recesso risulti integrato indifferentemente sia nel caso in cui le condizioni di rischio si aggravino, sia quando le stesse si riducano per effetto delle modifiche deliberate in relazione all'oggetto sociale della società capogruppo (in quest'ultimo senso, ANNUNZIATA, op. cit., p. 274).

Con riferimento ad entrambe le fattispecie previste dalla lettera a), è stato osservato che le stesse “difficilmente si verificheranno nel caso concreto, con la conseguenza che le ipotesi di recesso ivi previste non sembrano destinate ad avere grande fruibilità pratica” (TOMBARI, op. cit., p. 77).

In evidenza: Relazione di accompagnamento alla riforma del diritto societario

“[...] le due ipotesi discendono, evidentemente, dal riconoscimento che l'attività del controllante può, in sé legittimamente, esercitare il controllo in modo da alterare il profilo di rischio dell'investimento del socio, quale accettato entrando in società” [VIETTI, AULETTA, LO CASCIO, TOMBARI, ZOPPINI (a cura di), La riforma del diritto societario, Lavori preparatori. Testi e materiali, Milano, 2006, p. 258].

Recesso conseguente a condanna della società capogruppo

La terza ipotesi di recesso prevista dalla norma in commento, è quella contemplata dall'art. 2497-quater, 1° comma, lett. b), c.c., in forza del quale il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento ha diritto di recedere quando a suo favore: “sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.”. A differenza che nelle altre ipotesi, ove deve ritenersi consentito il recesso parziale, in questo caso la norma precisa che il recesso può essere esercitato soltanto per l'intera partecipazione.

La ratio della previsione è da rinvenirsi “nell'impatto che ha, sul fisiologico svolgersi dei rapporti societari, la condanna del soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento” (ANNUNZIATA, op. cit., p. 275). In altri termini, presupposto della fattispecie è, anche in questo caso, una “alterazione delle condizione di investimento”, alterazione che consegue alla circostanza, già verificatasi e accertata, che la società dipendente è stata “diretta secondo modi non conformi al principio di correttezza affermato dall'art. 2497 c.c., in termini quindi diversi dalle aspettative di mercato” (ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, 2006, p. 191).

La causa di recesso in esame è collegata ad una pronuncia esecutiva di condanna nei confronti del soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento. In questo senso, il recesso non è subordinato al passaggio in giudicato della sentenza (o del lodo arbitrale; SBISÀ, op. cit., p. 284) e potrà essere esercitato al termine del giudizio di primo grado (PENNISI, op. cit., p. 940).

Al riguardo, è opinione unanime che l'eventuale riforma in secondo grado della sentenza non avrà alcuna efficacia retroattiva rispetto al recesso, ove lo stesso sia già stato validamente esercitato (SBISÀ, op. cit., p. 291).

Il compimento di singole operazioni pregiudizievoli non è sufficiente ad integrare la causa di recesso, qualora “il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette” (cfr. art. 2497, 1° comma, ultima parte, c.c.). In questo caso, infatti, non solo non si darebbe luogo ad una pronuncia di “condanna”, come invece richiesto dall' 2497-quater, 1° comma, lett. b), c.c., ma non sarebbe neppure configurabile, sul piano sostanziale, una violazione delle condizioni di legittimità dell'esercizio dell'attività di eterodirezione, operando la regola dei vantaggi compensativi, secondo quanto rilevato da autorevole dottrina, prima ancora che sul piano del danno, su quello della liceità della condotta gestoria della capogruppo (MAUGERI, Interesse sociale, interesse dei soci e interesse dei gruppi, in Giur. Comm., 2012, I, p. 73).

È controverso, invece, se il diritto di recesso sussista anche quando il danno sia stato risarcito in sede stragiudiziale ai sensi dell'art. 2497, 3° comma, c.c. In senso contrario sembrerebbe deporre sia il carattere “tipico” dell'ipotesi di recesso, la quale non appare suscettibile di trovare applicazione in assenza degli elementi costitutivi della fattispecie, sia la considerazione per cui, perlomeno secondo un'interpretazione, la previsione di cui all'art. 2497, 3° comma, c.c. avrebbe proprio lo scopo di dare alla società capogruppo la possibilità di evitare la condanna e le conseguenze negative che ne deriverebbero, fornendo alla società dipendente i mezzi per risarcire direttamente i soggetti danneggiati (ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in BBTC, 2008, I, p. 288).

L'inizio o la cessazione dell'attività di direzione e coordinamento

Passando, quindi, all'esame della causa di recesso disciplinata dall'art. 2497-quater, 1° comma, lett. c), c.c., tale disposizione riconosce al socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento il diritto di recedereall'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, quando non si tratta di una società con azioni quotate in mercati regolamentati e ne deriva un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto”.

La formulazione generica della norma pone alcune questioni interpretative. Più in particolare, una prima difficoltà interpretativa attiene all'individuazione del momento preciso in cui possa dirsi effettivamente iniziata (o cessata) l'attività di direzione e coordinamento.

Al riguardo, la soluzione preferibile è quella di dar rilievo al concreto e fattuale esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, valutando come indice di sicuro rilievo il venire in essere (o il venir meno) delle circostanze che determinano l'operatività delle presunzioni ex art. 2497-sexies c.c. [cfr. in tal senso CARIELLO, op. cit., pp. 1891 e ss.; VENTORUZZO, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art. 2497-quater c.c.), in Riv. soc., 2008, pp. 1179 e ss., per il quale “il recesso è legittimato dalla circostanza che effettivamente inizi o termini la direzione e coordinamento”]. L'art. 2437-bis c.c., infatti, richiamato dall'art. 2497-quater c.c., stabilisce che il recesso è esercitato entro trenta giorni dalla conoscenza del fatto da parte del socio e non vi è ragione per ritenere che non valga anche per il caso del recesso il principio di “effettività” che presiede alla regola fondamentale sulla responsabilità di cui all'art. 2497 c.c. (PENNISI, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in RDS, 2009, p. 40; TOMBARI, op. cit., p. 82).

Tanto chiarito, pare opportuno precisare che, fermo il richiamato principio di effettività, può cionondimeno riconoscersi all'esecuzione dell'adempimento pubblicitario ex art. 2497-bis, comma 2, c.c., da parte della società soggetta all'attività di eterodirezione, “l'espressione di un intento volontario di produzione degli effetti giuridici propri della normativa di cui agli artt. 2497 ss. c.c.”. Per quanto più interessa, non sembra in particolare dubitabile che gli adempimenti pubblicitari di cui all'art. 2497-bis c.c., se eseguiti, possano quantomeno rilevare come elemento di prova della conoscenza del fatto che legittima il recesso e dunque assumere rilievo, in questa prospettiva, ai fini dell'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine per l'esercizio del suddetto diritto (CARUSO, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, Torino, 2012, p. 66; VENTORUZZO, op. ult. cit., p. 1188; TOMBARI, op. cit., pp. 82 e s.; SBISA', op. cit., p. 291 e ss.; ANNUNZIATA, op. cit., p. 277. Sul punto, v., anche, infra 5).

Problematica si presenta, altresì, l'individuazione dell'altro presupposto del diritto di recesso, ovvero l'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento. Tale alterazione non è automatica conseguenza dell'entrata e dell'uscita da un gruppo, dovendosi valutare l'effettiva sussistenza del presupposto con riguardo alle particolarità del caso di specie.

In questa prospettiva, richiamandosi a quanto già osservato con riferimento all'ipotesi di recesso contemplata alla lettera a) della norma (v. supra 2), appare corretto definire l'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento come “un mutamento delle condizioni di esercizio dell'impresa che sono state alla base della decisione del socio di entrare e rimanere fino a questo momento in società” (PENNISI, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit., p. 942; ID., Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, cit., p. 41; TOMBARI, op. cit., pp. 77 e ss.).

L'accertamento di tale alterazione impone, dunque, di verificare, sulla base di un giudizio prognostico, che ci sia un pregiudizio alle prospettive imprenditoriali del socio, a tal fine individuando “l'investimento societario in ragione non tanto e non solo del tipo o della natura dell'attività svolta dalla capogruppo, bensì della conformazione organizzativa e finanziaria dell'aggregazione” (PASQUARIELLO, Commento sub art. 2947-quater, in Commentario Maffei Alberti, Padova, 2011, p. 1412. Nel senso che la “alterazione delle condizioni di rischio” non debba essere necessariamente peggiorativa, ANNUNZIATA, op. cit., p. 274; ritengono, invece, che il recesso possa essere esercitato solo a seguito di una effettiva modifica delle condizioni di rischio, da accertarsi in concreto e non in via prognostica, FERRI jr - GUIZZI, In tema di recesso ex art. 2497-quater, lett. c), c.c.), in Società, 2014, p. 44. In giurisprudenza, v. Tribunale di Milano, 21 luglio 2015).

La dottrina ha individuato quali possibili esempi di modifica delle condizioni di rischio dell'investimento, in “ingresso” al gruppo: l'assoluta disomogeneità o il carattere concorrenziale dell'attività esercitata dalla capogruppo e/o la “trasformazione” della società in “captive”; in “uscita” dal gruppo: le ipotesi, appunto, di società “captive”, per le quali l'uscita dal gruppo potrebbe compromettere la stessa sopravvivenza delle imprese societarie, o, ancora, l'impossibilità di beneficiare per il futuro di garanzie infragruppo, la cessazione di rapporti contrattuali vantaggiosi, la perdita di vantaggi concorrenziali legati all'appartenenza al gruppo.

In evidenza: Tribunale di Milano, 21 luglio 2015 (massima)

“Ai sensi dell'art. 2497-quater, lett. c) l'inizio e la cessazione di un'attività di direzione e coordinamento, così come il mutamento del soggetto esercente tale attività, assumono rilievo ai fini del riconoscimento del diritto di recesso del socio della società eterodiretta solo qualora detti fatti possano in concreto comportare una modifica in senso deteriore delle condizioni di rischio di investimento sussistenti prima dell'evento considerato dalla norma. La disposizione è infatti volta a introdurre una tutela preventiva a fronte di obiettivi segnali che prospettino quel deterioramento delle condizioni di investimento, che ex post - traducendosi in un danno alla redditività e al valore della partecipazione - gli darebbero diritto ex art. 2497 c.c. al risarcimento del danno. La norma non ha inteso concedere al socio di minoranza un diritto di exit tout court, che permetta anche al socio di minoranza di godere dei vantaggi che il socio di maggioranza può negoziare con il terzo acquirente, bensì ha semplicemente inteso di fare in modo che dalle scelte strategiche legittime del socio di maggioranza il socio di minoranza non tragga pregiudizio”.

Tanto chiarito, sembra corretto ritenere che, ai fini dell'integrazione della fattispecie di recesso in esame, rilevi anche il semplice mutamento del soggetto capogruppo.

Al riguardo, appare senz'altro condivisibile l'opinione per cui “la disposizione in commento deve essere letta nel senso che l'inizio e la cessazione dell'attività di eterodirezione da parte di un particolare soggetto aprono la porta all'exit dei soci minoritari, sempre che ricorrano tutti i presupposti (sia positivi che negativi) richiesti dalla lettera c) dell'art. 2497-quater c.c. Tale ricostruzione è coerente, infatti, “con la funzione del diritto di recesso, atteso che il cambiamento del soggetto di vertice implica, con ogni probabilità, una modifica delle condizioni di rischio e di redditività dell'investimento” (in questi termini v. VENTORUZZO, op. ult. cit., p. 1187; PENNISI, Il diritto di recesso nelle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, cit., 2009, p. 42; TOMBARI, op. cit., pp. 78 e ss.).

Se questo è vero, è stato sostenuto che “anche solo il mutamento dello statuto organizzativo dell'aggregazione societaria […] mediante regolamento negoziale della preesistente situazione di fatto si presterebbe ad essere valutato in termini di (incremento del) rischio per il singolo socio “esterno” di una deviazione dell'agire degli organi sociali dal perseguimento dell'interesse comune” (MAUGERI, Formazione del gruppo e diritti dei soci, in Dir. comm., 2007, I, pp. 293 e ss.); ciò da cui viene fatto derivare che l'ipotesi di recesso di cui all'art. 2497-quater, 1° comma, lett. c), c.c., ricorrerebbe anche in presenza della modificazione (successiva) delle modalità dell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento.

Al riguardo, occorre, tuttavia, osservare che il fatto legittimante il recesso ai sensi della disposizione in esame è, in primo luogo, l'“inizio dell'attività di direzione e coordinamento”. Da tale dato sembra conseguire, pertanto, che se non si verifica tale “fatto”, non risulti configurabile alcuna ipotesi di recesso e ciò a prescindere dall'eventuale alterazione delle condizioni di rischio che la modifica delle regole organizzative del gruppo potrebbe determinare rispetto ai soci di società già facenti parte dell'aggregazione.

Come anticipato, la causa di recesso opera a condizione che la società non sia quotata e che non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto.

Al riguardo, è, anzitutto, opinione prevalente che le due condizioni non debbano ricorrere congiuntamente e che pertanto sia sufficiente ad escludere sempre il recesso la circostanza che la società abbia le azioni quotate in un mercato regolamentato, con la precisazione che se la società “ha diverse categorie di azioni - di cui alcune soltanto quotate - il socio non potrà recedere relativamente alle azioni quotate, ma gli andrà riconosciuto il diritto di recesso relativamente alle azioni non quotate da lui eventualmente possedute” (ANNUNZIATA, op. cit., p. 279; contra, VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., pp. 256 e ss.).

Venendo, quindi, alla seconda delle due condizioni richiamate dall'art. 2497-quater, 1° comma, lett. c), c.c., appare sicuramente problematica l'individuazione delle caratteristiche che deve possedere “l'offerta pubblica di acquisto” per risultare idonea ad escludere la sussistenza del diritto.

In particolare, è stato sostenuto che, essendo l'OPA “prevista come surrogato del recesso e, specificamente, di un caso di recesso previsto ex-lege, non derogabile o comprimibile dall'autonomia statutaria”, il corrispettivo offerto in sede di offerta non potrà, in ogni caso, “essere inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione dei criteri previsti, rispettivamente, dagli artt. 2437 e 2473 c.c.” (ANNUNZIATA, op. cit., p. 280).

Altri commentatori ritengono, invece, sufficiente che l'offerta sia formulata per un valore “congruo”, che rispecchi il valore di scambio della partecipazione, senza che, tuttavia, tale valore debba necessariamente essere pari a quello di liquidazione ex art. 2437-ter c.c. (CARUSO, op. cit., p. 171; FERRI jr - GUIZZI, op. cit., p. 48).

In evidenza: Tribunale di Milano, 21 luglio 2015

“ […] l' offerta di cui parla l'art. 2497-quater, lettera c) è pacifico che non debba essere necessariamente (specie nel caso in cui vi sia un solo azionista) un “opa”, essendo invece sufficiente che si tratti di un'offerta “privata” (volontaria): i) rivolta a tutti gli azionisti per la totalità dei loro titoli; ii) per un prezzo equo, ossia un prezzo che non sia significativamente differente rispetto a quello determinabile in base ai criteri di cui all'art. 2437-ter c.c.”.

Modalità e termini

Relativamente ai termini e alle modalità di esercizio del recesso, ai criteri di determinazione del valore delle partecipazioni e al procedimento di liquidazione, l'art. 2497-quater c.c. si limita a rinviare alle disposizioni dettate in materia di s.p.a. e s.r.l., in quanto compatibili. Al riguardo, si pongono alcune questioni interpretative.

Anzitutto, con riferimento ai termini per l'esercizio del recesso, la disciplina di cui all'art. 2437-bis c.c. distingue, in materia di s.p.a., a seconda che il recesso consegua ad una deliberazione societaria ovvero ad un fatto diverso. Sulla base di tale riferimento normativo, è stato quindi sostenuto che:

i) nell'ipotesi contemplata dall'art. 2497-quater, 1° comma, lett. a), c.c., il recesso andrà esercitato entro 15 giorni dall'iscrizione della relativa delibera nel registro delle imprese;

ii) nel caso di cui alla lettera b), il termine sarà di 30 giorni decorrente dalla data di pubblicazione della pronuncia di condanna;

iii) nell'ipotesi, infine, di cui alla lettera c), il termine, anche in questo caso di 30 giorni, decorrerà dalla data di adempimento delle forme pubblicitarie di cui all'art. 2497-bis c.c. (v. supra 4) o, in assenza, dalla data in cui il socio ha avuto effettiva conoscenza dell'inizio o della cessazione dell'attività di direzione e coordinamento (ANNUNZIATA, op. cit., p. 281).

A tale proposito, tuttavia, è stato evidenziato come nella prospettiva degli azionisti della società eterodiretta tutte le ipotesi di cui all'art. 2497-quater c.c. rappresentino semplici fatti estranei alla vita delle società cui fanno parte, con la conseguenza che, anche rispetto alla fattispecie contemplata dalla lettera a) della norma richiamata, troverà applicazione, per l'esercizio del diritto di recesso, il termine indicato nella parte finale dell'art. 2437-bis c.c., di 30 giornidalla conoscenza da parte del socio della società coordinata e diretta della delibera della holding” (SBISA', op. cit., p. 288; TOMBARI, op. cit., p. 82; VENTORUZZO, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art. 2497-quater c.c.), cit., p. 1192).

Rimanendo in ambito di s.p.a., si pone, inoltre, il problema delle modalità e del momento in cui gli amministratori devono comunicare ai soci recedenti il valore attribuito alle azioni da liquidare, con particolare riferimento alle ipotesi in cui il recesso consegua ad un “fatto” diverso da una deliberazione.

Al riguardo, alcuni autori hanno interpretato l'art. 2437-bis c.c., nel senso di ritenere che il termine di 30 giorni previsto dalla disposizione per l'esercizio del recesso decorra non già dalla conoscenza del fatto legittimante il recesso medesimo, ma dal momento in cui viene messa a disposizione dei soci l'informazione relativa al valore attribuito alla partecipazione.

Tale interpretazione, tuttavia, è stata contestata sul presupposto che: “qualora si ritenesse di addossare agli amministratori l'obbligo (implicito, in quanto non espressamente previsto) di determinare il valore delle azioni e di far decorrere il termine per l'esercizio del recesso dal momento della conoscenza di tale valore da parte dei soci, il risultato - probabilmente incompatibile con il dato normativo - sarebbe sostanzialmente quello di obbligare gli amministratori a verificare la sussistenza dei presupposti del recesso ex art. 2497-quater c.c., sussistenza che invece deve essere provata e dimostrata dal socio che intende recedere” (TOMBARI, op. cit., p. 85).

In questa prospettiva, è stata avanzata una soluzione per così dire “intermedia”, che contempla il decorso di un duplice termine: quello di 30 giorni per esercitare il recesso e quello di 15 (o nuovamente 30), da ricavare in via interpretativa, per consentire al socio di ricevere le informazioni relative al valore della partecipazione e decidere se contestare la quantificazione proposta o, eventualmente, laddove lo si ritenga possibile, revocare il recesso (PENNISI, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, cit., p. 46; ANNUNZIATA, op. cit., p. 283).

Per quanto attiene, infine, alla valutazione della partecipazione, è opinione prevalente che la stessa non debba essere influenzata dalle vicende dell'attività di direzione e coordinamento (ANNUNZIATA, op. cit., p. 283).

Nelle ipotesi di cui alle lettere a) e c), pertanto, la predetta valutazione dovrà tener conto dell'appartenenza della società al gruppo, ma non del possibile effetto delle operazioni che determinano la fuoriuscita del socio recedente (VENTORUZZO, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., pp. 256 e ss.).

Nel caso, poi, di ingresso in un gruppo da parte di una società prima indipendente, occorrerà guardare alla situazione precedente, senza tenere conto degli effetti del suo inserimento nel gruppo (SBISA', op. cit., p. 293).

Nella ipotesi di cui alla lettera b), invece, sembra corretto ritenere che nella valutazione del valore di liquidazione della partecipazione non si debba tenere conto dei danni causati dalla holding, già liquidati con la pronuncia di condanna, determinandosi, altrimenti, una duplicazione del risarcimento per il medesimo titolo (SBISA', op. cit., p. 290).

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2437 c.c.;
  • Art. 2437-bis c.c.;
  • Art. 2437-ter c.c.;
  • Art. 2473 c.c.;
  • Art. 2497 c.c.
  • Art. 2497-bis c.c.;
  • Art. 2497-quater c.c.

Giurisprudenza

  • Tribunale di Milano, 21 luglio 2015

Bibliografia

  • Sbisà, sub art. 2497-quater, in Direzione e coordinamento di società, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014;
  • Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 3, Torino, 2007;
  • Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010;
  • Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Giuffrè, 2012;
  • Cariello, Commento all'art. 2497-quater, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini e Stagno D'Alcontres, Napoli, 2004.
Sommario